Un momento del convegno, foto archivio Università di Trento

Internazionale

LA SFIDA DELLO STATO ISLAMICO

Le riflessioni emerse nel seminario promosso dalla Scuola di Studi Internazionali dell’Ateneo, in collaborazione con la Biblioteca Comunale di Trento

20 novembre 2014
Versione stampabile
di Domenico Tosini, Antonino Alì e Irene Costantini
Rispettivamente professore aggregato presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, professore associato presso la Scuola di Studi Internazionali e la Facoltà di Giurisprudenza, dottoranda presso la Scuola di Studi Internazionali.

Origini e sviluppi dello Stato Islamico

TosiniLa proclamazione del Califfato in Iraq nel giugno 2014 da parte dello Stato Islamico ha riportato il Paese al centro dell’attenzione del media internazionali, come non accadeva dagli anni dell’occupazione anglo-americana iniziata nel 2003. Lo Stato Islamico è il risultato di una metamorfosi dell’organizzazione nota come “al-Qaeda in Iraq”, affiliata alla rete di Osama Bin Laden e fondata nel 2004 da Abu Musab al-Zarqawi (leader fino alla sua uccisione nel 2006). Protagonista di numerosi attentati terroristici negli anni successivi alla caduta di Saddam Hussein (principalmente contro la comunità araba sciita irachena), al-Qaeda in Iraq (nel 2006 rinominata “Stato Islamico in Iraq”), subirà un forte indebolimento a causa dell’anti-guerriglia (il cosiddetto Surge) intrapresa nel 2007 dall’esercito americano.
Dal 2011 si assisterà ad una progressiva rinascita dello Stato Islamico in Iraq, sotto la nuova leadership di Abu Bakr al-Baghdadi. Il proprio coinvolgimento nella guerriglia anti-Assad nella vicina Siria ha permesso a questa organizzazione di occupare alcune località del Paese con una propria “succursale” nota come Jabhat al-Nusra, trasformando tali località in proprie basi e campi di addestramento. Quanto all’Iraq, dopo il ritiro dell’esercito americano (dicembre 2011), lo Stato Islamico in Iraq ha lanciato una nuova offensiva, diretta a riconquistare alcune aree di cui aveva perso il controllo durante gli anni del Surge. Il successivo rafforzamento del gruppo (nel 2013 rinominato “Stato Islamico in Iraq e nel Levante” e nel 2014 “Stato Islamico”), sfociato nell’avanzata dell’estate 2014, è dipeso soprattutto dal sostegno locale di una parte della comunità araba sunnita irachena, sempre più marginalizzata dal governo centrale iracheno, e da un network di alleanze con alcune milizie sunnite già operative negli anni successivi al 2003 e con gruppi armati composti in parte da ex-militari del regime di Saddam Hussein. 
Nonostante la rottura del 2013 con la leadership dell’organizzazione centrale di al-Qaeda – che ha portato Ayman al-Zawahiri (successore di Bin Laden) a disconoscere l’affiliazione del gruppo guidato da al-Baghdadi e alla scissione di Jabhat al-Nusra (rimasta la “filiale” ufficiale di al-Qaeda in Siria) – lo Stato Islamico si configura come un’entità che opera in modo perfettamente conforme ai tre grandi obiettivi che hanno da sempre contraddistinto la lotta armata di al-Qaeda: la liberazione di tutti i paesi islamici dall’occupazione e dall’interferenza di forze non-islamiche (il cosiddetto “nemico esterno”, formato da Stati Uniti, Israele e dai loro alleati); l’abbattimento dei regimi al potere nei Paesi islamici e ritenuti apostati (il “nemico interno”, come nel caso di Assad) e la loro sostituzione con stati basati sulla legge islamica; l’azione di contrasto nei confronti degli sciiti e di tutte le confessioni ritenute devianti rispetto al vero islam (secondo l’interpretazione fondamentalista dello Stato Islamico).
(Domenico Tosini) 

Il fenomeno dei combattenti stranieri

AlìLa questione relativa alla partecipazione di combattenti stranieri (foreign fighters) nei conflitti più recenti così come in quelli più datati non è certamente nuova. Il tema ha acquistato particolare interesse in relazione all’evoluzione del conflitto in Siria e Iraq e, in particolare, all’evoluzione del gruppo jihadista che per semplicità viene chiamato Stato islamico. I rapporti più recenti sottolineano una partecipazione di combattenti stranieri nell’ordine di circa 15.000 unità. La maggior parte di essi provengono dalla Tunisia, Arabia Saudita, Marocco, Giordania, Turchia. L’utilizzo di metodi di azione particolarmente cruenti e volti alla diffusione del terrore nella popolazione, nonché l’utilizzo di attacchi suicidi, ha fatto si che il fenomeno venisse ben presto inquadrato come terroristico e i suoi attori come foreign terrorist fighters (FTF). 
La minaccia posta da individui che viaggiano all’estero verso uno Stato nel quale non risiedono o del quale non sono cittadini, con il fine di pianificare, preparare, eseguire o sostenere attività terroristiche o di fornire o ricevere una formazione in questo senso, è stata ritenuta una questione degna di attenzione e rilevante sotto il piano della sicurezza internazionale e nazionale. Sono stati sottolineati, in particolare, i rischi potenziali dovuti al rientro dei combattenti stranieri negli Stati di provenienza. In particolare, in alcuni consessi internazionali, quali il Global Counterterrorism Forum (GCTF) è stata sottolineata la necessità di un monitoraggio continuo del fenomeno degli FTF con l’obiettivo di far incontrare pratici e policymakers al fine della condivisione delle esperienze maturate nel campo della lotta al terrorismo. 
In particolare con il Memorandum dell’Aia-Marrakech del settembre 2014 sono state previste una serie di good practices con l’obiettivo della diffusione delle informazioni e di un approccio globale integrato al fenomeno degli FTF. Le indicazioni del GCTF hanno trovato conferma nell’adozione all’unanimità da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite della risoluzione 2178 del 24 settembre 2014, con cui si è per la prima volta formalizzato l’obbligo per gli Stati membri delle Nazioni Unite di prevenire l’afflusso di combattenti stranieri verso entità quali il c.d. Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL) o il Fronte al-Nusra (ANF).
(Antonino Alì)

Il contesto politico, etnico e religioso iracheno

CostantiniPer comprendere come un'organizzazione come lo Stato Islamico sia riuscita a svilupparsi e radicarsi nel territorio a confine tra Iraq e Siria è innanzitutto necessario considerare il contesto. Se, infatti, il successo militare dello Stato Islamico è stato una sorpresa per la maggior parte degli analisti ed esperti dell'area, le condizioni politiche, economiche e sociali che hanno permesso all'organizzazione di prendere il controllo di una parte dell'Iraq erano ben note. 
Dall'intervento americano in Iraq e la successiva occupazione militare e civile del paese, le categorie etnico-settarie ––Sunniti, Sciiti e Curdi–– si sono imposte sulla scena politica irachena. Questa tendenza si è decisamente aggravata durante i due mandati a primo ministro di Nuri al-Maliki. Durante questi anni, le ancora fragili istituzioni dello stato iracheno sono state gestite attraverso una politica selettiva di inclusione per alcuni gruppi ed esclusione per altri. Tale politica ha inasprito non solo la relazione tra le tre principali comunità nel paese, ma anche i rapporti tra stato e società. 
Lo Stato Islamico non è certo il primo gruppo estremista che minaccia la stabilità dell'Iraq. Nel 2007/2008, gli anni dell'insurrezione contro le truppe occupanti e parte dell'establishment iracheno, un'ondata di violenza, ad opera in parte di gruppi legati ad al-Qaeda, aveva già scosso il paese. Allora, però, la strategia americana, in concerto con il governo al-Maliki, riuscì a contrastare tale minaccia grazie alla formazione di una forza locale, costituita per la maggior parte dalle tribù sunnite, in cambio di una più equa gestione della politica nazionale. Questa formazione allontanò gran parte della popolazione dai ranghi delle organizzazioni estremiste. 
Oggi invece le tensioni all'interno del paese sono tali che una simile operazione non sembra possibile. Nonostante gran parte dell'attenzione internazionale sia concentrata sulla risposta militare per sconfiggere lo Stato Islamico, ricucire i delicati rapporti tra le principali comunità in Iraq e ristabilire i termini del rapporto tra stato e società sembra l'unica via possibile per isolare e quindi sconfiggere lo Stato Islamico
(Irene Costantini)