Dettaglio della copertina del libro

In libreria

Le Neuroscienze cognitive. Come il cervello genera la mente

di Manuela Piazza e Francesco Pavani

4 novembre 2022
Versione stampabile

Ciò che pensiamo, sentiamo, come ci comportiamo dipende dal funzionamento dell’organo più complesso e misterioso del nostro corpo: il cervello. In che modo riesce a supportare la vastità della nostra mente?
Le neuroscienze cognitive sono la disciplina che affronta questa fondamentale domanda scientifica, una disciplina che sta vivendo oggi la sua piena adolescenza. Come gli adolescenti, anche le neuroscienze cognitive sono irrequiete e creative, a tratti arroganti e misteriose, a volte persino ingenue. Ma sono anche socialmente impegnate, visionarie e rivoluzionarie. Questo libro offre a lettrici e lettori curiosi alcuni strumenti per avvicinarsi allo studio di come il cervello genera la mente.

Manuela Piazza e Francesco Pavani sono professoressa e professore presso il Centro Interdipartimentale Mente Cervello - CIMEC

Dal Capitolo 1 (pag. 11-14)

Pensate al tipico inizio di settimana. È lunedì. La sveglia vi manda un segnale acustico, riconoscibile, che vi porta fuori da quello stato alterato di coscienza che è il sonno. Quasi non avete bisogno di aprire gli occhi per ricordare la posizione della sveglia, la raggiungete con un movimento del braccio e la spegnete. Vincete l’apatia che vi porterebbe a girarvi dall’altra parte, mettete i piedi giù dal letto e vi alzate. La vostra memoria dell’ambiente vi permette di raggiungere il bagno, gettando solo rapide occhiate al tragitto. Di solito, già mentre svolgete queste prime operazioni – abitudinarie e quasi automatiche – alla vostra consapevolezza cominciano a affiorare pensieri su ciò che deve accadere nella giornata, a volte nell’intera settimana. Come un computer che si riavvia, riaprite nella mente finestre e programmi della giornata precedente, della settimana precedente. Nella vostra testa affiorano liste di cose da fare e priorità. Nel frattempo state camminando verso la cucina, dove guardandovi attorno riconoscete la moka e iniziate la preparazione del caffè. Con un gesto ben appreso afferrate la parte superiore della moka con la mano destra, mentre con la sinistra tenete salda la parte inferiore. Ruotate le mani in senso opposto, smontate la moka nelle sue tre parti, riempite la base con l’acqua, il filtro con il caffè, assemblate nuovamente il tutto, mettete la moka sul fornello e accendete il gas. Forse qualcuno vi ha raggiunto in cucina. Leggete lo stato del suo umore mattutino dalla camminata e dalle espressioni del volto, cominciate a parlarvi e la settimana ha inizio. 

Quella che abbiamo appena descritto è una delle tante sequenza di percezioni, pensieri e azioni che costituiscono la nostra giornata. Un microscopico frammento di quel flusso ininterrotto di interazioni con l’ambiente che è il nostro comportamento da svegli. Se la ripercorrete, troverete tracce di molte abilità della mente. La capacità di percepire e riconoscere un suono (l’allarme della sveglia), la capacità di mantenere in memoria la posizione degli oggetti attorno a voi e degli ambienti nei quali vi trovate (la posizione della sveglia, il percorso per il bagno), la capacità di vincere uno stato di immobilità per innescare un’azione volontaria (alzarsi), la capacità di mantenere una traccia a lungo termine degli impegni, degli obiettivi e dei vostri piani (la lista delle cose da fare). E poi ancora la capacità di usare la vista per riconoscere gli oggetti attorno a voi (individuare la moka), la precisa conoscenza prassica e procedurale che sottende alle interazioni con essi (smontare la moka e preparare il caffè), la competenza sociale e la competenza linguistica che vi permette di entrare in relazione con gli altri individui della nostra specie in una maniera molto più complessa di quella che potete fare con un gatto. L’insieme di tutte queste abilità costituisce la nostra interfaccia con l’ambiente fisico e sociale, permette (e vincola) cosa possiamo fare nel mondo e – in ultima istanza – definisce chi siamo.

Per riferirci a queste abilità mentali nel loro complesso possiamo usare il termine funzioni cognitive, ovvero l’insieme di quelle funzioni che il nostro sistema cognitivo è in grado di realizzare. La percezione, la memoria, l’attenzione e il linguaggio sono tutti esempi di funzioni cognitive. Allo stesso modo anche la capacità di muoverci nell’ambiente, la capacità di interpretare le intenzioni degli altri, la capacità di esplorare le nostre conoscenze apprese, la capacità di leggere e scrivere, la capacità di fare calcoli, la capacità di inibire comportamenti inappropriati per il contesto, la capacità di imparare dai nostri errori, e persino la capacità di vivere un’esperienza emozionale e estetica di fronte ad un’opera d’arte sono esempi di funzioni cognitive. In generale, possiamo dire che ogni singola abilità che la nostra mente è in grado di realizzare è, in qualche modo, espressione del nostro sistema cognitivo.  

Se vi fermate un attimo a pensarci è piuttosto sorprendente. Ognuna delle abilità mentali che possediamo deve essere compresa all’interno delle potenzialità del nostro sistema cognitivo. Detto in altri termini, se avessimo un sistema cognitivo diverso non necessariamente ci sarebbe possibile realizzarla. Prendete il linguaggio umano, ad esempio. Non siamo l’unica specie sul pianeta in grado di comunicare: le api comunicano la posizione del cibo nell’ambiente attraverso una danza complessa, molte specie scambiano segnali olfattivi per regolare gli aspetti del loro vivere sociale, e certo non siamo gli unici a usare delle vocalizzazioni o dei gesti corporei per mandare segnali agli altri membri della nostra specie o di specie diverse.

Tuttavia, siamo l’unica specie dotata di pensiero simbolico, in grado di creare vocalizzazioni o gesti dal significato del tutto arbitrario su base condivisa e, soprattutto, di sfruttare quella incredibile proprietà generativa che è la sintassi per combinare in maniera sempre nuova e praticamente infinita l’insieme delle parole a nostra disposizione per esprimere il nostro pensiero. La flessibilità, la precisione, il grado di astrazione che permette il linguaggio umano naturale rappresenta un livello di comunicazione che solo la nostra specie è in grado di raggiungere. Un’abilità che solo il nostro sistema cognitivo è in grado di realizzare. Ancora una volta, anche se non ci pensiamo spesso, questo principio vale anche per altre abilità cognitive – anche quelle che non sono esclusive della nostra specie. Se possiamo esprimerle è perché qualche caratteristica del nostro sistema cognitivo lo consente.

 Un secondo aspetto al quale prestiamo poca attenzione è che nessuna delle nostre abilità cognitive è da dare per scontata. Nuovamente, il linguaggio umano ne è un perfetto esempio. Ognuno di noi, alla nascita, non aveva le competenze linguistiche che possiede ora. Nel giro di pochi anni di vita le nostre abilità linguistiche si sono sviluppate e rapidamente consolidate, partendo dalla semplice esposizione agli scambi linguistici con gli individui attorno a noi. Molti di noi hanno appreso almeno una lingua – e molti altri più d'una – semplicemente ‘assorbendola’ dall’ambiente linguistico al quale eravamo esposti. Ma così come la nostra capacità linguistica non è sempre stata quella che conosciamo oggi, non è affatto garantito che potremo continuare a beneficiarne per tutto l’arco della nostra vita. A volte diventa temporaneamente meno disponibile: quando siamo molto stanchi, quando siamo sotto pressione, quando ci è capitato di esagerare con il vino. Altre volte diventa inaffidabile o del tutto inaccessibile in maniera purtroppo permanente: come nel caso di persone che perdono le loro capacità linguistiche in parte o del tutto per effetto di un danno cerebrale. Dalla metà dell’800 abbiamo descrizioni sistematiche di come le lesioni al cervello possano compromettere un’abilità linguistica ben appresa e consolidata, causando problemi di comprensione e produzione del linguaggio orale noti come ‘afasie’. Attraverso l’esame post-mortem di cervelli di persone che avevano sofferto di afasia, i neurologi francesi (Marc Dax, Paul Broca) e tedeschi (Carl Wernicke, Ludwig Lichtheim) pionieri di queste ricerche stabilirono alcune generali corrispondenze fra la sede della lesione cerebrale e i deficit linguistici. In particolare, evidenziarono il ruolo di regioni specifiche dell’emisfero cerebrale sinistro nelle afasie (le cosiddette ‘area di Broca’ e ‘area di Wenicke’, rispettivamente nel lobo frontale e temporale dell’emisfero sinistro).

 Quest’ultima considerazione ci porta all’aspetto di cui ci occuperemo in questo libro e, più in generale, in questa collana. Se è vero che ogni singola abilità mentale è espressione del sistema cognitivo di cui dispone la nostra specie, è anche vero che il sistema cognitivo è espressione di un organo biologico: il cervello. In qualche modo la biochimica che regola il funzionamento delle singole cellule nervose e dei loro scambi, il modo in cui le cellule sono collegate fra loro in reti locali o di più ampio raggio, il modo in cui queste reti funzionano a livello di sistema, permette l’emergere del sistema cognitivo. 
 
Lo scopo ultimo della disciplina che chiamiamo neuroscienze cognitive è comprendere in che modo il cervello sia in grado di esprimere le abilità cognitive. In questo libro ci concentreremo principalmente su come un modello particolare di cervello (quello dell’Homo Sapiens) permetta l’emergere un tipo particolare di sistema cognitivo (quello della nostra specie). Come vedremo, però, la strada per arrivare a risolvere l’enigma della relazione fra cervello e cognizione nella nostra specie passa necessariamente anche attraverso lo studio di come il cervello di altre specie animali permette le abilità cognitive che esse sono in grado di esprimere.

Per gentile concessione della casa editrice Carocci.