Firma protocollo d'intesa tra CSSC e Guardia di Finanza. ©GdF

Innovazione

Al via il Centro di Scienze della Sicurezza e della Criminalità

Tra i primi impegni la collaborazione con la Guardia di Finanza. Intervista ad Andrea Di Nicola

17 dicembre 2021
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di Marinella Daidone
Lavora all’Ufficio web e social media dell’Università di Trento.

Nei mesi scorsi è stato costituito il Centro di Scienze della Sicurezza e della Criminalità (CSSC) delle Università di Trento e di Verona. Si tratta di un centro interuniversitario nato da una convenzione stipulata per 6 anni fra i due Atenei, con sede amministrativa Trento e sede consorziata Verona, che ha già cominciato a dare i primi frutti. Ne abbiamo parlato con Andrea Di Nicola, professore di criminologia della Facoltà di Giurisprudenza UniTrento e direttore del Centro.

Professor Di Nicola, ci può parlare di questo nuovo centro interuniversitario? È un unicum in Italia, e uno dei pochi di questo tipo in Europa.

Sì, sono pochissime le esperienze di questo tipo in Europa. Una è Londra ed è proprio alla tradizione di studi anglosassoni in Security and Crime Science che ci siamo ispirati per il nome del centro. Non sono molti i centri simili per la difficoltà di creare strutture di ricerca che presuppongano una forte integrazione di saperi. Credo quindi che possiamo essere molto soddisfatti.
Il centro è nato mettendo a frutto esperienze precedenti e dalla constatazione che nel nostro Ateneo e nell’Ateneo di Verona, con cui avevamo già numerose collaborazioni, ci sono tante conoscenze in molte discipline da mettere a sistema sul tema della sicurezza. 
L’esperienza dell’Istituto di Scienze della Sicurezza UniTrento (ISSTN), attivo negli ultimi tre anni,  così come tanti altri gruppi di ricerca e laboratori del nostro Ateneo che studiano vari aspetti della sicurezza, ha rappresentato una palestra che ci ha fatto capire che per dare risposte scientifiche alla richiesta di sicurezza di istituzioni, aziende e cittadinanza c’è sempre più bisogno di inter/multidisciplinarietà.
La criminalità oggi è cambiata (pensiamo alle frodi online o alla cybercriminalità ma anche a come le tecnologie supportano reati tradizionali, fisici) e di conseguenza deve cambiare l’approccio alla sicurezza e alle forme di prevenzione. Quindi accanto a chi si occupa di criminologia e di diritto, è necessario avere competenze in scienze sociali, matematica, informatica, statistica, scienze cognitive, per citare solo alcuni ambiti. Sono discipline nelle quali a Trento abbiamo tante eccellenze su cui costruire linguaggi comuni. E in queste aree molte sono le competenze presenti anche all’Università di Verona, dove c’è pure una forte tradizione di studi giuridici collegati alla criminalità digitale e che potrà anche apportare importanti conoscenze in ambito medico.

Quanto è importante in questo settore far dialogare le diverse discipline scientifiche? E in concreto cosa significa?

Oggi c’è una fortissima domanda di interdisciplinarietà sia nel campo della formazione che nella ricerca applicata. Non è più possibile trovare soluzioni valide con un sapere standardizzato diviso in compartimenti stagno: per trovare soluzioni a problemi applicativi complessi scienza e tecnologia devono interagire.
Pensiamo ad esempio alle città intelligenti che si dotano di tecnologie per prevenire la criminalità: non è sufficiente affidare un progetto di questo tipo solo all’informatico, che è fondamentale ma che avrà bisogno del criminologo, per capire che cos’è la criminalità e come si fa a prevenirla, del giurista che si occupa di privacy, in modo che queste tecnologie non siano troppo invasive, dello psicologo e dell’esperto in scienze cognitive, che può suggerire alla governance come spiegare alla cittadinanza quello che si sta facendo.
La stessa cosa vale per la cybersecurity che, essendo molto tecnica, tiene involontariamente lontano gli altri saperi perché il criminologo, lo psicologo o il giurista possono avere difficoltà a entrare in quel mondo; oggi però molti rischi partono dalla sicurezza cibernetica, quindi anche questo è un campo sul quale dobbiamo dialogare.
È difficile lavorare insieme perché abbiamo ontologie professionali, metodi empirici e metodiche diverse ma, in un mondo che sta cambiando sempre più velocemente e che ci impone sfide veloci, dobbiamo riuscire a farlo.

Lo scorso luglio è stato firmato a Roma un protocollo d’intesa con la Guardia di Finanza. Di cosa si tratta?

È il primo atto formale del Centro, che è stato presentato ufficialmente in quell’occasione. L’obiettivo è molto concreto: fornire alla Guardia di Finanza l’apporto della ricerca universitaria per affinare metodi e strumenti investigativi d’avanguardia in ambito economico-finanziario. 
Partivamo da collaborazioni molto positive a livello locale (con il Comando regionale della Guardia di Finanza, con la Procura della Repubblica di Trento, con la Corte dei Conti) e da lì è nata l’idea di estendere la collaborazione tra Università e forze dell’ordine.
Il protocollo d’intesa è stato firmato dal Capo di Stato Maggiore del Comando Generale, Gen. D. Francesco Greco, alla presenza fra gli altri dei rettori degli Atenei di Trento e Verona (professori Flavio Deflorian e Pier Francesco Nocini) e del coordinatore scientifico della sede del Centro dell’Università di Verona professor Roberto Flor. 
Si tratta di una collaborazione a livello nazionale e per noi rappresenta una grossa sfida, ma che vale la pena di affrontare per creare standard di lavoro e nuovi ponti fra istituzioni. In particolare gli ambiti su cui stiamo iniziando a lavorare riguardano il sapere criminologico e l’applicazione dell’intelligenza artificiale all’identificazione di bilanci irregolari che possono essere collegati ad evasione fiscale. 
Un secondo filone sarà la lotta alla contraffazione online attraverso nuovi strumenti di intelligence elaborati in base ai bisogni investigativi per quest’area che ci vede tutti coinvolti come potenziali vittime, oltre a rappresentare un danno enorme per l’imprenditorialità di qualità del nostro paese.

Ci sono altri progetti ai quali state lavorando? Quali sono le prospettive future?

Stiamo progettando corsi di formazione professionale su bisogni specifici che stiamo intercettando. La caratteristica è ancora una volta il dialogo tra saperi. Non si parla di nuovi corsi di laurea, ma di formazione altamente qualificante per professionisti di settore. Tra le aree alle quali stiamo pensando ci sono quelle della sicurezza urbana nella società digitale, del contrasto alla contraffazione e il settore dell’intelligence per le grandi aziende.
Riguardo alla ricerca applicata le aree su cui vogliamo lavorare sono tante perché il centro ha, a partire dal suo Consiglio direttivo, molte competenze tra cui criminologi, informatici, giuristi, psicologi, esperti di deep fake e di frodi di identità online, esperti di tecnologie sensoristiche e di cybersecurity.
In campo medico è già stata avviata una collaborazione molto significativa con l’Unità operativa di Neuroradiologia dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento nella diagnosi di patologie importanti. Con l’intelligenza artificiale e l’analisi avanzata di immagini mediche migliorano la diagnosi, la pianificazione dei trattamenti e le aspettative di vita dei pazienti. Si offrono al medico strumenti più accurati per ridurre il rischio di diagnosi non corretta, riducendo i rischi medici. I responsabili del progetto sono i professori Donelli ed Espa. 

Come si lega l’attività del Centro alla cosiddetta “terza missione” e quali sono i benefici per la cittadinanza?

La domanda di sicurezza oggi arriva dal cittadino che la ottiene dalle istituzioni e che purtroppo a volte la cerca in modalità privata con fenomeni come il vigilantismo virtuale. 
Più noi saremo in grado di dialogare e dare risposte oggettive, scientifiche e robuste alle istituzioni che si occupano di sicurezza, maggiore sarà il beneficio per la cittadinanza. Più creeremo professionisti della sicurezza e aziende resilienti alle minacce, maggiori saranno i benefici per il nostro Stato per le persone.