Gli autori: Fulvia de Luise, Giuseppe Farinetti

In libreria

I FILOSOFI PARLANO DI FELICITA'. LE RADICI DEL DISCORSO.

Fulvia de Luise, Giuseppe Farinetti

24 novembre 2014
Versione stampabile

Presentiamo qui un estratto dal libro "I filosofi parlano di felicità" in due volumi (I: "Le radici del discorso"; II " Tra i moderni"), di Fulvia de Luise, professore di Storia della Filosofia Antica presso l'Università di Trento, e Giuseppe Farinetti, professore di Storia e filosofia nei licei, coautori.

Nel primo volume della raccolta, dedicato a Le radici del discorso, sono stati selezionati testi appartenenti ad autori fortemente rappresentativi del pensiero antico e medievale, che costituiscono in un certo senso le premesse di ogni discorso filosofico sulla felicità.
Nel secondo volume, Tra i moderni, il tema della felicità si declina seguendo diverse piste. La raccolta è articolata  in sezioni, che corrispondono ad aree di discorso, in cui temi nuovi si sviluppano, talvolta in polemico contrappunto tra i filosofi, talvolta in modo inconsapevolmente dialettico, circolando e rimbalzando dall’uno all’altro. L’apertura dello spazio sociale, gli apporti progressivi della ricerca nell’ambito delle scienze della natura e della fisiologia umana, l’insorgere di questioni nuove di etica privata e pubblica, di ceto e di genere cambiano le condizioni di base del discorso filosofico.

Dall’Introduzione a de Luise & Farinetti, I filosofi parlano di felicità. Le radici del discorso, Einaudi, Torino 2014, vol. I,  pp. VII-IX e p. XV
[Il secondo volume è de Luise & Farinetti, I filosofi parlano di felicità. Tra i moderni, Einaudi, Torino 2014, vol. II.]

Volume I volume II

Raccontano che Pitagora, uomo insigne per dottrina, si era recato a Fliunte
e con Leonte, principe della città, aveva tenuto dissertazioni con competenza
(docte) e ampiezza (copiose). Leonte, ammirato del suo genio e della
sua eloquenza, gli chiese in quale straordinaria arte fosse specializzato. Al
che egli rispose: «Non conosco nessuna arte, ma sono filosofo» (Cicerone,
Disputazioni Tusculane, V, III, 8).

Non c’è filosofo, tra gli antichi e i moderni, che non abbia parlato di felicità. Si direbbe una questione di deontologia per una figura intellettuale che ha rinnovato nel tempo la fama di atopia di Socrate, proponendo la sua interlocuzione autorevole su ogni questione di verità o di bene, senza mai possedere un campo di
competenza suo proprio. Ancora oggi, nel cuore di una cultura scientifica i cui risultati sono tanto piú opachi in ragione dello specialismo necessario a una comprensione non limitata alla fruizione, ci si aspetta che il filosofo abbia qualcosa di illuminante da dire per la vita di tutti; ed è quel che resta del suo antico prestigio.
Per quanto incerto e mutevole nel tempo, il profilo professionale del filosofo si associa a una forma di saggezza, al saper prendere le cose nel modo migliore, con intelligenza e superiorità. Perfino la storia malevola di Talete caduto nel pozzo mentre camminava guardando le stelle lascia trasparire una sorta di invidia per chi può rifugiarsi in un mondo contemplativo tutto suo, dove è evidentemente felice. Ma la domanda di filosofia si è alimentata nel tempo a dispetto del ridicolo di un’eccellenza presunta legata a un sapere autoreferenziale; e, nonostante l’isolamento che ha circondato qualche austera figura di pensatore, la filosofia ha goduto di ampia considerazione sociale, mettendo a disposizione cognizioni ritenute utili a interpretare il mondo e anche a pensare la propria vita. 
Prima di diventare un docente piú o meno specialista di un sottoinsieme disciplinare, piú o meno simpatico a colleghi e studenti, il filosofo è stato educatore pubblico e consulente privato; promotore e supervisore critico in ogni campo della conoscenza; partecipe di dibattiti in ogni contesto in cui si è creduto che le
parole contano e fanno la differenza tra ciò che si deve o non si deve pensare, ciò che si può o non si può dire, a sostegno di questa o quella azione possibile. Consigliere di principi o disadattato, restava uno specialista del logon didonai: cioè del rendere conto con il discorso di ciò che si pensa e si fa.
Parlare e persuadere altri dell’utilità dei ragionamenti, oltre che della loro intrinseca giustezza, è stato parte essenziale dell’habitus sociale del filosofo. E il rischio di perdersi nell’affabulazione, o di fare soltanto questioni di parole, era presente a Platone come a Wittgenstein, ben prima dell’overdose di filosofia popolare cui quotidianamente ci sottopone il sistema globalizzato dei talk show.
La felicità non è un argomento come un altro per chi si pensa o vuole farsi considerare filosofo. È la questione su cui la tradizione socratica ha costruito un’idea di paideia in competizione con altre figure intellettuali di prestigio, come i poeti e i retori; è il punto focale di una querelle sulla forma di vita migliore che divide per secoli la cultura filosofica a partire dai modelli classici, costituendo punto di riferimento autorevole, benché non univoco, per la formazione culturale ed etica delle classi dirigenti nel mondo romano
e anche molto piú in là; è termine di confronto per l’elaborazione cristiana del «sommo bene», dove dovrebbero trovare conciliazione l’universalità del «bene umano» e la prospettiva di «beatitudine» offerta dalla promessa del paradiso oltre le miserie dell’esistenza, segnata, irreversibilmente, dal peccato.
Discussa e giocata nel mondo moderno a sostegno di molti modi di interpretare la propria e l’altrui presenza nel mondo e nella storia, l’idea filosofica di felicità ha alimentato la ricerca nelle scienze dell’uomo, ha suscitato speranze di progresso e passioni di vita, progetti di riforma o di rivoluzione. In tutte le sue metamorfosi, questa idea resta il tema che suscita l’attesa piú coinvolgente in chi ascolta la lezione della filosofia. Soprattutto nei momenti di crisi che punteggiano la storia e l’esistenza privata di ognuno.
Qualche anno fa abbiamo dedicato un lungo lavoro alla ricostruzione per linee interne della «storia della felicità» dentro la tradizione filosofica. Ci interessava rintracciare la strategia e la logica costruttiva racchiuse in grandi modelli, presentati come universalmente umani, di fatto legati a differenti e specifiche prospettive
epocali. Dall’immaginario della felicità costruito dai filosofi e indagato in prospettiva storica emergevano idee-valore, moventi di pensiero e di azione, fortemente caratterizzanti: la ricerca di stabilità degli antichi, la volontà di espansione dei moderni, la speranza di conciliazione e di liberazione dal male dell’amore cristiano. Ma quale che fosse l’obiettivo su cui di volta in volta veniva a focalizzarsi l’interesse, restava innegabile la serietà del gioco del filosofo, che va a incrociare le sue armi con avversari potenti sul piano della cultura sociale d’epoca: il piacere, il successo, il potere non aspettavano regole dalla filosofia; e la pretesa di darne, in nome della felicità, costituiva in un certo senso l’acme dell’audacia e del ridicolo dei maestri del pensiero. Restammo colpiti dal dissolversi silenzioso di questa alta pretesa nella contemporaneità, in un quadro sociale tutt’altro che rassicurante per la felicità privata e pubblica.
A diversi anni di distanza, di fronte a un rifiorire di discorsi che non solo portano all’attenzione di un vasto pubblico il tema della felicità, ma si propongono di testarla in sondaggi, di valutarne l’oscillazione in rapporto a situazioni o a fattori politici, di calcolarne la possibilità nel fai-da-te delle disposizioni attitudinali,
ci è sembrato utile ridare la parola ai filosofi, che per lungo tempo si sono affaticati nel tentativo di fornirne la misura e i progetti operativi.

 […]

Criteri di selezione della raccolta.
Il libro intende presentare testi particolarmente significativi; testi famosi o poco noti, selezionati con criterio storico e corredati da introduzioni che ne illustrano il contesto, le premesse non dette, il valore di proposta intellettuale ed etica. L’obiettivo è mettere a disposizione una vasta gamma di ragionamenti e rappresentazioni che si propongono come strategie praticabili ed efficaci, almeno per quanto i loro autori si attendono di poter ottenere. Filo conduttore del lavoro è l’intenzione di far parlare direttamente i filosofi,
con le loro certezze teoriche e i loro dubbi esistenziali, su come bisogna pensare la condizione dell’uomo felice per poterla raggiungere e possibilmente mantenere. Ciò significa anche situare nel tempo e nelle prospettive culturali d’epoca le loro proposte strategiche, che includono un modo di pensare gli esseri umani, gli uomini e le donne nella loro diversità e nelle loro reciproche relazioni, valutando entro quali limiti si colloca la possibilità di godere dell’esistenza. 

Per gentile concessione di Giulio Einaudi editore.