Studentesse e studenti all'ingresso del Dipartimento di Lettere e Filosofia. Archivio UniTrento

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Chi siamo, come parliamo. Inchiesta linguistica nel Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento

a cura di Serenella Baggio

3 novembre 2021
Versione stampabile

Quante e quali varietà di italiano condividono studenti,docenti e personale tecnico-amministrativo di un dipartimento universitario? Un dipartimento può diventare il campo di un’inchiesta sociolinguistica?
Nel 2018, nel Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, è stata fatta una campagna di raccolta su un campione di un centinaio di informatori, con interviste audiovideo registrate, di cui qui si pubblicano i primi risultati, affrontando i dati da diversi punti di vista: tradizionali, come l’analisi
sociolinguistica delle autobiografie date spontaneamente a voce dagli intervistati; o innovativi, come l’indagine sociofonetica sperimentale, lo studio dei gesti e dei modi di raccontare (e raccontarsi) o della proiezione della cultura letteraria nel parlato, l’uso ludico delle registrazioni (far indovinare l’origine delle pronunce e vedere quali siano le più riconoscibili).
A differenza di quanto avviene normalmente, questa è un’indagine non sul radicamento territoriale, ma sullo sradicamento, dove, cioè, emerge la varietà di parlati portata da persone che hanno differente origine geografica e occasionalmente si trovano nello stesso luogo a lavorare insieme, rivestendo diversi ruoli sociali. Scopo del progetto è stato quello di fotografare, in un anno qualsiasi, la varietà degli italiani parlati compresenti nell’edificio dove si svolge la nostra attività, dove ci incontriamo, ci parliamo, ci lasciamo messaggi.

Il DVD allegato (CHISONO) contiene frammenti di 20 secondi presi da ogni intervista. Lo si potrà usare anche per continuare il gioco delle pronunce da indovinare.

Serenella Baggio è professoressa del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento

3.1 Il nostro campione. Le generazioni (pagg 21-24)

Dal punto di vista generazionale le tre componenti sociali considerate – docenti (D), personale tecnico-amministrativo (P) e studenti (S) – non sono omogenee. La fascia d’età dei giovani (20-40 anni) riguarda D, P e S, mentre quella degli adulti (40-60 anni) esclude S. Nel 2018 i nostri studenti più giovani erano i nati nel 1999; tra docenti e personale, tutti impiegati pubblici, i più anziani erano nati comunque dopo il 1947, ascrivibili, dunque, alla fascia dei baby boomers (nati fra 1945 e 1964).
Le autobiografie linguistiche spaziano dalla generazione dei nonni degli attuali adulti (nati a fine Ottocento o ai primi del Novecento) a quella dei figli dei giovani (spesso nati del nuovo millennio). Questi racconti familiari descrivono, quindi, un arco di tempo grossomodo coincidente col secolo passato, ma già orientato nel secolo presente. Distinguiamo al suo interno cinque generazioni: dei nonni (nonni degli adulti), dei genitori (genitori degli adulti), degli adulti, dei giovani, dei giovanissimi (figli dei giovani). Gli informatori, come si è detto, appartengono o alla terza o alla quarta generazione. Se qualcuno di loro nel racconto è risalito, di sua iniziativa, addirittura ai bisnonni, questo è avvenuto sporadicamente e non ha alterato i dati generali.

La generazione dei nonni, nei racconti raccolti, è quasi esclusivamente costituita da dialettofoni, anche puri, con una sola varietà, popolare e regionale, di italiano. Di cultura rurale, radicati nel loro territorio, svolgevano mestieri contadini e artigianali. La scolarizzazione era bassa, ma compensata dall’autodidassi; era diffusa la lettura, molto meno l’abitudine alla scrittura. Sono ricordati casi di emigrazione all’estero. Solo nei racconti di toscani è difficile che si parli di dialettofonia dei nonni; i toscani si attribuiscono varietà di lingua, sia pure rurali e arcaiche, non dialetti. Ma i colleghi toscani più consapevoli della differenza delle loro parlate dall’italiano standard (es. D_42) possono sorridere di quest’abitudine.

La generazione dei genitori è stata protagonista del cambiamento sociale, economico e linguistico dell’Italia postbellica. Ha vissuto in massa l’esperienza dell’inurbamento, spesso della migrazione da zone rurali del Sud o del Nord-Est verso le grandi città industriali del Nord-Ovest o verso i Paesi più industrializzati dell’Europa centrale. Uscita da famiglie contadine, ha optato per la modernità, cambiando stile di vita (il consumismo del miracolo economico); e, con un titolo di studio medio o un diploma professionale, ha trovato impiego nelle fabbriche o nel terziario. Ha trasformato la tradizionale diglossia italiano-dialetto in un bilinguismo funzionale, parlando dialetto coi propri genitori ma programmaticamente italiano coi figli, convinta (le madri, soprattutto) che la promozione sociale passasse attraverso la buona acquisizione della lingua nazionale. Il dialetto era rimasto relegato, quindi, all’ambito familiare, amicale e comunitario, soprattutto alla conversazione con anziani e al code-switching. L’italiano, connotato da tratti regionali ancora molto marcati, rendeva riconoscibile la provenienza geografica; si trattava poi spesso, negli inurbati, di una varietà popolare cittadina di basso prestigio sociale. La dialettofonia era sentita come retaggio del passato e della condizione di ignoranza della generazione precedente.

Gli adulti, i baby boomers, sono cresciuti in italiano, in una scuola che ha garantito l’istruzione di massa e ha fatto da ascensore sociale. Può capitare che siano i primi laureati in una famiglia in cui i nonni avevano scolarità elementare (a volte solo di un paio d’anni) e i genitori un diploma medio inferiore o superiore. È la prima generazione cresciuta con la televisione. Raro, tra loro, il dialetto passivo, rarissimo l’attivo. In compenso possiedono un ricco repertorio di varietà dell’italiano (privo però, ormai, delle varietà popolari che nelle generazioni precedenti erano il frutto dell’autodidassi combinata con la bassa scolarizzazione) cui aggiungono la conoscenza di una o più lingue straniere. Aumenta il tempo dedicato allo studio; nel nostro campione la formazione va oltre la laurea, al dottorato, a master, a esperienze di formazione e di lavoro all’estero, nel segno di una forte mobilità (cambi di residenza legati allo studio e ai posti di lavoro, cambi di attività, adattamento a nuove situazioni anche in età matura). L’investimento familiare sommato alla determinazione e alla passione individuale ha portato i baby boomers alla carriera universitaria fino ai più alti livelli.

I giovani del nostro campione sono cresciuti monolingui in italiano, ma spesso recuperano il dialetto o per comunicare in maniera espressiva coi coetanei o come una forma di riconoscimento del raggiungimento della condizione adulta in ambito familiare. Soprattutto nel Meridione e nel Nord-Est la vitalità dei dialetti è documentata anche dai giovani e dai giovanissimi. Quella dei giovani è la generazione che ha avuto computer e social e con questi, più che coi libri o con la televisione, passa gran parte del tempo. È stata esposta a un precoce apprendimento di lingue straniere, facendo soggiorni all’estero prima dell’università; quindi padroneggia meglio delle generazioni precedenti le altre lingue e le parla con disinvoltura, a volte anche in famiglia. Si può considerare il risultato dell’integrazione di diverse istituzioni formative, in un mondo dove l’europeismo (generazione Erasmus) e la globalizzazione hanno aperto i confini nazionali e dove, quindi, è più facile pensare a un trasferimento lavorativo anche definitivo in un diverso Paese.

Libro consultabile nell'archivio IRIS – Anagrafe della ricerca.