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Elementi di geoarcheologia. Minerali, sedimenti, suoli

di Diego E. Angelucci

28 febbraio 2022
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La geoarcheologia è la disciplina che unisce i metodi dell’archeologia e delle scienze della Terra per spiegare come si sono formate le stratificazioni archeologiche e ricostruire le relazioni tra i gruppi umani del passato e il territorio in cui vivevano. Il volume Elementi di geoarcheologia fornisce i primi fondamenti di questo segmento dell’archeologia contemporanea, riassumendo i concetti relativi alle materie prime (minerali e rocce), ai sedimenti, ai suoli e alla stratigrafia. Arricchito di oltre 250 immagini disponibili online, il testo è rivolto a studenti universitari di formazione umanistica e a chiunque voglia avvicinarsi alla materia.

Diego E. Angelucci è professore presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento

Dal Capitolo 5. Gli ambienti sedimentari (pagg. 131-132)

L'importanza archeologica degli ambienti alluvionali

Gli ambienti fluviali possiedono grande interesse archeologico per svariati motivi. In primo luogo sono aree di insediamento preferenziale, essendo ambienti ricchi di biomassa, con ampia disponibilità di acqua, suoli facilmente coltivabili e un’elevata articolazione in microambienti e nicchie ecologiche (cfr. Brown, 1997). Gli ambienti alluvionali presentano inoltre le condizioni adatte per la genesi di stratificazioni di un certo spessore, la cui messa in posto è talora controllata da dinamiche che incentivano la conservazione del record archeologico, come accade nelle piane d’esondazione e nelle aree dove hanno luogo processi di bassa energia, con accumulo di depositi trasportati in sospensione. Inoltre, le condizioni anossiche date dalla saturazione idrica che si verificano in alcune posizioni (canali abbandonati, laghi di meandro ecc.) rallentano significativamente la decomposizione dei materiali di composizione organica, favorendone ulteriormente la conservazione.

Allo stesso tempo, le modalità di attuazione delle dinamiche superficiali comportano che, in alcune aree dell’ambiente alluvionale, si possano instaurare condizioni di stabilità geomorfologica per tempi prolungati (caso questo dei terrazzi fluviali e talora dei conoidi alluvionali), rendendo possibile l’insediamento in modo pressoché continuo. Gli esempi in questo senso sono numerosi e la breve lista a seguire non rende giustizia alla ricchezza e varietà delle situazioni riscontrabili in questi ambienti. 

Per quanto riguarda le zone preferenziali d’insediamento all’interno dei sistemi alluvionali, spesso sono le stesse dinamiche sedimentarie a stabilire quali aree sono abitate stabilmente e quali no. Qualsiasi osservatore attento potrà notare che, nelle grandi vallate alpine, i nuclei abitati tradizionali si collocano prevalentemente sui conoidi alluvionali laterali (fig. 135) oppure su terrazzi rilevati rispetto al fondovalle. Tra i casi che si possono citare si ricorda la valle dell’Adige, dove gli abitati storici sono sistematicamente su conoide alluvionale; ad esempio, Trento è parzialmente edificata sul conoide del Fersina, mentre Rovereto occupa quello del Leno (per approfondimenti si veda Angelucci, 2016). Lo stesso avviene per le evidenze archeologiche, che sono frequenti nelle aree di conoide: un esempio su tutti è dato dal sito preistorico de la Vela, a Trento (Lanzinger et al., 2001). La situazione è simile anche nelle aree di pianura. Nella pianura padana molte città al margine dei rilievi occupano conoidi sia dal lato alpino sia da quello appenninico (Cremaschi, Nicosia, 2012), mentre nella pianura vera e propria i nuclei abitati attuali e del passato si trovano preferenzialmente su dossi fluviali (come nel caso del vicus romano di Bedriacum, presso Calvatone, CR, cfr. Angelucci, 1997), lungo paleoalvei più o meno rilevati (quali molti abitati pre-protostorici e storici della pianura padano-veneta, come rispettivamente il sito di Frattesina, RO, cfr. Piovan et al., 2010, o la città di Ferrara, cfr. Bianchini et al., 2014) oppure su terrazzi fluviali (ad esempio il sito neolitico del Vhò di Piadena, CR, cfr. Bagolini, Biagi, 1975, che si ubica su un terrazzo pleistocenico della pianura padana). Tutti i casi citati corrispondono a posizioni sopraelevate e stabili che consentono di minimizzare il rischio di inondazione. Allo stesso tempo, questi luoghi permettono di approfittare della ricchezza delle fasce alluvionali attive, dove abbonda l’acqua e dove i suoli sono facilmente coltivabili grazie alle loro caratteristiche (tessitura, struttura, abbondanza di materia organica ecc.), fattori di grande rilevanza per le prime comunità di agricoltori (per uno studio sulla relazione tra popolamento neolitico, geomorfologia e caratteristiche dei suoli in pianura padana si veda Biagi et al., 1993).

Altri fattori d’interesse archeologico riguardano la grande varietà di microambienti che contraddistinguono i sistemi alluvionali, soprattutto nelle pianure (con barre, canali abbandonati, golene, terrazzi ecc.), che si traduce in un’elevata biodiversità e ricchezza in termini di biomassa. Questa varietà è difficile da percepire oggi a causa della rettifica e della regimazione degli alvei fluviali e della riorganizzazione del territorio mediante bonifiche, riporti o spianamenti. Grazie all’analisi geomorfologica e geoarcheologica è però possibile ricostruire l’articolazione di queste aree, spesso soggette a rapida evoluzione nel tempo.
 

Per gentile concessione della Casa editrice Carocci