Immagine tratta dalla copertina del libro

In libreria

I SOGNI DELL'AVVENIRE. FIABE FANTASTICHE E FANTASIE SCIENTIFICHE

a cura di Alessandro Fambrini

9 giugno 2015
Versione stampabile

Kurd Lasswitz (1848-1910) fu personaggio eclettico, scrittore, filosofo, divulgatore scientifico, ma fu come narratore che fece breccia presso il largo pubblico, conquistandosi l'appellativo di "Jules Verne tedesco". Nei racconti e nei saggi che sono qui presentati per la prima volta al pubblico italiano gli interessi molteplici di Lasswitz sono messi a fuoco e restituiti attraverso dispositivi narrativi che anticipano alcuni stilemi della moderna science fiction e li mettono in gioco attraverso una lente che usa procedimenti scientifici e gadget tecnologici per restituire un senso e una portata alla vicenda dell'esistenza umana. Rileggerli oggi, a distanza di cento e più anni dalla loro prima pubblicazione, significa mettere a fuoco un momento di passaggio decisivo sulla via di formazione del fantastico contemporaneo.

Alessandro Fambrini è nato a Seravezza (Lucca) l’8 settembre 1960, si è laureato in Lingue e letterature moderne presso l’Università di Pisa, perfezionandosi poi in lingua e letteratura tedesca presso l’Università di Pavia. Dal 1995 lavora presso l’Università di Trento.
Si è occupato di letteratura tedesca dell’Ottocento, e in particolare delle costellazioni letterarie fiorite intorno al periodo del Fin de siècle, con saggi e articoli su Tieck, Heine, Hebbel, Stifter, Wagner, Nietzsche, e con la monografia "L’età del Realismo" (Roma, Carocci 2006). La sua ricerca si è rivolta anche alla letteratura del Novecento con saggi su Wedekind, Rilke, Thomas Mann, Trakl, Friedell, Kafka, Mühsam e Hugo Ball, e con il volume "La vita è un ottovolante. Il circo nella letteratura tedesca tra Ottocento e Novecento" (Campanotto, Udine 1998). All’ambito del fantastico e della fantascienza contribuisce come critico e come scrittore, e sono numerosi i suoi racconti e saggi usciti su varie pubblicazioni del settore, al quale ha dedicato il suo impegno anche come cofondatore della rivista di critica del fantastico “Anarres”.

COME IL DIAVOLO SI PRESE IL PROFESSORE
(Wie der Teufel den Professor holte, 1907)

«Ma certo», disse il professore, contemplando con aria amabile
la cenere del suo grosso Flor de Ynclan, «certo che mi ha
preso: proprio lui in persona».
«Ah ah ah», rise l’uomo forte. «Davvero?»
«E non ce l’ha ancora raccontato?»
«Ma chi», chiese la signora in azzurro. «Chi è che l’ha presa?»
«Ma non ha sentito?», esclamò la piccola signora Brösen con
impazienza. «Il diavolo ha preso il professore».
«Ma se se ne sta lì seduto…»
«Perché se l’è portato via in carne e ossa», disse l’uomo forte.
«Non capisco».
«È lui che deve raccontarlo».
Tutti si avvicinarono al tavolo.
«Allora, com’è andata?»
«Quando è successo?»
«Sabato scorso». Il professore tirò con aria pensierosa una
boccata di fumo dal suo sigaro. «Ero seduto come al solito alla
mia scrivania, di sera, quando bussarono alla porta, e al mio
“avanti’ stupito… ma non spaventatevi!»
«Non voglio ascoltare storie paurose, no, no, no!», gridò la
signora in azzurro.
«Paurosa lo è stata. All’inizio ne fui sconvolto non poco».
La signora in azzurro si tappò le orecchie; ma non ermeticamente.
«All’improvviso c’era qualcuno nella stanza e accese il lume,
e così vidi chiaramente la sua figura».
«Avvolto in un mantello, con gli occhi di fuoco? Mi sembra
di vederlo!», esclamò la signora Brösen.
Come il diavolo si prese il professore

«Portava un cappotto di loden e occhiali dorati; un uomo alto
come me, della mia taglia, con i capelli grigi e i baffi, una persona
molto simpatica, ma la cosa spaventosa era che…»
«Il piede caprino?»
«La coda?», pigolò la signora in azzurro.
«No; era identico a me… non ridete! Ho pensato a un’allucinazione,
è ovvio, sapete, con la mia mente spossata. In un primo
momento sono rimasto seduto, immobile. Poi il mio doppio ha
detto con grande cortesia: “Mi dispiace di doverla portare via,
signor professore, ma ho preso questa decisione…”
“Portarmi via? Che cosa significa? Non sono un medico e
non ho tempo!”, esclamai irritato.
“Significa portarla via”, disse l’altro. “Sono il diavolo, in realtà”.
“Il diavolo? Ma se assomiglia a …”
“Sì, deve scusarmi. Quando vengo da lei, assumo la sua immagine.
In effetti ognuno è il diavolo di se stesso! Ma ora faccia
il bravo e venga con me”.
“Ma dove devo venire? Non credo all’inferno né al diavolo,
nel senso in cui lo si intende in genere”.
“Non è mica necessario. Io vado a prendere ciascuno secondo
il suo modo, così come lui si raffigura il mondo. Lei, ad
esempio, la porterò via in una piccola automobile spaziale. Le
piace tanto viaggiare tra le stelle”.
“Ma per favore, lo faccio da qui, dalla mia scrivania; di
viaggiare non ho proprio nessuna voglia. E in ogni caso avrei
bisogno di qualche settimana di preavviso. Prima dovrei preparare
la mia valigetta di pronto soccorso”.
“Non serve. Non è un viaggio di piacere. È un viaggio di purificazione.
Cento milioni di miliardi di chilometri. Ho organizzato tutto”.
“E poi?”
“Poi, si vedrà. Forse la trasformeremo in una meteora, o la
faremo restare sposato su Marte per mille anni… anni marziani,
ovviamente”.
“Grazie per queste due soluzioni. Non ho nessuna intenzione
di venire. Ho ancora dei compiti urgenti da svolgere qui, che ho
appena iniziato”.
“È inutile che si opponga. Potrà finire tutto per strada”.
“Non vorrà mica torcermi il collo”.
Come il diavolo si prese il professore

“Non ci penso proprio, se viene con me di buon grado. Vogliamo
conservare ancora per un po’ la sua considerevole attività
cerebrale, anche se non più sulla terra”.
“Ma in fin dei conti continuerò a vivere nell’anima della terra,
non è vero?”
“La smetta”, esclamò il diavolo irritato. “Non sono qui per
farmi interrogare. Anche l’anima della terra me l’andrò a prendere,
prima o poi”».
«L’anima della terra?», disse la signora in azzurro interrompendo
il professore. «E che cos’è?»
«Ah, non dica sciocchezze», disse la signora Brösen. «Il professore
ha tenuto da poco una conferenza sull’argomento».
«Non sono potuta venire, la mia cameriera era andata via».
«Mah», disse l’uomo forte. «Secondo il professore la terra è
un essere animato, e quando non potremo più vivere come esseri
umani, continueremo a vivere nella memoria dell’anima della terra».
«Così dice Fechner», chiosò il professore.
«Anch’io?», chiese la signora in azzurro.
«Lei andrà direttamente nell’anima del sole», disse il professore,
«perché già adesso appartiene ai ricordi più belli dell’anima
della terra».
«Continui a raccontare!», esclamò la signora Brösen, battendo
le mani.
Il giovane delicato, che stava per intervenire, scosse le spalle
e tacque.
Il professore bevve un sorso dal suo bicchiere e disse: «Registrai
con compiacimento che le questioni teoretiche sembravano
arrecare un po’ di imbarazzo al diavolo. Per guadagnare tempo,
rovistai nei miei manoscritti e stavo per chiedere se non potessi
portare con me il mio binocolo della Zeiss, quando a un tratto –
non so come avvenne – mi ritrovai fuori della mia stanza e mi
ritrovai accanto al diavolo su una comoda poltrona. I piedi erano
appoggiati a una pedana e una ringhiera ci circondava, per il resto
eravamo sospesi nell’aria. Stranamente non soffrivo di alcun
senso di vertigini».
L’uomo forte tossì in modo strano. Il professore non si fece
distrarre.
«Mi riproposi», seguitò, «di non farmi intimidire dal diavolo.
Forse sarei riuscito a trovare un modo per sfuggirgli. Se Faust
Come il diavolo si prese il professore fosse stato un vero matematico,
non avrebbe speso la sua intera
vita a battagliare con il diavolo. Mi tranquillizzai e restai in silenzio.
Allora il diavolo disse: “Bene, le piace la nostra universautomobile?
È stata realizzata secondo il suo ideale, in stellite1
perfettamente resistente e trasparente, che le permetterà di vedere
nel modo migliore tutto ciò che sorvoleremo”.