Collaudo mascherine. Foto Alessio Coser, archivio UniTrento.

Innovazione

Un Ateneo attivo e solidale

Il ruolo di ricerca e innovazione nell’emergenza Covid-19. Intervista al presidente Daniele Finocchiaro

4 giugno 2020
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di Marinella Daidone
Lavora presso l'Ufficio Web, social media e produzione video dell'Università di Trento.

Daniele Finocchiaro è presidente del Consiglio di amministrazione dell’Università di Trento dall’ottobre 2018. 

Laureato in Economia politica internazionale all’Università Bocconi e specializzato in Economia dello Sviluppo ed Economia Sanitaria, ha lavorato nel settore imprenditoriale farmaceutico dove ha ricoperto ruoli di vertice. Tra gli incarichi svolti ricordiamo quello di presidente e amministratore delegato di GlaxoSmithKline. Da aprile 2019 è presidente di AGSM Verona spa e presiede il comitato di vigilanza di SMACT, il Competence Center del Triveneto. 

In Confindustria Daniele Finocchiaro ha svolto incarichi di rilievo; fino a maggio scorso è stato presidente del Gruppo Tecnico Ricerca e Sviluppo e componente del Comitato di presidenza allargato.

Presidente Finocchiaro, l’emergenza coronavirus ha reso palese a tutti l’importanza di ricerca e innovazione. Quali risorse abbiamo in questo campo e come metterle a frutto?Daniele Finocchiaro

Questa crisi ha messo a nudo tutte le fragilità del nostro sistema ricerca, che non abbiamo tutelato come avremmo dovuto. 

Se avremo futura memoria, l’emergenza Covid-19 dovrebbe lasciarci qualche insegnamento.

Perché una pagina così tragica della nostra storia non torni a ripetersi sarà necessario portare la ricerca tra le priorità dell’agenda del Paese, evitando un approccio ragionieristico in ambito sanitario. Guardando oltre l’attuale emergenza non vi è dubbio che necessitiamo di una strategia di lungo periodo e di investimenti appropriati e continuativi in Ricerca.

Questa crisi ha reso più evidente l’importanza di un dialogo ancora più stretto tra ricerca privata e ricerca pubblica, che dovrebbero muoversi con uno stesso obiettivo e uno sforzo comune. 

È il momento di condividere le conoscenze e di mettere a sistema l’organizzazione della ricerca: bisogna costruire piattaforme nazionali di open innovation e di open science per potenziare le sinergie fra pubblico e privato.

Non è il momento di essere individualisti, ma occorre una nuova visione che parta dalla capacità di fare sistema e di condividere i saperi da sviluppare non solo come sistema paese, ma anche a livello europeo, attraverso il nuovo Programma quadro per la ricerca.

Lei ha maturato una grande esperienza nell’industria farmaceutica. Qual è la sua previsione – o l’auspicio – per la produzione di un vaccino contro il SARS-CoV-2? 

Premetto che sui vaccini non ho informazioni riservate e quindi mi limito a una lettura dell’attualità. 

Trovo positivo il cambio di percezione nei confronti dei vaccini e il superamento di alcuni pregiudizi. Qualcuno ha detto che i vaccini sono stati vittima del loro successo, ovvero hanno contribuito ad eliminare tante malattie e per questo non se ne percepiva più il valore. Ora, purtroppo, il pericolo è tornato e si ha dei vaccini una considerazione più razionale.

Dal punto di vista industriale, quello che sta accadendo è che si stanno mettendo insieme le forze. Vedo aziende che erano concorrenti agguerrite che stanno coordinando gli sforzi per realizzare un vaccino. 

Fino a qualche anno fa erano necessari dai dieci ai vent’anni per sviluppare un nuovo vaccino. Con l’avvento della genomica e delle nuove tecnologie, i tempi si sono notevolmente accorciati. 

Ci sono decine di candidati vaccini nei laboratori di tutto il mondo, e verosimilmente nel giro di sei mesi avremo una risposta su un vaccino efficace. Quello che mi preoccupa di più è la produzione. La capacità produttiva delle singole aziende è solo di centinaia di milioni di dosi, arrivare a una scala di miliardi di dosi per tutta la popolazione mondiale è l’ostacolo più difficile. Ci vuole una coalizione tra aziende di vaccini e governi, e investimenti di miliardi di dollari, tenendo presente che accorciando molto i tempi della sperimentazione clinica e accelerando la produzione tutto diventa un poco più rischioso.

La pandemia ci ha insegnato che bisogna ragionare a livello globale, ma che altrettanto importante è ciò che accade sul territorio. Come coniugare locale e globale?

Quello che sta accadendo è che un evento locale verificatosi in una regione della Cina, diventa in poche settimane un evento globale, una pandemia globale e questo sarà l’iter di diffusione anche delle prossime epidemie.

Ci sono enti mondiali che se ne stanno occupando, però la soluzione deriverà solo dalle misure adottate da ogni singolo stato, regione, città e territorio. Disposizioni che riguardano tutti gli ambiti della nostra vita sociale – dall’occupazione alla scuola, dagli spostamenti alla raccolta dei rifiuti – come abbiamo imparato in questi mesi.
La pandemia non si potrà contenere se non viene contenuta ugualmente in ogni regione del mondo, indipendentemente dalla ricchezza o meno dei diversi paesi. C’è bisogno di una ‘cooperazione decentralizzata’ e di trovare soluzioni nella maniera più veloce possibile, ma anche con una solidarietà che non deve lasciare nessuno e nessun posto indietro. Per non avere cicli ricorrenti e riuscire a sradicare questa patologia, dobbiamo fare in modo che tutte le persone abbiano accesso ai vaccini appena saranno disponibili.

Come ha reagito l’Ateneo all’emergenza coronavirus? Sono molte le iniziative che l’Università di Trento ha messo in campo anche a favore dei cittadini. 

Questa emergenza ha dimostrato il valore che l’Ateneo di Trento ha per il territorio trentino. Innanzitutto devo fare i complimenti a tutte le strutture perché sono state in grado di riorganizzare le attività ed essere un punto di riferimento per la comunità studentesca e per la cittadinanza. Non è stato semplice riorganizzare l’attività didattica garantendo servizi elevati per gli studenti in così breve tempo.

Come Consiglio di amministrazione, in perfetta sintonia con il rettore, abbiamo immediatamente deliberato uno stanziamento straordinario di oltre un milione di euro per finanziare le attività avviate dai vari Dipartimenti dell’Ateneo tra cui l’analisi dei tamponi per l’Azienda sanitaria, le attività di divulgazione scientifica e i servizi a supporto della cittadinanza.

Tutti i Dipartimenti e Centri dell’ateneo si sono attivati, ciascuno a suo modo, per dare il loro contributo attraverso la ricerca, gli studi specifici e le diverse iniziative, che sono davvero tante. Non posso qui citarle tutte, se ne dà conto nel sito dell’ateneo UniTrento versus Covid-19. Per fare solo qualche esempio ricordo l’attività del CIBIO, che ha analizzato oltre 30 mila tamponi e che sta portando avanti ricerche per un vaccino; il monitoraggio cartografico del contagio effettuato dal GeCo, centro nato da una partnership tra Ateneo e territorio; la raccolta fondi promossa dai nostri studenti e la partecipazione dei nostri docenti ai gruppi di lavoro attivati dalla Provincia autonoma di Trento. Trovo molto positiva la risposta dell’Ateneo, la sua vicinanza con il territorio e sono orgoglioso di quello che è stato fatto.

Adesso dobbiamo guardare avanti e allo stesso tempo essere cauti perché un eventuale nuovo incremento di casi nell’autunno non ci colga impreparati. È anche un’occasione per ripensare a quella che, fino a poco tempo fa, consideravamo la normalità. Come Consiglio di amministrazione ci stiamo interrogando su come prendere spunto da questa emergenza per una riflessione strategica più generale sul futuro dell’Ateneo.