In libreria

L'ALBUM DI FAMIGLIA

Gabriele Vitello

9 dicembre 2014
Versione stampabile

Lo scorso 11 novembre, il gruppo Memoria e diritto ha invitato Gabriele Vitello, che ha conseguito il dottorato in Studi letterari, linguistici e filologici presso l'Università di Trento ed è attualmente docente di italiano e storia nelle scuole superiori, per presentare il suo libro "L’album di famiglia". Gli anni di piombo nella narrativa italiana (Transeuropa 2013), nel quale ha studiato il modo in cui gli scrittori italiani hanno raccontato gli anni del terrorismo e della strategia della tensione. Oltre all'autore del libro, erano presenti il prof. Roberto Cubelli, il prof. Claudio Giunta e la giornalista del “Trentino” Chiara Bert. L'incontro, tenutosi presso il Foyer della Facoltà di Giurisprudenza, ha costituito l'occasione per riflettere sugli anni Settanta, sulle difficoltà nel fare i conti con questa pagina complessa della nostra storia recente, troppo spesso oggetto di stereotipi e rimozioni, e sulle responsabilità che nella diffusione di questi ultimi hanno la politica, la scuola e i media.

Pubblichiamo la versione ridotta del capitolo introduttivo del libro di Vitello.

Letteratura e anni di piombo: una storia possibile?

Nell’immaginario collettivo italiano gli anni Settanta suscitano sentimenti ambigui e contraddittori: da un lato paura, angoscia e desiderio di rimozione, dall’altro un senso di nostalgia, di attrazione e di fascino. Come ha osservato Giovanni Moro, «a proposito degli anni Settanta abbiamo un linguaggio difettoso, fatto di parole ed espressioni che per lo più mancano di una sintassi che le connetta e le doti di significato. Costruire una sintassi del decennio mi sembra il compito a cui, come Paese, non abbiamo ancora atteso». La stessa categoria anni di piombo è un’espressione impropria e infelice che ha finito per schiacciare il ricordo del decennio unicamente sulla violenza e il terrorismo: «Tutto è stato appiattito su quella definizione, - ha scritto lo storico Giovanni De Luna - tutto è precipitato nel vortice del terrorismo, tutta la memoria di quegli anni si è raccolta intorno alla figura carica di sofferenza e di dolore di Aldo Moro».
Si deve considerare inoltre che, addossando tutta la responsabilità della crisi degli anni Settanta al terrorismo, la formula “anni di piombo” rimuove la corruzione e il degrado della vita politica giunto già allora a vette allarmanti (si ricordi che, un anno prima del delitto Moro, il Presidente della Repubblica Giovanni Leone si era dovuto dimettere a seguito del “caso Lockheed”), e allo stesso tempo, alludendo alle armi da fuoco usate prevalentemente dal terrorismo di sinistra, censura anche le bombe neofasciste della strategia della tensione.
Per porre in discussione quest’immagine fosca e luttuosa del decennio, alcuni storici come Guido Crainz e il già citato Giovanni De Luna preferiscono parlare di “anni ’68”, mettendo in luce come la contestazione studentesca diede nel corso degli anni Settanta i suoi frutti migliori sotto forma di un inedito protagonismo della società civile; in effetti, nel campo dei diritti civili, gli anni Settanta sono stati, come ha ricordato anche Gustavo Zagrebelsky, il decennio di maggiore concretizzazione dei principi della Carta Costituzionale: si pensi, ad esempio, al referendum sul divorzio e a quello sull’aborto, allo Statuto dei lavoratori e infine alla legge 180 sulla chiusura dei manicomi.
Per usare la metafora di Moro, la mancanza di una «sintassi» del decennio è molto probabilmente la causa dei molti equivoci e distorsioni nella trasmissione della sua memoria. Basti pensare che secondo i risultati di un’indagine condotta dall’Associazione familiari delle vittime di Bologna, dal Cedost, dal Censis e dal Landis, nel capoluogo emiliano solo il 22% degli studenti delle superiori indica nei terroristi neri gli autori della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, il 34% non sa rispondere e il 21,7% indica addirittura le Brigate Rosse.
La letteratura partecipa a questo difficile processo di negoziazione della memoria del passato registrando i sintomi di un conflitto tuttora aperto.
(...)
Negli “anni Zero” il terrorismo diventa un tema letterario alla moda, non più circoscritto nel campo del noir. Tanto per dare un’idea, nel solo 2004 sono usciti in libreria ben dieci romanzi sul terrorismo: "Il paese delle meraviglie" di G. Culicchia (Garzanti); "Amici e nemici" di G. Spinato (Fazi); "Tre uomini paradossali" di G. De Michele (Einaudi); "Il corpo dell’inglese" di G. Simi (Einaudi); "Avene selvatiche" di A. Preiser (Marsilio); "La quattordicesima commensale" di G. Marilotti (Il Maestrale); "Tornavamo dal mare" di L. Doninelli (Garzanti); "Tristano muore" di A. Tabucchi (Feltrinelli); "Tuo figlio" di G. M. Villalta (Mondadori); "Lettera a Dio" di V. Pardini (Pequod). Senza contare la riedizione lo stesso anno per i tipi di Avagliano del giallo di Attilio Veraldi, Il vomerese, già pubblicato come si è visto da Rizzoli nel 1980.
Non si tratta di un fenomeno che concerne esclusivamente la letteratura, ma di un revival che interessa tutti gli ambiti dell’immaginario artistico: il cinema, la televisione, il teatro, la musica e i fumetti. Si pensi, per citare qualche titolo, a La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana (2003), a La prima linea (2009) di Renato De Maria e a fiction televisive come Attacco allo stato (2006) e Il Sorteggio (2010). Il terrorismo ha ugualmente ispirato il lavoro di alcuni autori teatrali più o meno noti, come Corpo di Stato di Marco Baliani, Aldo Morto (2012) di Daniele Timpano e Avevo un bel pallone rosso (2010) di Angela Dematté. Per quanto riguarda la musica, gli anni di piombo segnano fortemente l’immaginario di alcuni cantautori persino giovanissimi come Vasco Brondi. Non possiamo, infine, dimenticare le storie a fumetti come, ad esempio, La strage di Bologna (2010) di Alex Boschetti e Anna Ciammitti e Il sequestro Moro (2009) di Paolo Parisi.
Nelle pagine culturali dei quotidiani, il ritorno degli scrittori agli anni di piombo viene ora salutato come il segnale del superamento, tanto atteso, di una rimozione collettiva. Un entusiasmo analogo coinvolge anche alcuni settori della critica accademica, specie oltralpe. Gli autori di un recente contributo sulla narrativa ispirata agli anni Settanta sostengono infatti che essa «offre […] un orizzonte euristico senza paragoni, capace di farci penetrare nel cuore dei conflitti e delle passioni che hanno agitato l’Italia di quegli anni. La fiction, lungi dal ridursi a una messa al bando della realtà, diventa allora uno strumento indispensabile per chiunque voglia dare un senso all’intrico dei fatti e penetrare nel cuore della stagione delle rivolte».
Il fiorire di un vero e proprio filone di “romanzi sugli anni di piombo” può essere interpretato come reazione  al crollo delle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, agli scontri durante il G8 a Genova che hanno provocato la morte di Carlo Giuliani (20 luglio 2001), ma soprattutto alla recrudescenza del terrorismo brigatista con l’assassinio di Massimo D’Antona (20 maggio 1999) e di Marco Biagi (19 marzo 2002). C’è anche chi ha interpretato la moda dei “libri di piombo”(la definizione è di Giuliano Tabacco) come una forma di compensazione immaginaria alla mancanza di un processo di riconciliazione collettiva con la memoria degli anni Settanta. Pierpaolo Antonello e Alan O’Leary ritengono, infatti, che «the emergence of an array of discourses, narrative and hypotheses and interpretations, in film and literature» sia espressione di un bisogno di «supplementary justice»: «in a process which may appear paradoxical, fiction has become the pre-eminent means to account for these missing pieces of our recent history and to keep the memory of certain events alive among non-experts».
La moda del terrorismo va inscritta, inoltre, all’interno delle dinamiche proprie del campo letterario, poiché si tratta di un fenomeno concomitante con il “ritorno al reale” della narrativa italiana di cui condivide gli equivoci, le contraddizioni e i limiti. Esso soddisfa la fame di “storie vere romanzate” che caratterizza i nuovi assetti del campo letterario italiano: i testi esemplari in tal senso sono "Romanzo brigatista" (2009) di Gianremo Armeni e il ben più famoso e già citato "Romanzo criminale" (2002) di De Cataldo.
Come cercherò di dimostrare, interpretare l’attuale fortuna letteraria degli anni di piombo come espressione positiva del superamento della loro rimozione collettiva può essere fuorviante. Essa è, infatti, forse segno di patologia piuttosto che di salute, poiché lungi dal riportare finalmente a galla un passato per troppo tempo dimenticato - quello che con un’espressione alquanto retorica viene considerato il “buco nero” della nostra storia - , la moda dei “libri di piombo” segnala ancora una volta la nostra difficoltà e resistenza a capire e raccontare il terrorismo.

Per gentile concessione di Transeuropa Edizioni.