Immagine tratta dalla copertina del libro

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ANDARE IN PENSIONE. PIACERI, DISPIACERI, OPPORTUNITÀ

di Guido Sarchielli, Franco Fraccaroli

11 marzo 2015
Versione stampabile

Che significa per una persona passare dal mondo del lavoro a quello dei pensionati? Che cosa caratterizza questa esperienza? Gli importanti cambiamenti demografici, economici e socioculturali avvenuti di recente, hanno avuto un impatto anche sui modi di giungere al pieno ritiro dal lavoro. Si resta occupati più a lungo e si costruiscono carriere anche dopo i 60 anni; c’è l’esigenza di riorganizzare in modo diverso i tempi di vita (tra lavoro, famiglia allargata e tempo libero); emerge la necessità di ridefinire una identità personale e gli scopi della vita quotidiana. 
Il pensionamento è una transizione complessa in cui le persone perdono alcune risorse materiali e psicosociali, ma possono sperimentare nuove opportunità di arricchimento e definire nuovi progetti. Questo potenziale esito positivo non è però facilmente raggiungibile e richiede impegno personale e facilitazioni sociali e organizzative per poterlo padroneggiare.
Il libro analizza tale transizione in sette capitoli che partono dalla definizione del contesto sociale in cui essa oggi si colloca per riconoscere l’insieme eterogeneo di significati soggettivi e sociali connessi con il ritirarsi dal lavoro. Vengono poi delineati i contorni del processo di role exit e il concomitante compito che si presenta alle persone di decidere se disinvestire o reinvestire energie su obiettivi rilevanti e immaginando una possibile nuova fase di carriera. 
Sempre sulla base delle evidenze empiriche della ricerca internazionale sul retirement e di esempi concreti, sono poi messi in luce i risvolti identitari, relazionali, emotivi che la transizione al pensionamento determina nell’esperienza quotidiana attuale e nella prospettiva futura delle persone. Una volta richiamate le strette connessioni tra pensionamento e salute, il libro negli ultimi due capitoli identifica una serie di fattori di successo per gestire l’uscita dal lavoro in un’ottica di promozione del benessere personale e collettivo: a livello individuale (avviando per tempo una specifica preparazione sia economica sia psicosociale) e a livello organizzativo (delineando politiche gestionali incentrate sulla diversità della forza lavoro come valore).

Guido Sarchielli è stato direttore del Dipartimento di Politica sociale dell’Università di Trento, preside della Facoltà di Psicologia bolognese e ora sta terminando la sua funzione di prorettore dei Campus romagnoli dell’Università di Bologna. Psicologo del lavoro, insegna Individui, gruppi e organizzazioni nell’Università di Bologna. Per il Mulino ha pubblicato: «Psicologia del lavoro» (2008), «Introduzione alla psicologia del lavoro» (con F. Fraccaroli, 2010) e «Sviluppare la carriera lavorativa» (con S. Toderi, 2013).

Franco Fraccaroli insegna Psicologia del lavoro e Psicologia delle organizzazioni nell’Università di Trento. 
È stato direttore del Dipartimento di Scienze della Cognizione e della Formazione e preside della Facoltà di Scienze Cognitive del Polo di Rovereto. Attualmente è coordinatore della sezione AIP di “Psicologia per le Organizzazioni”, e presidente dell’Alliance for Organizational Psychology. Per il Mulino ha pubblicato: «Apprendimento e formazione nelle organizzazioni» (2007) e «Stress e rischi psicosociali nelle organizzazioni» (con C. Balducci, 2011).

Dall’Introduzione

«Contrariamente al senso comune diffuso, il pensionamento non risulta più un fenomeno unitario, di significato stabile e omogeneo per tutti i lavoratori, che si verifica sempre in un momento prefissato della loro carriera lavorativa e segue automatismi di natura solo amministrativa. Non solo la stessa «forma» del pensionamento (il suo assetto normativo, fatto di diritti e doveri), si è modificata nel tempo e molto velocemente soprattutto negli ultimi anni, ma anche le persone tendono oggi ad affrontarla in modi assai diversificati in ragione della loro storia lavorativa, biografia psicosociale e rete sociale di appartenenza…..»
«Le distorsioni di chi ancora si rappresenta il pensionamento come evento unico, come il «finale» di una storia lavorativa senza alternative sono sempre più chiare. Cercheremo di mostrare, sulla base di evidenze di ricerca ed esempi, come non di un evento si tratti, ma di un processo che comincia a prevedere forme progressive di uscita e di reingresso in una realtà sociale tutta da definire da parte della persona. Dunque, non ci si riferisce a una semplice o automatica conclusione della «vita attiva», ma alla possibile costruzione di un nuovo sistema composito di attività (comprendenti il lavoro remunerato, il volontariato, il tempo libero, l’esercizio fisico, il viaggiare ecc.) autogestibile dalla persona, ma anche da sostenere da parte delle organizzazioni e delle istituzioni. 
Proseguendo nel contrasto alle concezioni distorte del pensionamento, ci proponiamo di valutare criticamente l’idea dell’uscita lavorativa definita come sola «perdita» o come «sguardo individuale nostalgico» solo rivolto al passato ormai alle spalle. Invece, si intende far intravedere la possibile nascita di un ulteriore stadio nel ciclo di vita personale (di durata anche relativamente ampia), che diviene, per un crescente numero di persone, un nuovo oggetto di investimento, di progettazione, di specificazione di scopi attraenti, di scelta di sequenze di azioni e di mezzi per raggiungere i risultati desiderati. Il punto sul quale vorremmo indirizzare l’attenzione concerne l’esigenza di modulare al meglio l’interazione tra persone, non più definite in termini negativi come «non più lavoratori», e il loro contesto sociale, nel quale poter creare condizioni economiche e socio-culturali che aiutino a delineare tali progetti e a realizzarli per il bene individuale e della comunità.
Rendere evidente la possibilità di costruire un «nuovo capitolo» della storia personale (lavorativa e non lavorativa) delle persone implica anche il superamento di una ulteriore distorsione: l’impropria, e comunque non necessaria, connessione tra pensionamento, vecchiaia e declino psicofisico. Tale distorsione è fonte di pregiudizi già nel periodo lavorativo, quando nelle organizzazioni si presentano talvolta rischi di age-discrimination, e, a maggior ragione, rischia di inquinare il periodo post-ritiro e di far perseverare le connotazioni non certo positive attribuite alla «categoria sociale» dei pensionati. Gli esempi che cerchiamo di fare di costruzione di alternative lavorative e non lavorative dovrebbero confermare l’esigenza di un cambiamento di prospettiva nelle rappresentazioni sociali del pensionamento».

Per gentile concessione dell’editore Il Mulino.