Particolare dalla copertina del libro. 

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SCIATORI DI MONTAGNA

di Giorgio Daidola

14 dicembre 2018
Versione stampabile

Leonardo Bizzarro dalla quarta di copertina del libro
Gli sciatori, arrivati in fondo al pendio, si voltano di solito per valutare le proprie tracce. Giorgio Daidola ha voluto invece guardare indietro nel tempo, scoprire quale eredità sulle nevi del mondo hanno lasciato i suoi predecessori. Sono dodici protagonisti nella storia dello scialpinismo, o meglio dello sci di montagna, dei quali racconta la vita, le imprese e soprattutto l’influenza su chi ha calzato gli scarponi dopo di loro. Ci sono padri nobili dello sci come Paulcke, Kurz e Lunn, i grandi esploratori degli spazi bianchi, da Piero Ghiglione a Zwingelstein e Parmentier, i fuoriclasse delle pelli di foca, Preuss, Mezzalama e Castiglioni, Toni Gobbi e Philippe Traynard. E ancora Heini Holzer, il profeta dello sci ripido. Dodici primi attori sulla scena della montagna, semplicemente dodici sciatori.

Giorgio Daidola è docente del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento.

Da Wilhelm Paulcke, alle origini dello sci di montagna (1873 – 1949)

“Mancava una impresa strepitosa, un precursore temerario e fortunato.
Paulcke doveva essere nella seconda fase dell’alpinismo invernale
ciò che furono Coolidge e Sella nella prima.”
(Marcel Kurz, Alpinismo Invernale, Casa Sociale Editrice, 1928)

La nascita dell’arte di sciare (pp.14,15)
Non si può dire di conoscere a fondo la storia dello scialpinismo se si ignora quella del tedesco Wilhelm Paulcke. Arnold Lunn nel suo A History of Skiing e Marcel Kurz nel suo Alpinisme hivernal si rifanno doverosamente a lui, descrivendo le sue tre grandi imprese che alla fine dell'Ottocento hanno determinato la nascita dello scialpinismo.
Paulcke dimostrò che il telemark e l'originale attrezzatura norvegese si adattavano perfettamente agli impegnativi pendii alpini senza bisogno di inventare una nuova tecnica. Secondo Paulcke bastava... saper sciare! Egli aveva capito il grande potenziale dei nuovi attrezzi arrivati dalla Norvegia per lo sviluppo di un turismo invernale sulle Alpi basato sullo scialpinismo, ossia uno sci sia di salita che di discesa. Il suo grande rivale Mathias Zdarsky puntò invece decisamente su quest'ultima, proponendo la tecnica di Lilienfeld: un modo di sciare più facile anche se meno elegante, con attrezzi più corti, che aprì le porte allo sviluppo dello sci alpino di massa. Molti dicono che Paulcke è stato il guru della salita e Zdarsky quello della discesa ma le cose non stanno proprio così. Anche Paulcke dava molta importanza alla discesa e lo dimostrano i testi che ci ha lasciato sulle sue imprese e in particolare le pagine del suo elegante manuale Der Skilauf del 1899, ricco di bellissimi disegni per illustrare le diverse tipologie di curva e la tecnica del salto, da cui il telemark ebbe origine come movimento di atterraggio. Der Skilauf, in copertina un elegante e composto saltatore fra le nubi, non è il solito noioso manuale pieno di regole e di esercizi, è un'opera appassionante sul mondo dello sci, con capitoli sull'attrezzatura, le valanghe, come costruirsi un paio gli sci. Il tutto con schizzi molto belli, ripresi anche da Cesare Battisti in due pagine del periodico Vita Trentina, di cui allora era direttore, per illustrare il nuovo sport. Fedele alla tradizione nordica, il suo eroe è Fridtjof Nansen, che con la traversata della Groenlandia aveva dimostrato i grandi valori dello sci norvegese. Per Paulcke lo sci non era solo uno sport ma, come scrisse Arnold Lunn nel suo volume Ski-ing del 1913 "un'arte, una bella arte". Per questo suo profondo senso della storia dello sci e questa sua devozione allo sci nordico Paulcke venne anche denominato il Nansen del centro Europa.

La traversata delle Alpi Bernesi (pp.18,19)
È questa senza dubbio la più bella e significativa impresa di Paulcke. Nella sua relazione dedicata al Giro invernale sugli sci attraverso l'Oberland Bernese (18-23 gennaio 1897) per la prima volta vengono descritti i problemi di una traversata di più giorni in pieno inverno con gli sci, attraverso uno dei massicci glaciali più complessi delle Alpi. Come già nel racconto sulla salita all'Oberalpstock, Paulcke non manca di mettere in evidenza la superiorità degli sci rispetto alle racchette, prendendo in giro, con il suo stile piacevolmente canzonatorio, quelli fra i suoi amici di avventura che si ostinano a utilizzarle: "I signori di Strasburgo (Paulcke chiama così i compagni di avventura Hugo Ehlert, Wilhelm Lohmüller e Gustav Mönnichs, l'altro membro della spedizione è il suo fedele amico Victor de Beauclair, già compagno all'Oberalpstock, n.d.r.) vollero sperimentare le loro racchette canadesi, cosa che ci costò non poco in termini di tempo", scrive Paulcke con riferimento alla salita verso il primo rifugio, l'Oberaar, e conclude: "Ciò non fece che rafforzare la nostra convinzione che con gli sci si sale più in fretta e più comodamente; anzi, su terreni particolarmente ripidi e accidentati, lo sci è superiore a qualsiasi altro mezzo di risalita". 
Dal racconto di Paulcke traspare il senso dello sci di raid, come forma di sci completa, permeata di quel desiderio forte di conoscere cosa c'è al di là del colle, di quel piacere unico che da l'isolamento nella grande montagna. I pericoli sono tanti, soprattutto con le rudimentali attrezzature dell'epoca, con i crepacci per lo più aperti in gennaio, con l'assoluta impossibilità di essere soccorsi in caso di incidente. Paulcke sa che il gioco è pericoloso ma è ottimista e felice, crede nella sua buona stella. La descrizione del raid è gioiosa, arguta, priva di ansie e paure oltre che di stucchevole retorica. "Non bisogna mai perdere il buon umore - scrive Paulcke, e continua - non perdemmo la nostra allegria neanche quando le condizioni atmosferiche peggiorarono fortemente".
Un'altra cosa che colpisce, in un uomo dell'Ottocento come Paulcke, è un modo di scrivere incisivo e moderno. Egli ci fa partecipi della sua più grande esperienza di scialpinista insaziabile, sempre alla ricerca del bello, con uno stile sferzante, che non teme di scendere nei particolari, mantenendo però sempre alta la tensione del racconto. Si vorrebbe averlo insomma come compagno di gita un tipo così, con le caratteristiche del leader naturale, che non ha bisogno di applicare regole per farsi rispettare!
Il resoconto dettagliato che Paulcke fa dei quattro giorni di traversata si legge tutto d'un fiato, talmente è scorrevole e frizzante. La voglia di mettersi sulle sue tracce è davvero forte.

Per gentile concessione della casa editrice Mulatero.