Matteo Sciubba a Depok. Foto archivio ASEA-UNINET.

Internazionale

In Indonesia per lo sviluppo sostenibile

L’esperienza di Matteo Sciubba, vincitore di un bando Student Weeks ASEA-UNINET

24 settembre 2019
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di Matteo Sciubba
Studente del corso di laurea magistrale in Filosofia e Linguaggi della Modernità, Dipartimento di Lettere e Filosofia, Università di Trento.

Un viaggio ASEA-UNINET
Sono tornato di recente da un viaggio di due settimane in Indonesia intrapreso per partecipare a Student Weeks ASEA-UNINET, un programma per la mobilità internazionale degli studenti promosso dall’Universitas Indonesia di Jakarta (fondata nel 1848).

Ho saputo dell’iniziativa attraverso una mail inviata dall’Ufficio Mobilità internazionale di UniTrento, che mi ha supportato nella presentazione della domanda.

Sono stato incoraggiato dal dottor Carlo Brentari, docente di etica al Dipartimento di Lettere e Filosofia, che ha scritto una lettera di presentazione: un elemento essenziale per corredare il mio progetto e partecipare alla selezione.

L’incontro, durato dal 18 al 31 agosto, aveva come tema lo sviluppo sostenibile. A Depok, dove sorge l’Università, ho incontrato altri cinque colleghi dell’Università di Trento (Francesca, Giacomo, Elia, Ivan e Alberto); assieme a Pavel, uno studente proveniente dalla Repubblica Ceca, eravamo gli unici studenti europei.

I luoghi dell’incontro 
Già la lettera di ammissione mi trasmise un senso di differenza culturale, corredata com’era da un lungo elenco di restrizioni (soprattutto per l’atteggiamento da tenere verso le donne e le studentesse islamiche: niente saluti che implichino contatto fisico, non sfiorare loro le braccia…).

Del resto l’Indonesia, l’arcipelago più grande al mondo (oltre 17.500 isole), include 700 lingue e 6 religioni ufficiali. Qui vige la profonda capacità di autoanalisi dei protestanti, il rigore morale buddista, il vitalismo mistico degli Indù: la vita ha spesso il ritmo della preghiera.

L’architettura del campus dell’Universitas Indonesia si riflette in sette laghetti, ognuno dei quali rappresenta uno dei valori fondanti dell’istituzione, e l’enorme moschea, che si riflette in uno di essi, è il centro della vita universitaria.

Durante la lettura del Corano tutto cambia: le aule vengono abbandonate. Frotte di studenti si disperdono: chi dorme, chi mangia, chi studia e chi aspetta. Ogni dipartimento ha il suo luogo spirituale.

Appena fuori dalla Fakultas Philosophy c’è il giardino dedicato alla meditazione zen, induista e buddista. Anche a lezione si percepisce l’importanza della spiritualità: parlandoci di sviluppo urbano sostenibile un professore di ingegneria non ha citato un solo dato, mentre ha parlato di sentimenti, passioni e ideali.

Questione di priorità
Per due settimane siamo stati studenti effettivi dell’Università di Jakarta. Al mattino lezioni tecniche, al pomeriggio lezioni di cultura, lingua, ballo e arte locali.

Uscendo dagli edifici dell’università, con il loro fascino di epoca coloniale, lo scontro con la realtà era inevitabile: niente acqua potabile se non in bottiglia, zanzare ovunque. Ma appena fuori Depok, sfavillava nel suo lusso sfrenato il centro di Jakarta; dall’altro lato però c’era Bogor con le sue cascate, dove le persone si arrampicavano scalze e capanne di bambù vendevano cibo economico.

Confrontandomi con ragazzi provenienti da Malesia, Tailandia, Filippine, Vietnam, mi sono reso conto che in Asia vi è un diverso ordine di priorità.

Parlando di sviluppo sostenibile il fulcro non è la natura ma l’uomo: il problema non è il sovrappopolamento del pianeta ma la tenuta sociale. In Asia si sposano sovente prima di iscriversi all’università; a 33 anni hanno mediamente tre figli; la popolazione indonesiana raggiunge 264 milioni di abitanti e oltre la metà ha meno di 25 anni.

Eppure, secondo loro il problema è la scarsità di giovani. Mi spiegò Fahmi, uno studente indonesiano: “Io e mia moglie ci siamo sposati un anno fa, appena saputo di aver superato il master assieme. Quando si costruisce una piramide, il problema non è la punta ma la base. Più è larga la base più la struttura è solida e può sorreggere il vertice. Dodici o più giovani forti possono reggere il peso di un anziano. Al contrario, un giovane da solo non potrà mai reggere neppure un anziano, figurarsi entrambi i genitori”. 

Chi siamo: il gruppo UniTrento
Il viaggio si è concluso con una piccola prova finale, nella forma di un lavoro di gruppo che prevedeva un’esposizione individuale, seguita da una valutazione.

Alla fine Alberto, grazie all’idea di un’applicazione di food sharing, è risultato vincitore; Giacomo è stato nominato miglior relatore dopo aver presentato a sorpresa un grafico costi-benefici.

Grazie a Ivan, Elia e Francesca, durante il ritiro dei diplomi ci è stato riconosciuto il merito di aver saputo amalgamare un gruppo così eterogeneo.