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IL SUCCESSO FORMATIVO ALL'UNIVERSITÀ: OSTACOLI E RICERCA DI SOLUZIONI

a cura di Catia Civettini

24 aprile 2018
Versione stampabile

Le tre macro-aree (Studi e ricerche; Documentazione, analisi, riflessioni, strumenti; Dalla teoria alle buone prassi) in cui è suddiviso il volume affrontano da diverse prospettive la tematica del successo formativo all’università, analizzando – sia sul piano puramente teorico che su quello pragmatico – gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento dell’obiettivo e tentando d’individuare possibili soluzioni. Sono qui presentati studi, riflessioni e azioni che si prefiggono lo scopo di smuovere la palude dell’attuale sistema educativo e formativo, all’interno del quale l’università sovente si pone come uno spazio ‘neutro’, in cui si tende a dare per scontato che l’esservi giunti significhi necessariamente aver risolto i problemi durante gli anni di studio precedenti, ed essere quindi ora in grado di proseguire senza difficoltà. Gran parte di questi testi - selezionati, criticamente rivisti, ampliati - costituiscono il risultato delle ricerche presentate in occasione del convegno internazionale, tenutosi a Trento dal 29 al 30 settembre 2014, con il titolo "Competenze chiave per il successo formativo e la cittadinanza consapevole", promosso dal Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento. Realizzato grazie anche al patrocinio della stessa Università, della Provincia Autonoma di Trento e di ECLIPSE (European Citizenship Learning in a Program for Secondary Education) fu curato da Olga Bombardelli e da Catia Civettini.

Catia Civettini è dottoranda presso la Scuola di Dottorato in Studi Umanistici dell’Università di Trento.

Da Percorsi formativi: proseguire o interrompere gli studi dopo il diploma? (pp. 7 – 10)

Proseguire o interrompere gli studi dopo il diploma? È la domanda che gli studenti italiani, allorché si trovano a frequentare il quinto anno della scuola secondaria di secondo grado, rivolgono quasi quotidianamente a loro stessi; probabilmente in modo analogo a quanto accade, in tempi e in contesti diversi, ai loro colleghi di altri Paesi. E la stessa domanda riecheggia nella parallela interrogazione perplessa di genitori e formatori. Stando ai dati, ad esempio, seppur soltanto indicativi, raccolti con un breve questionario, somministrato nel 2015 agli studenti trentini dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, la prosecuzione degli studi a livello universitario è ancora considerata da molti di loro l’opzione prioritaria (M. Dalbagno, “…E adesso?” Un questionario sulla prosecuzione degli studi postdisploma,101-111).
Di certo, come emerge da più ricerche, la definitiva decisione di continuare il percorso formativo e d’iscriversi all’università è sostenuta, od ostacolata, da motivazioni diverse: personali, familiari, socio-economiche; così come molte sono le variabili che intervengono a rendere possibile, o ad impedire, l’effettiva realizzazione del successo formativo, una volta che la scelta è stata compiuta.
È indubbio, che per affrontare le incognite dei prossimi decenni saranno necessari laureati di qualità. Nel XXI secolo, infatti, i diversi Paesi sono chiamati ad affrontare e superare sfide sostanziali per realizzare un’economia sostenibile, che individua nella qualità e nell’efficacia dell’istruzione e della formazione, così come nella capacità degli stessi sistemi d’istruzione e formazione d’essere reattivi al cambiamento e al contesto globale nel quale sono inseriti, alcuni obiettivi strategici irrinunciabili (ET 2020). Risulterà, così, essenziale il contributo di persone qualificate che sappiano coniugare insieme conoscenze disciplinari e competenze trasversali; che siano capaci di applicare una corretta metodologia di studio alla vita e al lavoro; che siano formate alle responsabilità e all’autonomia (O. Bombardelli, Una bussola per gli studenti universitari. Didattica inclusiva e valutazione formativa per un apprendimento qualificato contro l’abbandono, 33-54).
A fronte della rappresentazione, propria ancora di molti giovani del titolo di studio terziario quale garanzia di migliori opportunità lavorative, si registra in Italia un alto tasso di dispersione universitaria e il numero di coloro che completano gli studi universitari sino alla laurea è ancora considerevolmente al di sotto della media europea. Fenomeno che si presenta in primis come un problema concettuale e semantico che minaccia di compromettere esso stesso azioni di prevenzione e contrasto. Un sistema d’istruzione-formazione di per sé poco efficace – causa non irrilevante del fenomeno della dispersione universitaria – si rispecchia presumibilmente in una sorta di «babele terminologica» con cui - sia a livello nazionale che internazionale - si cerca di denominare e connotare il problema stesso. Un circolo vizioso che – nell’incertezza della definizione – rischia di compromette l’azione. «Esistono strade concretamente percorribili per uscire da questo gioco di specchi?» (C. Civettini, Dispersione universitaria: un problema concettuale e semantico in primis, 55-73).
Se fra le cause della dispersione universitaria è da annoverarsi un sistema d’istruzione-formazione scarsamente incisivo è legittimo interrogarsi su cosa si deve imparare, perché e come; una domanda evergreen che risuonava già ‘nelle aule’ dell’Accademia di Platone, del Peripato di Aristotele e prima ancora: i problemi fondamentali della pedagogia rimangono probabilmente gli stessi. Esigono, però, risposte sempre diverse in relazione al contesto storico, economico e sociale. È un dato di fatto che «Ogni generazione deve definire da capo la natura, la direzione e gli scopi dell’educazione, per assicurare alla generazione futura il più alto grado di libertà e razionalità che sarà capace di raggiungere».
Entra così in gioco il problema della formazione e dell’orientamento, relativo non solo ai discenti ma anche – o soprattutto – ai docenti. Attualmente, il successo formativo è strettamente legato alla capacità del docente di stabilire una relazione educativa sostenibile con lo studente, passando da una leadership carismatica ad una leadership condivisa capace di valorizzare i singoli e aumentare la consapevolezza di sé; capace di promuovere il pensiero autonomo e critico, insieme all’alfabetizzazione scientifica (R. Albarea, Gestire in modo sostenibile le proprie difficoltà, 17-31).
Per porre fine alla «società della disuguaglianza», come afferma Olga Bombardelli nel proprio contributo, docenti e discenti dovrebbero essere coinvolti nel rinnovamento dell’istruzione in generale e nel miglioramento dell’istruzione a livello terziario in particolare. Per una società equa sarebbe auspicabile una nuova strategia formativa che tuteli la buona riuscita di tutti. Le Università non dovrebbero essere più turres eburneae, privilegio di pochi, ma fucine di un’istruzione terziaria di tipo inclusivo, in cui metodi attivi di apprendimento e valutazioni formative partecipate siano il risultato di una nuova impostazione didattica a favore di una maggiore efficacia degli studi universitari. È da mettere in conto, poi, che le nuove strategie di insegnamento richiedono nuovi materiali didattici mentre le attuali tecnologie dell’informazione e della comunicazione cambiano le modalità di lavoro e apprendimento. Cambia lo stesso ruolo dello studente che – come nativo digitale – diventa una figura molto più attiva. In questo nuovo assetto sarebbe auspicabile, inoltre, una fattiva cooperazione fra gli atenei dello stesso o di altri Paesi e un vivace scambio di informazioni, al posto di campanilistiche competizioni. Di fronte al ritardo negli studi, ai prematuri abbandoni (a qualsiasi livello d’istruzione, universitaria o meno) c’è da chiedersi quanto la scuola/università sia inclusiva e aiuti a combattere le diseguaglianze.
Formazione, orientamento e tutorato sono passaggi particolarmente delicati che devono essere affidati a persone competenti e preparate perché l’apprendimento di ognuno non veda precoci defezioni e sia il più qualificato possibile. L’orientamento nella scelta del percorso universitario dovrebbe consentire allo studente di non perdersi nel labirinto delle molteplici proposte. Dovrà così non essere puramente “informativo” – esaurendosi in open day – ma tale da offrire percorsi efficaci, dal punto di vista pedagogico e psicologico, per accompagnarlo nelle scelte e nell’individuazione della migliore metodologia di apprendimento.
In tale ottica dovrebbe instaurarsi (in molti casi già è accaduto) un rapporto fra le università e le scuole d’istruzione secondaria di secondo grado per facilitare il passaggio. A tale proposito è utile evidenziare, come ricorda ancora Bombardelli, che la Provincia Autonoma di Trento – in applicazione dell’articolo 84, comma 4, lettera a) della L.P. 7 agosto 2006, n. 5 e successive modifiche – promuove e attua già da anni l’utilizzazione, anche nelle università, di docenti e dirigenti delle istituzioni scolastiche e formative per compiti connessi alla scuola stessa. Possibilità questa, che, adeguatamente sfruttata, potrebbe fare realmente la differenza.
E, restando sempre in tema, si avverte pure la necessità di un orientamento formativo che accompagni lo studente già nel passaggio fra il primo e il secondo biennio della scuola secondaria di secondo grado. In ultima analisi, poi, si auspica da più parti un’attività formativa permanente, che investa l’individuo in ogni stadio di crescita e sviluppo intellettuale. E si giunge a evidenziare l’importanza di un «orientamento ‘per il potenziale’» basato sulle inclinazioni del singolo individuo in relazione al contesto nel quale esso stesso si colloca. Infine, sempre a proposito di orientamento e formazione, non è ozioso porsi la domanda: Chi forma i formatori? Il problema è all’origine e «orientare all’orientamento» non è un facile gioco di parole ma una mera necessità. Le istituzioni deputate, le agenzie preposte devono mettere in essere per il personale docente programmi formativi adeguati ai tempi, in una realtà in cui le competenze trasversali costituiscono la carta vincente (P. Dalvit, Orientare per prevenire la dispersione scolastica, 115-126).

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