Antica mappa dell'Europa, Mercator, 1587. Foto Adobe Stock

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Le origini dello stato moderno. Secoli XI-XV

di Luigi Blanco

15 aprile 2020
Versione stampabile

Il volume affronta il tema, al centro di un rinnovato interesse storiografico, delle origini medievali dello Stato moderno. Attraverso una prospettiva storico-istituzionale si individuano le strutture fondamentali e si delineano le vicende ritenute più interessanti che hanno portato alla contrastata formazione dello Stato nell'Occidente europeo, precisando al contempo le possibili alternative (cittadine, imperiali, confederali). Lo scopo della ricostruzione storica e politica è quello di superare la troppo rigida divisione tra Medioevo ed età moderna, cercando di far emergere il pluralismo costitutivo del processo di formazione dello Stato e le molteplici traiettorie di sviluppo. La ricostruzione si arresta alle soglie della modernità evidenziando sia il quadro unitario di riferimento sia le profonde differenze, istituzionali, sociali e territoriali, che connotano la complessa vicenda dello Stato moderno in Occidente, troppo spesso riferita alle sole esperienze monarchiche.

Luigi Blanco è professore ordinario di Storia delle istituzioni politiche del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento.

Dall’introduzione (pag. 10-12; 18-20)

Il tema delle origini dello Stato moderno non è certo nuovo nel panorama storiografico europeo e internazionale. Soprattutto a partire dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, esso è stato al centro di due vasti progetti di ricerca, ai quali si fa spesso riferimento in questo volume, che hanno affrontato i molteplici aspetti legati alle origini di questa nuova forma di organizzazione del potere, da quello politico amministrativo in senso stretto a quello fiscale e militare, da quello religioso a quello dottrinario e istituzionale, da quello dell’organizzazione sociale a quello delle istituzioni rappresentative, da quello giuridico a quello simbolico-comunicativo. Si tratta delle due ricerche collettive promosse dal Centro nazionale per la ricerca scientifica francese e dalla Fondazione europea per la scienza, coordinate da Jean-Philippe Genet la prima, e dallo stesso Genet con Wim Blockmans la seconda, che si sono distinte per ampiezza, sistematicità e coinvolgimento di studiosi e di équipe di ricerca. 

Tuttavia, gli studi e le ricerche che hanno affrontato il tema delle origini dello Stato sono partiti da prospettive molto diverse e sono pervenuti a risultati differenti. […]

In controtendenza e pour cause con questa impostazione cronologica [vale a dire origini che coprono l’intero arco cronologico dell’antico regime] si è posto il volume italo-americano dedicato alle origini dello Stato, che ha rimesso in circolo nella storiografia europea e internazionale l’esperienza della penisola italiana, un tempo ritenuta marginale e secondaria. Le origini cui si fa riferimento in quest’opera non sono precisamente fissate, ma si collocano nel basso Medioevo e la fase privilegiata dai contributi raccolti è generalmente quella quattrocentesca (Chittolini, Molho, Schiera, 1994). Nella medesima prospettiva si pone anche questo volume, il quale intende tematizzare le origini immediate dello Stato moderno, da collocarsi nel tardo Medioevo, ma anche le precondizioni che vanno invece rintracciate in quella serie di trasformazioni strutturali realizzatesi nell’Occidente europeo subito dopo il Mille. Mi riferisco alla ripresa e al rinnovamento degli studi giuridici, alla rinascita cittadina, alla riforma o “rivoluzione” gregoriana, alla nascita delle università, allo sviluppo dei commerci, al mutamento feudale, al consolidamento dei poteri signorili e all’articolazione territoriale delle forme di potere. Proprio in quest’epoca si pongono le premesse o le precondizioni perché si possa giungere – molto lentamente e non senza battute d’arresto, che si manifestano diversamente nei vari contesti politico-territoriali – alla formazione dello Stato moderno. Chi scrive non è un medievista di formazione, ma ha cercato di far propria l’indicazione di Werner Näf, secondo cui per studiare le origini del processo di costruzione dello Stato moderno è necessario risalire al Medioevo e fare i conti con le trasformazioni di questa epoca storica, senza bisogno di diventare per questo un medievista (Näf, 1971). 

Affrontare la vicenda dello Stato moderno a partire dalle sue radici o, per meglio dire, utilizzando una prospettiva “genetica”, non comporta solo l’applicazione di un diverso punto di vista su un processo di estensione plurisecolare, ma fornisce anche importanti indicazioni metodologiche e interpretative. […] 

Ricostruire la vicenda dello Stato moderno attraverso la sua genesi contribuisce pertanto ad allontanare la sua pretesa di “naturalità”, riducendo al contempo il rischio di concepirlo come una forma universale di organizzazione del potere. Naturalità, universalità e neutralità rappresentano le pretese che lo Stato moderno ha saputo inventare e interpretare al meglio e dalle quali occorre prendere le distanze per riportarlo alla sua dimensione prettamente storica (e umana). In quanto «forma di organizzazione del potere storicamente determinata» (Schiera, 1976, p. 1006), lo Stato moderno ha avuto dunque un’origine, uno sviluppo che lo ha portato a conquistarsi una posizione assolutamente centrale e ad assumere una connotazione quasi atemporale nel corso del xix secolo, ed è destinato verosimilmente anche ad avere una fine. L’affermazione circa il suo carattere storico può sembrare scontata o autoevidente, ma non lo è poi così tanto se ancora in tempi recenti, da insigni studiosi di diversa provenienza disciplinare, si è sottolineata proprio la perennità dell’organizzazione statale (Marongiu, 1970; Tilly, 1991). […]

Questo volume ha avuto una lunghissima gestazione. […] 

Tutto il percorso qui tracciato è sostanzialmente debitore di una stagione storiografica, quella che fa riferimento all’Istituto storico italo-germanico di Trento, fondato dal compianto Paolo Prodi nel 1973, e che ha trovato nel sodalizio con Pierangelo Schiera il motore storiografico. L’approccio storico-costituzionale e l’attenzione alla storia delle istituzioni e della cultura sono nati per me in quella stagione, che è coincisa con il mio periodo di formazione e apprendistato. L’Istituto di allora è stata una delle più significative esperienze che la storiografia italiana è stata in grado di realizzare, in tempi certo molto diversi da quelli attuali, ma non meno difficili. Con costanza, metodo e applicazione, oltre che con visione strategica, si è riusciti a fare di Trento una sorta di «stazione di posta», come amava dire Prodi, tra il mondo italiano e l’area germanica. Il Comitato scientifico a composizione paritetica, italiana e tedesca, le Settimane di studio, rigidamente bilingui anche quando la conoscenza della lingua tedesca non era diffusa quanto lo è oggi, i temi che spaziavano dal Medioevo all’età contemporanea e affrontavano problemi cruciali per la storia dei due mondi, e più in generale per la storia europea, con il coinvolgimento dei migliori studiosi italiani e tedeschi e tenendo conto degli approcci storiografici più innovativi, hanno caratterizzato la vita scientifica dell’Istituto. Per il tramite di questi appuntamenti fissi e degli innumerevoli seminari, convegni e gruppi di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche che sono stati organizzati e ospitati presso l’Istituto, da quest’ultimo sono passati tutti gli storici affermati, italiani e tedeschi, e una nutritissima schiera di giovani ricercatori e studiosi destinati poi a carriere accademiche di primo piano. Grazie a queste occasioni di incontro e di confronto scientifico, l’Istituto storico di Trento si è ritagliato un posto ragguardevole nella storiografia dei due paesi, diventando un centro di ricerca rilevante anche per altre storiografie – penso a quella spagnola – che attraverso l’Istituto trentino si sono abbeverate alla storiografia tedesca, e facendo circolare nei due mondi tematiche e approcci storiografici che hanno segnato gli ultimi decenni del secolo scorso, tanto da spingere a porsi la domanda se sia esistita una storiografia italo-tedesca (Nobili Schiera, 2007). 

Ma l’Istituto non è stato solo una eccezionale avventura scientifica, di quelle che sempre più raramente si verificano nella nostra penisola: esso è stato anche una comunità di studio e di ricerca presso la quale si sono formati e addestrati numerosi giovani ricercatori. A quella comunità questo volume vuole essere un tributo, di riconoscenza e di affetto. Alcuni di coloro che l’hanno animata non sono più tra noi, a cominciare dal suo fondatore e dalla persona il cui contributo professionale e umano è stato decisivo, a mio avviso, per l’amalgama e la vita quotidiana della comunità stessa. Mi riferisco a Giuliana Nobili Schiera, alla quale si deve la cura redazionale dei tantissimi volumi pubblicati in quella stagione e che nel mio caso ha avuto un ruolo importante anche nell’addestramento alla redazione di testi scientifici. Ma Giuliana ha svolto un ruolo fondamentale, ancorché dietro le quinte, nel tenere assieme quella comunità e nell’integrare i più giovani, dispensando consigli, incitamenti e non facendo mai mancare il suo sostegno, soprattutto nei tanti momenti difficili. Quella stagione storiografica, come tutte le cose della vita, si è chiusa da molto tempo; tuttavia essa continua a vivere, non solo nel ricordo e nella memoria, e i suoi semi seguitano a germogliare ancora oggi, a distanza di molto tempo, e a dare tuttora qualche frutto.

Per gentile concessione della Casa editrice Carocci.