Immagine tratta dalla copertina del libro "L'impero asburgico"

In libreria

L'IMPERO ASBURGICO

Marco Bellabarba

23 dicembre 2014
Versione stampabile

"La storia di un'affascinante organizzazione pluralistica, un coacervo di territori e di popoli unico nell'Europa moderna, e della sua crisi durante il primo conflitto mondiale; l'impero asburgico è esaminato in questo libro senza mitizzazioni, con l'obiettivo di capire come si era stati in grado di costruire una forma di convivenza politica così raffinata ma anche per quali ragioni, poco a poco, la si distrusse".

Pubblichiamo l'introduzione del volume del professor Marco Bellabarba, docente di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento.

Introduzione

La storia dell’impero asburgico nella fase finale della sua vita, quella che si situa fra il trionfo delle riforme settecentesche, la crisi dissolutiva che lo attanaglia con l’incedere del nuovo secolo e infine la prova non superata della Grande guerra, conserva tutt’ora un notevole fascino. Essa pare svolgersi sotto il segno dell’ambiguità, e questa sarà la cifra spesso proposta per interpretarla: sede di una straordinaria fioritura intellettuale (da Schubert a Mahler, da Freud a Wittgenstein), ma anche icona di una burocrazia capillare e poco lungimirante, sistema politico rispettoso delle diversità, ma al tempo stesso sempre più preda dell’ossessione per un ‘patriottismo imperiale’ che si faceva fatica a far radicare, l’impero è stato, per i contemporanei non meno che per gli storici, un oggetto di difficile decifrazione.
Per fare il punto su questi aspetti così eterogenei il libro ne ricostruisce la storia durante il ‘lungo Ottocento’ europeo; prende le mosse dagli ultimi decenni XVIII secolo, quando il suo nome evoca ancora un territorio posto dentro i confini del Sacro romano-germanico e termina nel 1918, con l’epilogo sanguinoso del primo conflitto mondiale. È una storia che risulta controversa già a prendere tra le mani i libri dedicati da molti studiosi a quest’argomento. Ci accorgiamo subito, infatti, che l’impero asburgico possiede una sorprendente varietà di denominazioni, mutevoli oltre tutto a seconda delle tradizioni storiografiche: impero d’Austria, impero asburgico (Habsburg Empire) monarchia austro-ungarica, danubiana o doppia (Doppelmonarchie), monarchia asburgica (Habsburgermonarchie, Habsburg Monarchy), impero austro-ungarico. Quest’assortimento dei nomi assomiglia a un inventario di approssimazioni per difetto, come se a seconda dei loro luoghi di origine e dei tempi, gli storici avessero cercato di fissare nella scrittura una loro immagine dell’impero – più un abbozzo provvisorio, però, che un volto definitivo.
L’incertezza onomastica ha molto a che fare con le vicende realmente vissute dall’impero asburgico; e di fatto la questione si riproporrà regolarmente a ogni scadenza politica decisiva, provocando inquietudini a non finire. Ma per essere compresa del tutto, essa va posta sullo sfondo di una carta geografica complessiva dell’Europa otto-novecentesca e dei suoi protagonisti.
Lungo questo periodo il corpo politico del vecchio continente si presenta con due facce, una di stati-nazione, l’altra di imperi multinazionali: a oriente lo spazio è occupato da sterminati mosaici territoriali ed etnici costruiti attorno all’autorità di antiche dinastie; verso occidente, invece, i confini degli spazi politici rimpiccioliscono e dentro di essi vivono – o dovrebbero vivere – gruppi etnici omogenei, che parlano tutti almeno ufficialmente la stessa lingua e si sentono legati a un’unica comunità nazionale. Sono in molti a ritenere, già all’inizio del XIX secolo, che stati e imperi non abbiano nulla in comune tra loro. Lo scioglimento del vecchio impero della nazione germanica nel 1806, fatto a pezzi dalle armate napoleoniche, sembrava aver interrotto il lungo ciclo di vita degli imperi e aperto l’età degli stati: lo stesso concetto d’impero era divenuto un elemento «residuale, se non arcaico, scalzato dalla modernità, utile a definire per opposizione le nuove forme della sovranità» affermatesi in Europa. Anche se la previsione per il momento non si avvera, lungo tutto il secolo l’impero asburgico condivide con i suoi omologhi più orientali (zarista e ottomano) il destino di essere sempre considerato a un passo dalla temuta dissoluzione.
Cent’anni più tardi la profezia pare finalmente sul punto di compiersi. «Entriamo nel nuovo secolo sotto i peggiori auspici» scrive il primo gennaio del 1901 un quotidiano che si stampa nella città di Reichenberg-Liberec, ai confini settentrionali della Boemia: l’impero è arretrato economicamente e incapace di competere con gli stati vicini; a ciò si aggiungono i conflitti tra le nazionalità che gli hanno arrecato danni maggiori di tutte le sconfitte patite sui campi di battaglia nel secolo appena chiuso. Con segni di stagnazione e declino visibili un po’ dappertutto – conclude quest’articolo – «i popoli del vecchio stato imperiale attendono con giustificato pessimismo» le prossime evoluzioni della loro patria. Di lì a poco, l’entrata in guerra e le prime drammatiche sconfitte sui campi di battaglia confermeranno la cupezza della diagnosi.
Il 20 agosto 1916 sulle pagine del giornale di trincea Soldaten Zeitung, stampato a Bolzano presso il comando del Gruppo d’armata Arciduca Eugenio, esce un pezzo dal titolo curioso: Sono austriaco? Lo ha scritto, non firmandolo, il sottotenenente Robert Musil, al quale è affidata da qualche settimana la direzione del giornale. L’articolo ha un esordio anomalo per un foglio di propaganda che dovrebbe incitare i reggimenti austro-ungarici a combattere, e magari morire, in difesa della patria. Ma il punto è che nessuno sa bene di quale patria si stia parlando:
Prova a domandare a un contadino in Galizia, a un calzolaio in Carniola, a un avvocato in Boemia, a un maestro di scuola di Vienna, a un sacerdote del Tirolo settentrionale e a un giudice del Tirolo meridionale che cosa siano. Riceverai sicuramente come risposta: un polacco, uno sloveno, o forse un carniolano, un boemo-tedesco o un cèco, un basso-austriaco o comunque un austro-tedesco, un tirolese, un italiano. Nessuno, alla tua domanda così semplice, risponderà con altrettanta semplicità: ‘Sono austriaco!‘ 
Ci siamo talmente abituati a questo stato di cose che non ce ne meravigliamo affatto.
L’idea che circola in gran parte degli articoli è la constatazione di un’assenza, «la mancanza di una definizione intelleggibile di Stato» austriaco in grado di aggregare il coacervo di popoli che compongono l’impero. Occorre perciò dare all’Austria quel simulacro d’identità patriottica assente fino ad allora, rinunciare ai compromessi, abbattere gli irredentismi, spazzare via il federalismo che ha indebolito la costituzione politica: «la posizione internazionale dell’Austria esige fatalmente che essa si organizzi in un’unità forte e compatta».
Di fronte alla sfida della guerra, l’unica risposta possibile consiste quindi nella liquidazione sommaria dell’eredità imperiale, sostituita da uno ‘Stato austriaco’ di cui tutti parlano senza avere bene in testa (e tanto meno Musil) un progetto capace di realizzarlo. Nelle memorie del feldmaresciallo Conrad, il comandante in capo di Musil, il primo conflitto mondiale ha contrapposto le compatte formazioni nazionali dell’Intesa allo ‘Stato d’interessi’ asburgico («Interessenstaat» come lo definisce lui), logorato dalle rivalità nazionali e per questo votato naturalmente alla sconfitta. Conclusa la guerra, la sistemazione dell’Europa sancita dai trattati di pace stigmatizza l’inattualità dell’impero. Sulle scrivanie degli uomini politici e degli storici al lavoro nelle nuove realtà nazionali si ammucchiano ricordi pieni di ostilità: i milioni di morti lasciati sui campi di battaglia del 1914-1918 sovrappongono alla monarchia austro-ungarica l’immagine di un immenso campo di prigionia in cui languivano i popoli non tedeschi; così gli stati eretti sulle sue ceneri creano dal nulla (Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia) o rafforzano (Italia) le rispettiva identità prendendo le distanze da esso. E anche il gruppo di scrittori austriaci che dopo l’apocalisse della guerra prova un briciolo di rimpianto per l’aspetto sorridente e garbato del Mondo di ieri, elabora un’immagine fittizia dell’impero, «ripetendo ormai soltanto nell’ambito della memoria e della riesumazione del passato i vagheggiamenti e la trasfigurazione che un tempo erano stati proiettati su una ben diversa realtà contemporanea».

Per gentile concessione de Il Mulino Editore.