Glacier lagoon Jokulsarlon, Iceland, ©Tatiana Murr | fotolia.com

Internazionale

DALL'ISLANDA UN MODELLO DI PREVENZIONE CHE FUNZIONA

La comunità costruisce alternative al consumo di sostanze stupefacenti

5 dicembre 2017
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DALL'ISLANDA UN MODELLO DI PREVENZIONE CHE FUNZIONA
DALL'ISLANDA UN MODELLO DI PREVENZIONE CHE FUNZIONA
di Bruno Bertelli e Valentina Molin
Rispettivamente professore del Dipartimento di Sociologia e ricerca Sociale e collaboratrice di ricerca post doc del Dipartimento di Sociologia e ricerca Sociale.

Nei decenni passati, spesse volte la prevenzione dei comportamenti di addiction è stata identificata essenzialmente con l’informazione, perché l’idea è che la conoscenza sia in grado di modificare il comportamento; a volte si è anche fatto ricorso a messaggi dal forte impatto emotivo negativo, con l’intento di generare paura e angoscia. Si è tuttavia compreso che questo approccio risulta inefficace poiché non tiene conto di elementi soggettivi, come la ricerca di sensazioni e di autonomia e il bisogno di appartenenza, fondamentali nell’avvicinamento dei giovani alle sostanze e a certi comportamenti rischiosi. 

A partire dagli anni ’70 si sono così implementati programmi non specificamente rivolti alla prevenzione dell’uso di sostanze o di comportamenti devianti, ma attenti alla sfera emotiva e orientati allo sviluppo della persona nella sua complessità; si tratta di un approccio preventivo di tipo globale, che unisce prevenzione del disagio e promozione dell’agio, con incremento delle abilità di decision making e costruzione di alternative al consumo di sostanze. 

Gli interventi di prevenzione di comunità, insieme ad altri, come i modelli che lavorano sulle life skills o quelli che utilizzano gli approcci peer to peer, si sviluppano in questa direzione. L’obiettivo è quello  di creare un clima positivo per una crescita equilibrata, sotto il profilo psicologico e sociale, di bambini e giovani, attraverso la promozione di competenze emotive, sociali, cognitive e comportamentali, lo sviluppo dell’autoefficacia e di fattori di resilienza, l’incoraggiamento verso comportamenti pro-sociali. Tali obiettivi vengono perseguiti con il costante coinvolgimento degli adulti significativi, insistendo sulle quattro aree che la letteratura scientifica ha identificato come più significative: famiglia, gruppo dei pari, attività del tempo libero, condizione di benessere generale negli ambienti di vita. 

Nell’ambito dell’implementazione dei progetti di prevenzione di comunità, quello che probabilmente più di ogni altro è stato in grado di dimostrare l’efficacia e l’efficienza di questo approccio è stato l’Icelandic Model of Adolescent Substance Use Prevention. Il progetto,  che ha preso avvio nel 1998 ed è tuttora in corso, è coordinato da Jón Sigfússon dell’Icelandic Centre for Social Research and Analysis (ICSRA) dell’Università di Reykjavik. Si tratta di un programma che nasce quando, nel 1992, il Governo decide di raccogliere dati sul consumo di alcol, tabacco e cannabinoidi fra gli studenti per aiutare il processo normativo e la programmazione di interventi a favore della popolazione giovanile.

Dalla presa d’atto di livelli di consumo non trascurabili, prende avvio la programmazione e l’implementazione di interventi di prevenzione primaria, rivolti a tutti i minori di 15 e 16 anni dell’intera zona municipale di Reykjavik, con azioni mirate esplicitamente alle quattro aree sopra richiamate: famiglia, scuola, amici e tempo libero. Gli interventi preventivi sono costantemente accompagnati dall’attività di ricerca che, con cadenza trimestrale, restituisce alla Municipalità e ai 33 Istituti coinvolti, un aggiornamento sulla condizione degli studenti così da monitorare l’andamento del percorso. La cifra specifica del progetto è, infatti, il costante interscambio fra ricerca (che valuta e suggerisce), politica locale (che sostiene e incentiva servizi ed accesso da parte dei minori) e prassi (sinergia fra genitori, insegnanti, professionisti, volontari e giovani), nel preciso intento di andare a modificare non gli atteggiamenti, bensì i comportamenti dei giovani islandesi. I risultati, nel corso degli anni, sono stati evidenti: la percentuale di giovani che fumano quotidianamente tabacco è passata dal 23% del 1998 a meno del 3% e lo stesso andamento si ritrova considerando l’abuso di alcol e l’uso di cannabonoidi.

Il progetto islandese rappresenta uno spunto estremamente interessante, poiché mostra come – nel momento in cui ricerca, politica e prassi operative sono in grado di collaborare sinergicamente – si possano ottenere risultati che garantiscono maggior benessere per tutti e un’ottimizzazione del rapporto costi/benefici degli interventi messi in atto.