“La démocratie du XXIe siècle”, foto archivio Università di Trento

Internazionale

LA DEMOCRAZIA DEL VENTUNESIMO SECOLO

Due lezioni dello storico e sociologo Pierre Rosanvallon nell’ambito della cattedra di accoglienza del Collège de France

10 novembre 2014
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Salvatore Abbruzzese
di Salvatore Abbruzzese
Professore ordinario di Sociologia dei processi culturali presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento.

Il percorso intellettuale di Pierre Rosanvallon si situa al punto di confluenza tra conoscenza storica, analisi sociologica e sensibilità politica. Abbiamo potuto ascoltare due sue lezioni su “La démocratie du XXIe siècle”, tenute nell’ambito della cattedra di accoglienza del Collège de France; lo studioso, infatti, è stato ospite del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Ateneo il 13 e 14 ottobre.
Studioso del modello politico francese, dell’evoluzione dei sistemi di welfare e infine della democrazia, Pierre Rosanvallon si collega a una tradizione culturale che va da Tocqueville a Raymond Aron transitando per l’esperienza teorica e politica della sinistra socialista francese. Il suo punto di partenza oggi fa riferimento a una constatazione critica su Tocqueville “una presa di distanza netta da questo grande maestro del pensiero liberale”: la democrazia non semplifica la democrazia; al contrario, la rende più complessa. 

Le democrazie si sono trasformate in modo sostanziale negli ultimi vent’anni, più di quanto non abbiano fatto a partire dalle rivoluzioni americana e francese. Si è in realtà verificata una vera e propria rivoluzione silenziosa in virtù della quale cresce il potere di istituzioni non elette come la Corte Costituzionale o come gli organismi di controllo del sistema finanziario. Tuttavia si assiste anche ad una nuova divisione dei poteri: rispetto alla tradizionale ripartizione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario emerge sempre di più una dicotomia tra potere attivo e potere passivo (ci sono tante più istituzioni di controllo quante più sono le istituzioni attive). Cresce, infine, la scelta di delegare a istanze terze la gestione di aree particolarmente critiche, per le quali le normali istituzioni rappresentative si mostrano inefficaci.

A ciò si aggiunge una distanza sempre più netta tra la democrazia intesa come modello politico e la democrazia concepita come progetto sociale. Il sogno di un’umanità intesa come società di pari, coltivato lungo tutto il XIX secolo e approdato, ancora integro, nell’Europa del secondo dopoguerra, registra il suo costante e consistente declino. Il principio della maggioranza, idealmente proteso al sogno dell’unanimità, è oramai uno scenario rappresentazionale dove maggioranze parlamentari del 60% non rappresentano in realtà che il 35% dei cittadini, mentre una parte crescente si rifiuta di recarsi alle urne. 

Se dal piano politico si passa a quello economico i mutamenti sono altrettanto rilevanti. Le condizioni di esercizio della produzione capitalistica si sono profondamente trasformate. Il capitalismo fondato sulla capacità organizzativa e sulle gestioni di vasta scala cede il passo al capitalismo nel quale la capacità di innovare è prioritaria su quella di organizzare. In aziende di questo secondo tipo non c’è bisogno di forza-lavoro anonima ma di individualità singolarmente motivate e personalmente meritevoli: un tale criterio non presiede solo alla scelta del management o dei quadri intermedi, ma investe la stessa base operaia e, per quanto assolutamente ineccepibile, comporta una svolta personalistica capace di conseguenze inattese sull’insieme della società. 

Il primato delle qualità individuali infatti non solo permette e legittima un’estensione potenzialmente illimitata della forbice tra i salari più bassi e quelli più alti, ma comporta anche una modifica di fondo nello stesso sistema di welfare. Tradizionalmente un tale sistema perseguiva il mantenimento della pace sociale attraverso una rete sempre più estesa di benefici tesi a garantire a ogni cittadino degli standard minimi di esistenza e l’accesso ai servizi socio-sanitari. Un tale obiettivo era strettamente connesso all’idea partecipativa implicita nel suffragio universale: modello di società e modello di governo apparivano tra loro complementari. Ma esattamente come il suffragio universale viene battuto in breccia dall’astensionismo, così anche il sistema di un welfare garantito a tutti viene profondamente incrinato dal principio del merito. La solidarietà non ha più nulla di automatico ma è filtrata da un giudizio sulle responsabilità soggettive: suscita quindi sempre meno consenso un sistema di protezione sociale teso a garantire standard minimi di benessere anche a chi appare direttamente responsabile della propria marginalità.

Il processo di personalizzazione, rivelato dalla priorità dei meriti personali nell’azienda e da quella delle responsabilità personali nella società, conosce una formulazione altrettanto rilevante nella politica stessa. Non si accetta più una leadership di semplice apparato, dove le qualità di chi governa sono in tutto e per tutto garantite dall’organizzazione che lo ha proposto e dal consenso che lo ha legittimato. Anche qui prevalgono qualità personali, la prima delle quali è la “trasparenza”, intesa come primato della franchezza su quello della retorica. E la franchezza è tanto più autentica quanto più lascia trasparire dietro di sé l’impegno vitale della persona. Accanto alla franchezza, e correlata a questa, è il primato dell’integrità ad emergere, ovvero l’unità della persona, intesa come assoluta non separazione tra la funzione esercitata e la persona che la esercita. L’uomo politico mosso da una tale fisionomia finisce per scavalcare chi invece è mosso solo dal programma. Ciò non significa ovviamente che quest’ultimo sia secondario, al contrario, anche il programma deve presentare almeno due requisiti: il primo è quello della leggibilità, intesa come chiarezza e come capacità di non rifugiarsi nella retorica e nelle teorie del complotto. Il secondo è invece dato dalla capacità di avere tenuto conto delle istanze del corpo sociale nel suo insieme. 

Una tale analisi – qui riassunta in modo assolutamente schematico – è in realtà tanto più convincente quanto più presentata sulle basi di una consistente analisi storica. In questo senso il metodo di lavoro analitico presentato da Pierre Rosanvallon è altrettanto importante quanto lo sono i singoli passaggi logici e, soprattutto, l’esito finale al quale perviene. L’analisi è tanto più interessante (ed inquietante) quanto più si fonda su considerazioni empiricamente fondate e oggettivamente controllabili nella loro corrispondenza con i fatti. Pierre Rosanvallon definisce le caratteristiche di un nuovo assetto politico, economico e sociale del quale si dovrà necessariamente tenere conto. Come ogni processo sociale, anche quello qui descritto lascia ai margini molteplici zone di resistenza e aree grigie, che diventano tanto più visibili quanto più si esce dall’esagono francese. Nel contesto italiano, e non solo in questo, l’area del pubblico impiego, ad esempio, sembra ancora non coincidere se non in misura assolutamente minoritaria, con quei criteri di personalizzazione delle qualità individuali che si rivelano decisive nell’universo dell’impresa privata, sottoposta invece alla necessità di innovare più che a quella di organizzare. In secondo luogo, la fine di un welfare di solidarietà automatica non è provocata solo dal primato del principio di responsabilità, ma anche da un’espansione costante dei costi tale da renderlo improponibile nelle forme e nelle dinamiche attuali. Infine, la personalizzazione della politica e l’appello alle qualità personali di integrità e di impegno vitale espongono sempre di più le personalità politiche ad un controllo dell’immagine e quindi al sapiente calcolo di posture e di espressioni linguistiche, ostentando un’unità della persona tutta da verificare nel retroscena della vita reale. Problemi paralleli, aree problematiche che non inficiano minimamente l’analisi di Pierre Rosanvallon ma, al contrario, ne mostrano la fecondità al fine di una sempre più chiara coscienza delle criticità della democrazia contemporanea e dei processi di trasformazione che la attraversano.