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In libreria

UNA STRANA GUERRA FREDDA

di Sara Lorenzini

21 settembre 2017
Versione stampabile

Dalla quarta di copertina. 

Con la decolonizzazione l’aiuto allo sviluppo divenne un elemento costante nella politica degli Stati e delle organizzazioni internazionali, strumento di emancipazione in Asia, Africa e America Latina. Nel rileggere le relazioni Nord-Sud durante la guerra fredda attraverso la lente dello sviluppo, il volume racconta come i paesi avanzati affrontarono la questione della povertà, come elaborarono le loro scelte politiche, dove investirono, con quali obiettivi e in quali progetti, secondo quali modelli concorrenti di società.

Sara Lorenzini è professoressa di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento e della Scuola di Studi Internazionali.

Dall’introduzione.

Il 25 giugno 1975 Samora Moises Machel, primo presidente del Mozambico indipendente, tenne un lungo discorso nello stadio Machava di Lourenço Marques. Gli spalti erano gremiti di cittadini in festa e alle celebrazioni per l’indipendenza erano stati invitati moltissimi ospiti esponenti dei Paesi e delle organizzazioni che aveva aiutato il Frelimo, il Fronte di liberazione nazionale del Mozambico, durante la lotta armata. Machel era giunto nella capitale dopo un viaggio durato un mese, una sorta di marcia trionfale, dal fiume Rovuma nel nord, al confine con la Tanzania, fino alla foce del Maputo, nel sud del paese. A ogni tappa aveva tenuto accorati discorsi, esaltando il successo – la vittoria contro il colonialismo portoghese – e incitando all’unità di fronte alla prossima sfida – la costruzione del nuovo stato. La Repubblica popolare del Mozambico, dichiarava Machel, si sarebbe sbarazzata di quel che restava del colonialismo, avrebbe bandito lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, rifondato la società su nuove basi, materiali e ideologiche, introdotto una moderna cultura amministrativa. Il Mozambico sarebbe diventato un’economia avanzata, prospera e indipendente con l’aiuto degli alleati naturali, cioè i paesi socialisti e vicini africani, anzitutto Tanzania e Zambia. L’agricoltura come base e l’industria come motore, il nuovo stato avrebbe messo al centro della propria azione l’educazione, i giovani, la salute e l’emancipazione femminile e promosso uno sviluppo economico e sociale incentrato sulla comunità, sulla valorizzazione della tradizione, sullo scambio di conoscenze.
La sanguinosa guerra di liberazione del Mozambico dal colonialismo portoghese era durata dieci anni. Il Frelimo aveva ricevuto la solidarietà dell’Unione Sovietica e dei paesi dell’Europa orientale che avevano inviato armi, aiuti di emergenza, consiglieri e tecnici. E che avevano promesso di contribuire alla costruzione del nuovo stato. Il conflitto era diventato uno dei fronti della guerra fredda. Quella guerra fredda che così spesso, nell’Africa degli anni Settanta, era invece una guerra calda. La liberazione, in Mozambico come altrove nell’Africa meridionale, non segnò tuttavia la fine degli scontri che continuavano ai confini. Qui il Renamo (resistenza nazionale mozambicana), il gruppo nato nel 1975 e sostenuto dalla Rhodesia e dal Sudafrica dell’apartheid, ricorreva alla guerriglia per difendere il governo della minoranza bianca contro la rivolta armata del fronte patriottico. 
Al terzo congresso del Frelimo nel 1977, il primo dopo l’indipendenza, i progetti per lo sviluppo accennati solo vagamente al momento dei festeggiamenti acquistarono una forma più precisa. Fra questi spiccava la valorizzazione della grande diga di Cabora Bassa, la gigantesca opera sul fiume Zambesi inaugurata solo sei mesi prima dell’indipendenza. Si trattava di «addomesticare l’elefante bianco», di rendere cioè produttivo e utile alla popolazione un progetto costosissimo, nato come sogno coloniale già negli anni Trenta e avviato nel 1956 per fungere da simulacro del colonialismo portoghese. La costruzione, che dopo complesse gare e negoziati fu affidata a un consorzio di ditte provenienti da Portogallo, Germania occidentale, Gran Bretagna e Sud Africa, iniziò nel 1969 e terminò nel 1974. La grande centrale idroelettrica era nata per fornire energia al Sudafrica ed era simbolo dell’unione ideale fra le comunità bianche dell’Africa del Sud. Per questo, la grande diga di Cabora Bassa era anzitutto sinonimo ed era stata a lungo oggetto di attacchi, propagandistici ma anche materiali, da parte del Frelimo. La sfida per la nuova classe dirigente e di empowerment della popolazione nera, partendo dall’utilizzare l’energia sul territorio mozambicano. Le parole e i progetti di Machel echeggiavano quelli di altre icone dell’indipendenza nazionale prima di lui, da Gamal Abdel Nasser in Egitto a Jawaharlal Nehru in India, fino a Kwame Nhrumah in Ghana, con una retorica di liberazione più chiaramente marxista leninista. La retorica tuttavia non era sufficiente. Le ricadute sulla popolazione locale non avevano nulla di positivo, anche lontano dalle zone di guerra. La diga aveva distrutto l’agricoltura tradizionale e aveva ridotta in miseria i contadini che subivano riottosi l’insediamento forzoso di comunità rurali. La storia di Cabora Bassa descrive la classica parabola dell’aiuto allo sviluppo durante la guerra fredda. È la storia di una grande opera coloniale, progettata con la tronfia noncuranza delle conseguenze ambientali e sociali, tipica dei progetti di modernizzazione.  È un esempio di violenza sulla natura, sulle comunità e sulle tradizioni che la nuova classe politica post indipendenza convertì il simbolo di emancipazione, incontrando però nella popolazione le stesse resistenze del periodo coloniale. [...]

L’età contemporanea è percorsa da storie come quella di Cabora Bassa. Storie che hanno in comune quello che è stato descritto come un mito globale: la priorità dello sviluppo. Nel ventesimo secolo, nessun’altra parola ha catturato l’immaginario collettivo quanto la parola sviluppo. [...]

Questo libro studia appunto lo sviluppo come fenomeno globale in età contemporanea.  È un lungo viaggio nella storia politica, intellettuale ed economica del novecento, punteggiato di grandi personaggi e casi di studio. Rilegge le relazioni Nord-Sud durante la guerra fredda attraverso la lente dello sviluppo. [...]

Per gentile concessione della casa editrice Il Mulino.