"Olav den helliges fall i slaget på Stiklestad", dipinto di Peter Nicolai Arbo. Wikimedia Commons

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Le saghe nordiche. Eroi, vichinghi e poeti nella Scandinavia medievale

di Fulvio Ferrari

11 febbraio 2022
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Nel corso del Medioevo, in Islanda e in Norvegia sono state scritte decine di saghe, testi narrativi in prosa che ripercorrono le imprese di antenati leggendari, temerari vichinghi, santi vescovi e cavalieri cortesi. Per molti versi, questo imponente corpus di narrazioni rappresenta ancora oggi un enigma: com’è possibile che una piccola comunità come quella norrena sia riuscita a procurarsi i mezzi materiali e le competenze intellettuali per dare vita a un simile fenomeno letterario? E con quale scopo? Che sia stato per puro intrattenimento o con finalità  legate ai conflitti politici dell'epoca, quel che è certo è che alcune di queste saghe sono entrate a far parte del canone letterario occidentale e costituiscono ancora una preziosa fonte di ispirazione per molti artisti dentro e fuori la Scandinavia.
Le saghe nordiche si propone come un’agile guida al lettore per orientarsi in questo complesso universo letterario, aprendo possibili percorsi di indagine e di approfondimento. 

Fulvio Ferrari è professore presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento

Dal capitolo 3. Dalla tradizione orale alle edizioni moderne (pagg. 43-45)

È davvero impressionante il numero di saghe che possiamo oggi leggere in edizioni scientifiche o popolari, sia nella lingua originale, sia nelle numerose traduzioni disponibili nelle più diverse lingue moderne, compreso naturalmente l’italiano. Ma come sono giunti fino a noi questi testi? Qual è stato il percorso che li ha portati dalla remota stanza di un sagnamaðr medievale fino alle nostre librerie?

Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo si sviluppa in Islanda (e, in misura più limitata, in Norvegia) una sorprendente attività letteraria. Si calcola che nel corso del XIII secolo siano stati composti i due terzi delle saghe che hanno come protagoniste le prime generazioni di abitanti dell’Islanda e la maggior parte delle saghe che narrano la vita e le imprese dei sovrani scandinavi. Già nel 1226, inoltre, viene eseguita, alla corte di re Hákon, la prima traduzione di un roman in lingua francese, il Tristan di Tommaso d’Inghilterra, dando così inizio alla tradizione delle saghe dei cavalieri, e con ogni probabilità prima della fine del secolo vengono elaborati e messi per iscritto per la prima volta in lingua norrena i racconti su eroi dell’epoca precedente alla conversione, primi esempi delle cosiddette saghe leggendarie o saghe del tempo antico.

Questo fermento creativo appare tanto più notevole se teniamo conto del fatto che, all’epoca, a produzione di un codice pergamenaceo era un’operazione assai costosa e richiedeva non solo abilità letteraria, ma anche una specifica competenza nella tecnica della produzione dei codici e della scrittura. Solo le istituzioni ecclesiastiche e le più potenti famiglie dell’oligarchia potevano dunque permettersi di finanziare il progetto di composizione di una saga. Perché lo facessero è questione ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi ma, in generale, possiamo affermare che è assai improbabile che il vasto e dispendioso processo di rielaborazione scritta delle tradizioni orali avesse come unico scopo l’intrattenimento. Le saghe, in quanto opere letterarie scritte, potevano avere diverse finalità pragmatiche, anche a seconda del tipo di racconto che ognuna di esse narrava: l’edificazione religiosa, indubbiamente, ma anche la legittimazione del potere di singole stirpi, l’affermazione del diritto di proprietà su certi terreni, l’elaborazione del complesso e spesso conflittuale rapporto tra oligarchia islandese e monarchia norvegese, l’illustrazione di esempi di saggezza o di astuzia, l’esaltazione di valori condivisi dalla comunità.

Sulla base del numero di testi che supponiamo essere stati composti nel corso del Duecento, abbiamo ragione di credere che una consistente quantità di manoscritti circolasse già in questo secolo: sicuramente gli originali, vale a dire i codici su cui i sagnamenn hanno composto la prima versione della loro saga, ma anche alcune copie di quegli stessi originali. I manoscritti giunti fino a noi databili al XIII secolo, tuttavia, sono ben pochi. Al periodo compreso tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo si possono fare risalire solo alcuni manoscritti – spesso frammenti – che contengono testi a carattere religioso (vite dei santi, omelie), giuridico o enciclopedico. La più antica testimonianza manoscritta di una saga è data da quattro fogli contenenti parte della Egils saga Skallagrímssonar e datati al 1250 circa, mentre a un quarto di secolo più tardi risale il frammento di un manoscritto della Laxdæla saga. I più antichi codici contenenti le altre saghe sono stati tutti redatti nel XIV secolo o nei secoli successivi. Il più antico manoscritto di un’altra celebre saga islandese, la Hrafnels saga Freysgoða, ad esempio, risale alla fine del XV o all’inizio del XVI secolo, vale a dire ad almeno un paio di secoli dopo la sua presunta data di composizione. In nessun caso ci è pervenuto l’originale, il manoscritto su cui è stata fissata per la prima volta una saga nella sua forma scritta.

Le ragioni per cui un così grande numero di manoscritti è andato perduto possono essere diverse. Il loro logoramento può essere stato favorito, nel corso dei secoli, dalle condizioni di conservazione e codici preziosi sono andati sicuramente perduti in seguito a eventi drammatici come, ad esempio, l’incendio scoppiato nell’ottobre 1728 a Copenaghen, in cui venne consumata dalle fiamme parte del patrimonio librario della biblioteca universitaria.

La perdita di un così alto numero di manoscritti ci impedisce di ricostruire un quadro completo del sistema letterario antico nordico: di numerose saghe conosciamo solo il titolo o l’argomento grazie alle citazioni nei testi che ci sono pervenuti, altre sono state probabilmente del tutto dimenticate. Il fatto di avere – nella stragrande maggioranza dei casi – copie redatte a decenni, se non a secoli di distanza dalla composizione degli originali, inoltre, rende spesso molto difficile, quando non del tutto impossibile, formulare precise proposte di datazione delle singole saghe. In assenza dell’originale o di chiari indizi contenuti nel testo – l’indicazione di un committente storicamente collocabile, ad esempio – gli studiosi si sono spesso affidati a criteri estetici o ai riferimenti intertestuali presenti nelle saghe. Si tratta però di criteri tutt’altro che affidabili.

Per gentile concessione della Casa editrice Meltemi