Ferdinando Nelli Feroci. Foto archivio Università di Trento.

Internazionale

L’ITALIA, L’EUROPA E IL FLUSSO DEI MIGRANTI

Intervista all’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari Internazionali

14 dicembre 2017
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di Marinella Daidone
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

"Challenges for Europe's future: Economy, Defence, Migration" è il titolo della lecture tenuta, presso la Scuola di Studi Internazionali (SSI), dall’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, uno dei maggiori esperti italiani di politica internazionale e di Unione europea in particolare. 
Si tratta del secondo appuntamento di un ciclo di lezioni promosso in modo congiunto dalla Scuola di Studi Internazionali e dall'Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma per celebrare l’accordo di cooperazione tra le due istituzioni. 
Presidente dell’Istituto Affari Internazionali e attualmente docente presso la LUISS di Roma, Ferdinando Nelli Feroci vanta una lunga carriera presso il Ministero degli Esteri, oltre ad aver ricoperto l'incarico di Commissario europeo nel 2014.
A margine della lezione, gli abbiamo rivolto alcune domande.

Il problema dei migranti ci riguarda tutti. L’Italia a volte si sente un po’ abbandonata nell’affrontare questo problema. Cosa sta facendo l’Europa per contenere i flussi migratori? A suo parere sta facendo abbastanza?
L’Italia, soprattutto in passato, si è sentita un po’ abbandonata. Ha dovuto riportare il tema dei flussi migratori all’attenzione dell’Europa. Alcuni risultati sono stati ottenuti, anche se sicuramente si può fare di più per una gestione ordinata e sostenibile dei flussi migratori. 
Nell’esaminare la risposta dell’Europa a questo problema, dovremmo distinguere tra una componente “esterna” e una “interna”. Sul fronte esterno, l’Europa sta facendo una serie di accordi con i Paesi di origine e di transito. Sono accordi che comportano la messa a disposizione di somme di denaro e di assistenza tecnica per questi Paesi, in cambio di una collaborazione nella gestione dei flussi migratori.
Due anni fa è stato fatto un accordo con la Turchia che sta funzionando, anche se costa caro: l’Europa si è impegnata a versare alla Turchia sei miliardi complessivi, in due tranche di tre miliardi ciascuno, in cambio di un impegno della Turchia a gestire sul proprio territorio il flusso dei rifugiati politici dalla Siria.
L’Europa sta facendo qualcosa, certamente non quanto noi vorremmo, per cercare di contribuire alla soluzione del problema principale che ci riguarda: i flussi dalla Libia, il Paese attraverso cui passa la stragrande maggioranza dei migranti che arrivano in Italia.
Sul fronte di quella che ho definito la componente interna della politica migratoria europea, i risultati sono sicuramente meno soddisfacenti. La proposta, che era stata adottata dal Consiglio, per una redistribuzione dei richiedenti asilo tra tutti i Paesi membri dell’Unione, non è stata di fatto attuata. Alcuni Paesi si sono chiaramente rifiutati di accogliere i richiedenti asilo nel loro territorio, altri hanno accolto un numero molto inferiore di richiedenti asilo, rispetto a quello che era stato concordato in sede europea. 
Un altro aspetto su cui non funziona la solidarietà europea è la revisione del cosiddetto Regolamento di Dublino, secondo il quale è lo Stato membro di prima accoglienza che deve farsi carico di esaminare le richieste di asilo e poi di accogliere i richiedenti asilo. 
Quindi, direi che sono due facce di una stessa politica europea: qualcosa di positivo si sta facendo sul fronte dei rapporti con i Paesi di origine e di transito, molto meno sul fronte della solidarietà tra Paesi membri. 

Si è tornati recentemente a parlare di “difesa europea”. È possibile fare un discorso comune che riguardi la Comunità e non i singoli Stati? Ci sono idee o iniziative in cantiere?
C’è soprattutto una nuova consapevolezza, dovuta a tre diversi fattori, della necessità che l’Europa si attrezzi meglio nel campo della sicurezza e della difesa.
Il contesto internazionale molto instabile costituisce una minaccia diretta per la sicurezza dell’Unione e dei suoi Stati membri. Il rapporto con il suo maggiore alleato, gli Stati Uniti d’America, che finora è stato il maggiore garante della sicurezza europea è diventato più difficile, più complicato e meno prevedibile. Il terzo fattore è la Brexit: con l’uscita dall’Unione Europea di un Paese che di fatto si era sostanzialmente opposto ai progressi nel campo della difesa, viene meno uno degli ostacoli maggiori. 
Dobbiamo essere chiari, però. Quando si parla di difesa europea non si parla di creare un esercito comune, ma di rafforzare le capacità d’intervento dell’Europa nella gestione di crisi, anche con strumenti militari. Si sta cercando anche di migliorare la capacità dell’Europa di far fronte a sfide trasversali come il terrorismo o la cyber security. Da questo punto di vista, qualcosa di positivo è stato realizzato e credo che ci siano le premesse per andare ulteriormente avanti nei prossimi anni. 

A suo parere, quale può essere il ruolo dell’Italia all’interno dell’Unione europea? 
Noi siamo uno dei Paesi fondatori e tradizionalmente siamo un Paese molto europeista. Negli ultimi anni questo sostegno all’adesione italiana all’Unione europea è un po’ venuto meno, anche per effetto dell’affermazione di forze politiche molto meno pro-europeiste o filo-europee di quelle che avevano avuto responsabilità di governo in passato. Rimaniamo un protagonista fondamentale in Europa, ma dobbiamo continuamente mantenere una credibilità che non è sempre scontata. 
Abbiamo alcune debolezze strutturali sulle quali dovremmo intervenire, sul fronte dell’economia, soprattutto per quello che riguarda un peso eccessivo del nostro debito pubblico. Possiamo fare di più e meglio in Europa, ma abbiamo bisogno di un quadro politico stabile, prevedibile, proiettabile nel medio periodo. La consapevolezza che oggi non avrebbe senso un’Italia al di fuori dell’Europa, credo che sia condivisa. Bisogna tradurre questa consapevolezza in una capacità di azione in Europa, nei confronti e in collaborazione con i nostri partner e nei confronti delle istituzioni comuni europee.