In salita verso punta di Rocca, Marmolada. Archivio Giorgio Daidola

In libreria

Marmolada bianca

di Giorgio Daidola

29 aprile 2022
Versione stampabile

La Marmolada nella sua veste invernale e primaverile esprime da sempre il meglio di uno sci senza età, di uno sci che non è solo sport in quanto investe anche le sfere dello spirito.
L’autore, che ha avuto il privilegio di lasciare le sue tracce su questo massiccio per quasi mezzo secolo, è seriamente preoccupato della probabile perdita di questa dimensione sciatoria per la Regina delle Dolomiti, con la sua definitiva omologazione ai moderni lunapark della neve finta. Per farci capire cosa rischiamo di perdere in termini di bellezza (non solo sciistica) ci descrive le classiche linee di discesa, spesso sconosciute al gran numero di sciatori che frequentano in fila indiana la Marmolada sempre lungo lo stesso itinerario. Indugia anche sulle grandi traversate del selvaggio versante sud del massiccio, espressione di uno sci maturo.
Questo volume non vuole però essere una guida di itinerari sciistici da affiancare alle ottime guide elencate nella bibliografia. Vuole essere soprattutto un tentativo di far capire che esiste, tra editti tanto reboanti quanto utopistici e progetti malsani di falsa sostenibilità, una terza via praticabile anche economicamente per salvare questa montagna simbolo delle Dolomiti. E con lei anche il vero sci.

Giorgio Daidola insegna presso il Dipartimento di Economia e Management dell'Università di Trento

Dal capitolo Una bella utopia (pagg. 95-99)

20 giugno 2021. La scorsa settimana l’ho salita e scesa con gli sci per l’ultima volta. La quarta di questa lunga e fortunata stagione scialpinistica in piena pandemia. Non potevo desiderare di meglio. Condizioni perfette, neve facile, sciata appagante e rilassante. È questo il piacere che pochi conoscono dello sci di tarda primavera. Inoltre, sarà perché sono vecchio, non mi va più di cimentarmi con discese complicate e difficili: in Marmolada so quello che trovo, pendii che sembrano fatti apposta per lo sci, un mare bianco che offre un senso di spazio unico, con sullo sfondo le più celebri guglie dolomitiche. Ho ripensato ai numerosi articoli che ho scritto su questa montagna perfetta, soprattutto alle ultime interviste agli operatori turistici di Fedaia, la località ai piedi della Marmolada, pubblicate dalla rivista Dislivelli. [...]

Dalle mie interviste agli operatori, com’era abbastanza prevedibile, è emerso che senza un impianto, la piccola stazione di Fedaia è destinata a morire come stazione invernale. Non tutti sono però d’accordo sull’opportunità di sostituire un impianto leggero e poco impattante com’era la storica cestovia distrutta dalla valanga del dicembre 2020, con un impianto pesante corredato da piste autostrade messe in sicurezza con reti e protezioni, innevamento artificiale, bar in quota, ecc…Anche le critiche alla torre di cemento antivalanghe per la stazione di arrivo (che poi sarà anche di partenza, per una futura conquista di Punta Rocca…) del nuovo impianto non sono mancate. Mancava però un’opinione, nelle mie interviste: quella di Roby Platter, titolare del bar-tavola calda a Fedaia. Roby Platter è guida alpina e maestro di sci, come suo padre e come suo nonno. Uno che la montagna la conosce bene. Sono andato a trovarlo dopo la mia ultima discesa. La sua idea per la Marmolada non verrà probabilmente mai presa in considerazione ma credo valga la pena di una riflessione, perché sarebbe l’unica che farebbe di Fedaia una stazione peculiare, da annoverare accanto alle giustamente decantate stazioni svizzere di Wenghen, di Murren, di Zermatt, di Sass Fee. Si tratterebbe di realizzare una ferrovia a cremagliera, quasi tutta in galleria, per raggiungerla da Alba di Canazei. É ben noto che la strada per Passo Fedaia è pericolosa in inverno e i nuovi paravalanghe non hanno risolto il problema. Per questo motivo la strada è chiusa fino a maggio sul versante veneto di Malga Ciapela. Meglio quindi, secondo Platter, chiuderla del tutto in inverno anche sul versante trentino, con notevole risparmio di costi. Ne guadagnerebbe molto anche Canazei, che potrebbe vantare un collegamento comodo ed esclusivo con Fedaia, facendone una stazione diversa dalle altre, senza traffico e inquinamento, dotata solo di impianti leggeri, più che sufficienti per farne un paradiso del freeride e dello scialpinismo, ossia di modi di vivere lo sci ovunque in grande sviluppo. 

Il trenino Canazei-Fedaia rimarrà con ogni probabilità una bella utopia. Come quello  della Valle di Fiemme e della Val di Fassa, proposto dall’associazione Transdolomites, di cui costituirebbe un interessante prolungamento. Ammesso che si prendano in considerazione  alternative al tenere aperta in inverno una strada difficile come quella per Passo Fedaia, è verosimile che si preferirebbe progettare una moderna cabinovia. Come purtroppo è successo per il collegamento San Martino di Castrozza - Passo Rolle, con un impatto visivo, malgrado le stazioni interrate, che credo non abbia bisogno di commenti. Le ferrovie di montagna a differenza degli impianti a fune si inseriscono invece bene nel paesaggio. Si pensi ad esempio alla lunga linea che collega Tirano in Valtellina a Passo Bernina e di qui a Saint Moritz. Si tratta inoltre di investimenti più duraturi oltre che meno pericolosi degli impianti a fune, che richiedono complesse manutenzioni straordinarie e onerose opere per il loro smantellamento alla fine della loro vita utile. Se sostenibilità significa pensare al futuro non vi è dubbio che le linee ferroviarie costituiscono, in tutti i sensi, investimenti più “sostenibili” degli impianti a fune.  La ferrovia dello Junfraujoch 3454 metri, entrata in servizio nel 1912, ne è l’esempio più eclatante. Costruire a fine ottocento una ferrovia di 9 chilometri di cui 7 di galleria sotto la parete nord dell’Eiger e del Monch con i mezzi di allora poteva essere considerata pura follia. A distanza di quasi 110 anni questa ferrovia risulta ancora essere una delle chiavi del successo del turismo nell’Oberland bernese, con oltre un milione di passeggeri ogni anno. Un investimento quello nella Jungfrau Bahn, che continua a dare ottimi risultati economici, certo migliori di quelli della maggior parte dei moderni impianti a fune.

Per gentile concessione delle Edizioni Del Faro.