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Formazione

SI PUÒ EDUCARE ALLA BELLEZZA?

Riflessioni sul ruolo della competenza emotiva e della sensibilità

23 febbraio 2016
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Marco Dallari
di Marco Dallari
Professore ordinario presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell’Università di Trento.

Prima dell'era moderna l’idea della bellezza non era cosa da specialisti dell'arte o dell'estetica ma faceva parte della riflessione filosofica universale.

Nella Grecia antica la bellezza era la proporzione delle parti di un tutto, di un corpo umano, della natura, dell'universo. L'idea della bellezza era al contempo fisica e metafisica e poiché, secondo i filosofi del tempo, la legge regolatrice dell'universo erano la matematica e la simmetria, esse erano anche principi di bellezza. Nella concezione classica bello e buono coincidono e il “bello di natura” prevaleva su quello dell’arte e delle produzioni umane: l'ordine dell'essere rivelato dalla bellezza aveva a che vedere col divino, poiché gli dei pagani sono nella natura, non fuori di essa. Il monoteismo giudaico-cristiano interrompe la coincidenza fra bello e buono, e Wolfhart Henckmann nota come nel cristianesimo l'esclusiva spiritualizzazione dell'idea di Dio abbia separato nettamente l'estetica dalla morale. La bellezza, per manifestarsi, ha bisogno della dimensione sensibile e l’impostazione dualistica monoteista, per la quale la materia (sensibile) rappresenta un livello inferiore rispetto alla perfezione della dimensione metafisica, assegna implicitamente al “bello” un’aura sospetta, quando non implicitamente peccaminosa, rispetto al “buono”, riconducibile alla dimensione della spiritualità. Nel '700 Alexander Gottlieb Baumgarten fonda l’Estetica, da lui stesso definita “teoria della conoscenza sensibile”, dimostrando come accanto alla ragione e alle verità scientifiche e oggettive ci sia posto per verità storiche, poetiche, soggettive. L’irruzione dell’Estetica sulla scena del pensiero occidentale comporta però l’effetto collaterale per cui il tema del bello diventa una faccenda da specialisti, imprigionato nella sfera dell’arte. E quando nel Novecento DADA e le altre avanguardie artistiche si allontanano dai canoni del bello (accusato di essere uno stereotipo reazionario) e trasformano l’arte in concettuale mentre l’architettura e il design barattano la ricerca della bellezza con l’imperativo della funzionalità, l’idea stessa del bello sembra smarrirsi.

Ma dell’emozione e del giudizio di bellezza (e bruttezza) determinante nelle scelte più importanti della vita  l’essere umano non può fare a meno. Educare al sentimento della bellezza, aiutare i soggetti in formazione ad avere coscienza e controllo delle proprie emozioni estetiche, significa allora non (come si è fatto e ancora si tende a fare) pretendere di indicare ciò che è bello e ciò che è brutto, ma formare quella che Daniel Goleman chiama “competenza emotiva”, cioè l'insieme di abilità pratiche necessarie per l'autoefficacia dell'individuo nelle transazioni sociali che suscitano emozioni, con la consapevolezza di come l’elaborazione del sentimento della bellezza sia fondamentale per l’intelligenza emotiva.

Il riconoscimento delle qualità che succedono all’emozione dello stupore e ci fa pensare “bello!” o “brutto!” è dunque l’incontro di: condizioni culturali; sensibilità e gusto personali; qualità dell’esperienza percettiva e relazionale che stiamo vivendo; influenza del contesto culturale d’appartenenza. 

Educare alla bellezza significa dunque non tanto proporre un elenco di cose belle secondo canoni che possono, soprattutto da bambini e giovanissimi, essere incomprensibili o non condivisi, ma saper organizzare esperienze dello stupore estetico. Stupore che ciascuno può trovare superando il confine narcisistico del corpo nel quale la contemporaneità ha confinato l’idea della bellezza, nella relazione col mondo mediata dal pensiero e dalla conoscenza.

Attenzione però: la presentazione inefficace, noiosa e “fredda” di qualunque cosa trasforma in noiosa e fredda la cosa presentata. Per questo la competenza relazionale e narrativa degli insegnanti è alla base di una possibile esperienza educativa della bellezza, sia che l’oggetto dell’insegnamento sia la matematica, le scienze applicate, le arti, l’avventura filosofica o i repertori di qualsivoglia ambito disciplinare.

David Hume diceva che una causa evidente per cui molti non avvertono il sentimento della Bellezza è la “mancanza di quella delicatezza dell'immaginazione necessaria per poter essere sensibili a quelle emozioni più sottili”.
Educazione alla bellezza è allenamento della competenza emotiva e della sensibilità, è formare quella “delicatezza dell'immaginazione” di cui parla Hume. Perché Il contrario della bellezza non è la bruttezza ma la rozzezza culturale e l’ignoranza emozionale.

 

Il 16 e il 24 febbraio e l'1 marzo il professor Marco Dallari ha tenuto il seminario “Si può educare alla bellezza? Educazione della competenza emotiva e della sensibilità” nell’ambito del ciclo di incontri di aggiornamento per insegnanti “Lo studio della mente e l'arte dell'insegnare” proposto dal Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell’Ateneo.