Immagine tratta dalla copertina del libro.

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IL SERVIZIO SOCIALE NEL TERZO SETTORE

di Luca Fazzi

28 marzo 2017
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Dalla quarta di copertina
I moderni sistemi di protezione sociale sono istituzioni da sempre in continua trasformazione. Nel prossimo futuro le traiettorie dei sistemi di welfare si baseranno sempre più sul contributo del terzo settore e delle organizzazioni della società civile, consolidando una tendenza che negli ultimi venti anni è stata costante. Per il servizio sociale questo cambiamento aprirà una sfida epocale, e sarà chiamato a sviluppare una nuova consapevolezza e nuove competenze per lavorare in organizzazioni che, pur condividendo con il soggetto pubblico la mission del perseguimento di finalità sociali senza scopo di lucro, si differenziano da esso in modo sostanziale per caratteristiche strutturali, sistemi produttivi e finalità operative.

Luca Fazzi è professore ordinario presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell'Università di Trento.

Dall'Introduzione (pp 6-8)

Nel nuovo scenario, il soggetto pubblico rischia di non assicurare più da solo come in passato una spinta propulsiva verso il perseguimento delle finalità di risposta ai bisogni sociali dei cittadini. Un ruolo di crescente integrazione e in alcuni casi di sostituzione di tale spinta è svolto da diversi anni dalle organizzazioni di terzo settore. Il termine terzo settore è spesso utilizzato in alternativa a privato sociale, settore nonprofit o settore indipendente e si riferisce all'ampio e variegato universo di organizzazioni private che perseguono finalità sociali senza fine di lucro (Donati, 1996). Il terzo settore è presente in Italia molto prima della fase dell'avvio del welfare pubblico. Enti caritativi e assistenza volontaria ai bisognosi e agli indigenti sono tratti caratteristici della storia delle Regioni italiane fin dal Medioevo. Grazie anche alla presenza diffusa delle istituzioni religiose, le attività caritative rivolte a malati e poveri in particolare hanno costituito un perno importante della vita sociale per molti secoli e sono da considerare elementi connotativi della società italiana sia precedentemente che in seguito all'Unificazione del Paese. Mentre in passato il terzo settore era costituito da enti e associazioni di natura volontaristica, dagli anni '70 del secolo scorso esso si è caratterizzato per un processo di marcata professionalizzazione e strutturazione organizzativa. In base alle statistiche più recenti, il terzo settore italiano rappresenta il 6.4 % delle unità economiche attive a livello nazionale e al suo interno sono occupati attualmente circa 600.000 lavoratori di cui almeno la metà operano nel settore dei servizi sociali che costituiscono il 3.4 % della intera forza lavoro italiana (ISTAT, 2014a). Il numero degli assistenti sociali occupati nel terzo settore dovrebbe essere prossimo a circa 10.000 unità ovvero un quarto circa degli assistenti sociali abilitati con quasi un raddoppio in termini percentuali rispetto alle rilevazioni di dieci anni fa.
Nonostante le ricerche empiriche indichino una presenza crescente di assistenti sociali occupati in questo ambito, è convinzione ancora molto diffusa che lavorare nel terzo settore sia una scelta di ripiego, o addirittura una forzatura rispetto alla vocazione naturale della professione. La crescita degli sbocchi occupazionali nel terzo settore a discapito del pubblico è definita da alcuni autori espressamente come uno “scivolamento” che anche semanticamente rimanda all'idea del passaggio da una collocazione più elevata in termini di status e riconoscimento sociale verso una più bassa (May e Cacioppo, 2015, p. 70). Il terzo settore è considerato da altri osservatori come un “cavallo di Troia” del liberismo e della privatizzazione dei servizi. La preoccupazione è che attraverso la crescita del terzo settore si assista a un depauperamento della qualità del lavoro e dei servizi e che le logiche di garanzia pubblica siano sostituite da modelli di azione di tipo privatistico e auto-interessato (Cerri, 2006). Inoltre, l'azione del terzo settore, essendo mossa da aspetti ideologici e valoriali molto marcati, ha tradizionalmente un carattere particolaristico. L'obiettivo di fornire risposte a taluni gruppi sociali, i disabili, i malati mentali, ecc., definisce scale di priorità che antepongono i bisogni di alcune categorie di persone rispetto a quelli del resto della popolazione. In questo modo, il rischio è la riproduzione di culture particolaristiche dei servizi che portano a perdere di vista i valori e i principi portanti dell'universalismo tipici dei moderni sistemi di welfare (Ranci, 1999).
La gran parte di questi timori sono teoricamente fondati ma le rappresentazioni che vedono come un declassamento lavorativo e un rischio di perdita dell'identità della professione lo sviluppo del servizio sociale nel terzo settore sono supportate ad oggi più da suggestioni e stereotipi valutativi, che da solide evidenze empiriche. Una analisi scarsamente basata su dati rischia di supportare una visione del lavoro e delle opportunità di sviluppo del servizio sociale all'interno di questo comparto del welfare distorta e incompleta. Così come accade per il settore pubblico, da molti giudicato, con un errore valutativo altrettanto grave, intimamente farraginoso e impersonale, anche nel settore privato si possono trovare situazioni lavorative, condizioni e opportunità di crescita professionale eterogenee e diversificate.

Per gentile concessione di Maggioli Editore.