Particolare tratto dalla copertina

In libreria

La rivoluzione incompiuta. La scienza aperta tra diritto d’autore e proprietà intellettuale

di Roberto Caso

24 febbraio 2020
Versione stampabile

Se si domanda a una persona di buon senso «a chi appartiene la scienza?», la risposta più probabile è: «a tutti!».
Dietro il velo di una risposta istintiva e (apparentemente) superficiale si nasconde la storia dell’eterno conflitto tra apertura e chiusura della conoscenza, tra pubblicità e segretezza. Un conflitto che assume connotati peculiari nell’era digitale.
All’alba dell’era di Internet una parte della comunità scientifica ha coltivato la speranza di potenziare il discorso scientifico e l’uso pubblico della ragione creando una Rete democratica delle menti. Questa speranza oggi appare minacciata dalla mercificazione della conoscenza e dalle forze che mirano ad accentrare il potere decisionale nelle mani di pochi. La scienza sembra sempre più in crisi.
L’apertura può curare la crisi in cui versa la scienza? Cosa significa “scienza aperta”? Le risposte contenute nel libro sono parziali e attengono al dilemma evocato nel suo titolo: diritto d’autore o proprietà intellettuale?  

Roberto Caso è professore associato presso la Facoltà di Giurisprudenza.

Dalla Conclusione (pag. 187-194) [note a piè di pagina omesse]

[…] può l’apertura contrastare la mercificazione della scienza e curare i mali che essa genera?
La risposta è positiva, purché si intenda la scienza aperta non solo come accesso gratuito e con diritti di riuso a pubblicazioni e dati ma come un sistema di valori che ruota attorno al concetto di democrazia. […]
In questo momento storico il controllo privato dell’informazione è largamente prevalente e la sopravvivenza della scienza pubblica e democratica è a rischio. Lo prova il fatto che le grandi banche dati commerciali sono state capaci di colonizzare buona parte del mondo dell’Open Science. Elsevier, ad esempio, non solo pratica forme di OA a pagamento, ma sta acquisendo archivi e infrastrutture digitali dell’OA come «Social Science Research Network» e «Bepress». D’altra parte, i social network scientifici commerciali come «Academia.edu» stanno occupando la scena. I ricercatori dal canto loro sembrano maggiormente propensi a convergere sulle piattaforme commerciali di quanto non siano disposti a utilizzare le infrastrutture del mondo accademico istituzionale o no profit, nonostante il fatto che i social network scientifici presentino le stesse controindicazioni di quelli generalisti (si pensi all’appropriazione e allo sfruttamento dei dati personali degli utenti).
Tali fenomeni dimostrano che […] la scienza aperta rimane una rivoluzione incompiuta. Ci sono diverse forze che muovono in senso contrario all’affermazione della scienza aperta.
a) «Accentramento del controllo privato dei dati e delle informazioni su Internet». Il sogno di un Web aperto e democratico si è infranto con l’affermazione di una Rete, quella attuale, dominata da grandi piattaforme commerciali come Google o Facebook e agenzie statali che non operano per il bene pubblico. Accentramento del controllo privato dei dati e delle informazioni, segretezza degli algoritmi, e concentrazione del potere computazionale sono tratti caratterizzanti della Rete dell’era contemporanea.
b) «Automazione delle decisioni e datismo». L’accentramento del controllo dell’informazione corrisponde all’idea di preferire alla decisione umana presa volta per volta, l’incorporazione delle scelte in algoritmi e software. Nella forma più estrema questo paradigma predica la sostituzione della scienza degli uomini con quella delle macchine. Applicando la matematica e la statistica a immense quantità di dati (big data) sarebbe possibile estrarre correlazioni tra fenomeni differenti, facendo a meno del metodo scientifico classico basato sulla costruzione di ipotesi e modelli teorici soggetti alla falsificazione. Di più, secondo alcuni saremmo di fronte a una nuova concezione del mondo (una nuova religione) che ruota attorno ai dati. Secondo lo storico israeliano Yuval Noah Harari «il datismo sostiene che l’universo consiste di flussi di dati e che il valore di ciascun fenomeno o entità è determinato dal suo contributo all’elaborazione dei dati». 
c) «Mercificazione della scienza e aziendalizzazione dell’università». La trasformazione dell’università in azienda è un fenomeno risalente nel tempo. Negli ultimi decenni però ha subito un’accelerazione straordinaria. Le università fanno uso strategico della proprietà intellettuale e si comportano come attori del mercato della tecnologia. La ricerca applicata diventa sempre più rilevante a scapito di quella di base. Il finanziamento della ricerca è sempre più a progetto e finalizzato a risultati di breve periodo. Le norme informali della scienza cambiano e vedono ridotto il loro spazio di operatività a vantaggio di una pletora di norme formali di vario livello. Il lavoro della ricerca si fa sempre più precario, restringendo i margini di autonomia e libertà dei ricercatori, soprattutto di quelli più giovani dai quali ci si aspetterebbe il coraggio delle nuove idee. Mutano il linguaggio e le categorie dell’istituzione. Il dominio del linguaggio e delle categorie della «valutazione» e dei suoi indicatori ne è l’esempio forse più eclatante. La commercializzazione si accompagna all’esaltazione della competizione a scapito della cooperazione tra scienziati. Uno degli effetti collaterali dell’esasperazione della competizione è rappresentato dalla crescita dei casi di violazione delle norme dell’integrità scientifica (scientific misconduct). Infine, è la struttura istitu- zionale dell’organizzazione a mutare e a diventare sempre più gerarchica e verticistica emulando la natura dell’impresa.
d) «Una società sempre meno democratica». Il passaggio dal governo delle leggi alla governance dei numeri è una formula di sintesi che descrive uno degli aspetti della profonda crisi della democrazia occidentale. Di quella che sembra un’inesorabile trasformazione della democrazia in «autoritarismo morbido», la compressione dell’autonomia della scienza e della libertà accademica costituisce un aspetto fondamentale. Come la storia ha ampiamente dimostrato, l’autoritarismo teme la scienza democratica, perché questa costituisce l’ambiente ideale per lo sviluppo del pensiero critico. D’altra parte, la valutazione mediante indicatori pervade la società nel suo complesso, ed entra in profondità nelle istituzioni della scienza come le università. Uniformare, normalizzare e classificare sono ingredienti di un processo che intende desertificare i luoghi in cui il pensiero dissonante e il dubbio critico possono attecchire.
e) «Una proprietà intellettuale che punta sempre più al controllo privato dei dati e delle informazioni». La storia del diritto d’autore racconta una parabola che prende le mosse dai privilegi librari quali rudimentali strumenti giuridici di controllo diretto della tecnologia (e di censura) della stampa, passa attraverso la fase nata con la stagione illuministica nella quale l’esclusiva cerca di conciliare il progresso della conoscenza (frutto del discorso pubblico tra uomini liberi e autonomi) con le ragioni del profitto, per giungere nell’era digitale a trasformarsi, col suo nuovo apparato giuridico, in una delle leve del controllo privato di Internet, delle informazioni e dei dati. Si pensi alla tutela del software, alla tutela delle misure tecnologiche di protezione, alla responsabilità dell’Internet Service Provider. Si tratta di una parabola che contraddistingue, per mezzo di trattati multilaterali o, sempre più spesso, bilaterali, l’evoluzione globale delle normative sul diritto d’autore e relativi diritti connessi, ma che paradossalmente ha nell’Unione Europea la sua punta più avanzata. Emblematiche da questo punto di vista appaiono: la tutela delle banche dati mediante diritto sui generis, la tutela dei diritti sulle pubblicazioni giornalistiche e la disciplina della responsabilità dei prestatori di servizi di condivisione di contenuti online.
Per sopravvivere e avere speranza di svilupparsi la scienza aperta deve contrastare tutte queste forze. […]
Il diritto di per sé è uno strumento insufficiente a determinare la sopravvivenza o, nel migliore dei casi, la piena realizzazione della scienza aperta.
L’«arma» più potente nelle mani dell’Open Science per contrastare le forze descritte in queste conclusioni è nell’insegnamento. Occorre investire risorse nell’insegnamento della scienza aperta come scienza pubblica e democratica, della sua etica, dei suoi valori fondativi, delle sue tecniche di attuazione. Solo attraverso l’insegnamento – anche degli aspetti controversi e contradditori della scienza aperta – si può pensare di formare nuove generazioni di persone (non solo scienziati) dotate di spirito critico e votate alla ricerca cooperativa della verità.
D’altra parte, la responsabilità verso le nuove generazioni è quel che dà senso al lavoro di un accademico. Quella stessa responsabilità che chiede a ciascun professore di lasciare un’università migliore di quella ereditata dai predecessori. Non seguire il sistema, ma provare a cambiarne la natura. […]

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