Foto Adobe Stock fornita dalla NASA

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La prima alba del cosmo

di Roberto Battiston

26 novembre 2019
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Cosa sappiamo davvero del pianeta che abitiamo, del cosmo che lo ospita, della loro nascita ed evoluzione? Una domanda solo in apparenza elementare, che nasconde in realtà la sfida più difficile, ma anche più nobile della storia dell’uomo: il progresso verso la conoscenza. Un progresso che ci sta aprendo orizzonti straordinari – reso possibile da scienziati a volte incompresi, capaci di superare convinzioni errate – fatto di esperimenti ambiziosi, di ricerche liquidate come impossibili e, appunto, delle grandi domande a cui vogliamo dare una risposta.

Cosa sono il tempo e lo spazio? Come sono collegati al Big Bang? Qual è il nostro posto nell’universo? Da dove veniamo? Cosa ci attende in futuro? Siamo una specie interplanetaria o addirittura interstellare? Quali sono i confini attuali della cosmologia, dove potrà spingersi il nostro sapere nei prossimi anni e decenni? Fisico sperimentale tra i più importanti del panorama internazionale, già direttore dell’Agenzia Spaziale Italiana e responsabile di studi che hanno indagato i misteri del cosmo (per esempio quello coordinato assieme al premio Nobel C.C. Ting), Roberto Battiston è anche un divulgatore di prim’ordine, capace di guidarci con mano esperta e piglio narrativo alla scoperta dei più profondi misteri dello spazio. Questioni spinose – come la composizione di energia e materia oscura, la cui esistenza possiamo esplorare solo attraverso calcoli matematici e osservazioni indirette – e figure di spicco, scienziati semidimenticati e intuizioni rivoluzionarie, grandi conquiste e passi ancora da compiere, convinzioni ormai superate e nuove rivelazioni che si affacciano all’orizzonte...

Da sempre in prima linea nelle ricerche più avanzate, Battiston è pronto a svelarci tutto questo e molto di più, delineando per noi lo sconcertante percorso intellettuale che ci ha portati all’attuale comprensione dell’universo, e intrecciando alle scoperte più recenti la passione e l’ambizione degli uomini che le hanno rese possibili.

Roberto Battiston è professore ordinario presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento.

Dal Capitolo 15: Migrazioni interplanetarie (pag. 99-105)

Quando ci siamo accorti che c’era un intruso extrasolare, ’Oumuamua aveva già superato il punto di minima distanza dal Sole e se ne stava andando, veloce e furtivo come era arrivato. Si tratta del primo avvistamento, avvenuto nel 2018, di un asteroide proveniente da un’altra zona della galassia, messaggero di mondi lontani. Cosa sappiamo di questa scheggia scura, probabilmente a forma di sigaro, che ha visitato il nostro sistema solare con una traiettoria e una velocità tali da permettergli di andarsene rapidamente?

Molto poco. Sappiamo che non è fatto di ghiaccio, quindi deve essere di tipo roccioso: non si è acceso come una cometa avvicinandosi al Sole. Sappiamo che non emette radiazione elettromagnetica: i più potenti radiotelescopi non ne hanno trovato traccia. […] Sappiamo che la sua velocità prima di entrare nel sistema solare era compatibile con la velocità  caratteristica dei corpi celesti nella regione della Via Lattea, di cui fa parte il nostro sistema solare.

[…] Non sappiamo quindi con precisione da dove venga, se sia già stato nel nostro sistema solare, quanti altri sistemi abbia visitato, quale sia la sua composizione. […] Quello che è certo è che in tempi scala dell’ordine di milioni o decine di milioni di anni, frammenti come ’Oumuamua possono mettere in contatto diversi sistemi stellari. Una stima addirittura prevede che diecimila asteroidi extrasolari attraversino l’orbita di Nettuno ogni giorno.

Sarebbe quindi interessante poterne esplorare uno per vedere di che cosa sia fatto: questo tipo di asteroidi sembrerebbero il vettore adatto a trasportare la vita, in forme ibernate, da una parte all’altra della galassia. Una missione spaziale del genere è resa però difficile dalla velocità a cui questi frammenti si muovono: ma non è irrealizzabile considerando che nel futuro la capacità osservativa migliorerà di parecchio, permettendo di individuare questi corpi assai prima di quanto non sia successo con ’Oumuamua. [...]

Ma anche i pianeti del nostro sistema solare sono in comunicazione e si scambiano materiale a un ritmo piuttosto elevato. Non tutti sanno che sulla Terra abbiamo una decina di campioni di rocce provenienti da Marte, nonostante non sia ancora mai stata organizzata una missione che abbia riportato materiale dal quel pianeta. Il bombardamento meteoritico su Marte produce però dei frammenti che, data la sua sottile atmosfera, possono essere proiettati nello spazio. Alcuni di essi possono raggiungere la Terra, penetrare l’atmosfera e cadere come un normale meteorite. Confrontando la composizione isotopica dei vari meteoriti con quella misurata su Marte dalle varie missioni robotiche della NASA, si riesce a identificarli e distinguerli da tutti gli altri.

Infine, occorre ricordare che il sistema solare gira intorno al centro della galassia in circa 220 milioni di anni. Da quando si è formato 4,5 miliardi di anni fa, ha effettuato il giro completo circa 20 volte. Ciò significa che nel tempo scala in cui la vita è emersa sulla Terra, il neonato sistema solare ha fatto da uno a tre giri completi, entrando in contatto con i frammenti di sistemi stellari lontani. La vita, però, probabilmente non ha bisogno di imponenti astronavi rocciose per spostarsi da un pianeta all’altro. Considerando le piccolissime dimensioni dei batteri, i più piccoli organismi viventi che conosciamo, o addirittura dei virus, che all’interno dei batteri possono vivere e riprodursi, possiamo immaginarci anche altri meccanismi adatti a questa funzione di trasporto.

Microscopici cristalli di ghiaccio e polvere, per esempio, contenenti batteri e spore in grado di resistere alle condizioni spaziali, possono diffondersi nello spazio dalle zone dell’alta atmosfera di un pianeta. Quando le dimensioni diventano microscopiche, il rapporto tra la forza gravitazionale, che dipende dalla massa, e la spinta dovuta alla radiazione stellare, che dipende dalla superfice, si sbilancia a favore della seconda. È come se un pianeta lasciasse una scia di profumo dietro di sè.

[…] Siamo abituati a pensare allo spazio come vastissimo e per lo più vuoto. Totalmente inadatto alla vita. Forse dovremmo cambiare idea. È meno vuoto di quanto si possa pensare. In realtà, le varie parti della Galassia comunicano scambiando materiale su tempi scala che sono confrontabili con quelli della comparsa della vita sul nostro pianeta.

Ma come la mettiamo quanto a possibilità di sopravvivenza della vita nello spazio? Be’, anche in questo caso la natura ci sorprende. Sono infatti note varie specie viventi che resistono a condizioni particolarmente ostili come sono quelle dello spazio: vuoto assoluto, temperature estreme e presenza di radiazione ionizzante. […]

Un caso veramente straordinario è quello dei tardigradi. Si tratta di animaletti comunissimi lunghi circa mezzo millimetro che vivono nell’acqua, dotati di otto zampe, bocca e apparato digerente, di una struttura nervosa e cerebrale. Sono in grado anche di riprodursi sessualmente. Presenti in natura in migliaia di versioni, dispongono di un metabolismo con caratteristiche uniche. Per poter resistere a condizioni di prolungata siccità, il loro organismo può raggiungere la completa deidratazione, perdendo circa il 90% dell’acqua e accartocciandosi fino a divenire una minuscola struttura a forma di botticella. Per dirla con altre parole, è come se si autoliofilizzassero. Ultimato questo processo, il loro metabolismo diventa 10.000 volte più lento: l’aspetto davvero stupefacente è che possono rimanere coì. Per decine di anni, salvo risvegliarsi in poche decine di minuti se vengono bagnati. Ma c’è di più. Nelle condizioni disidratate resistono al vuoto assoluto come a pressioni di migliaia di volte quella atmosferica, a temperature vicine allo zero assoluto oppure a temperature che raggiungono i 150 °K. La loro soglia di tolleranza alla radiazione è centinaia di volte più alta di quella che si rivela mortale per l’uomo. Il segreto di questa tempra risiede in uno zucchero, il trealosio, peraltro molto utilizzato dall’industria alimentare. Se essiccato, questo zucchero sostituisce le molecole d’acqua nelle celle, portando l’animale a una sorta di stato vetrificato. Il DNA dei tardigradi, inoltre, è protetto da una proteina che riduce il danno da radiazione. Un dato del genere basta a farci ipotizzare che questi animaletti vengano dallo spazio? Direi di no. Il loro particolare metabolismo è, piuttosto, la conseguenza dell’adattamento evolutivo avvenuto sul nostro pianeta: i tardigradi, infatti, sono tra i pochissimi esseri viventi usciti indenni da tutte e cinque le estinzioni che si sono succedute sulla Terra.

Ecco perché sono i migliori candidati per affrontare un lungo viaggio nello spazio a bordo di un meteorite o di una cometa. […]

Il problema dell’origine della vita rimane quindi aperto, anche se, passo dopo passo, facciamo progressi verso la sua soluzione. In questo ultimo decennio strumenti di calcolo sempre più potenti ci hanno permesso di riprodurre, partendo dai primi principi della meccanica quantistica, la formazione di sistemi molecolari sempre più grandi e complessi, formati ormai da migliaia di atomi. La velocità a cui cresce il settore della biologia computazionale è formidabile: è ormai solo questione di potenza di calcolo.

Allo stesso tempo, abbiamo sviluppato a dismisura la capacità nella decodificazione e manipolazione del DNA, fino a giungere alla realizzazione delle prime strutture genomiche semplificate, derivate da organismi viventi e in grado di riprodursi: si parla, oggi, di vita sintetica, un settore con enormi prospettive di sviluppo. È quindi verosimile che la valutazione del numero di tentativi necessari per realizzare strutture molecolari complesse oppure la conferma dell’esistenza di isole di stabilità genomica nell’evoluzione delle specie virali e batteriche siano in futuro obiettivi alla nostra portata. A quel punto avremo un’arma in più per capire come si sia sviluppata la vita sulla Terra. Chissà, magari scopriremo che gli alieni sono particolari forme biologiche che convivono con noi dall’inizio dei tempi: e noi che li cercavamo su Marte o sotto la superficie delle lune ghiacciate di Giove e Saturno!

Per gentile concessione della casa editrice Rizzoli