Immagine tratta dalla locandina dell'evento

Internazionale

ECOMIGRAZIONI E DISASTRI NATURALI

Tra diritti delle persone e diritti della natura

25 novembre 2015
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Paolo Turrini
di Paolo Turrini
Assegnista di ricerca presso la Scuola di Studi internazionali dell’Ateneo.

Agli occhi di un europeo, i mesi centrali del 2015 sono stati eccezionali per almeno due ragioni. Da un lato, l'Europa è stata la destinazione di flussi migratori particolarmente consistenti, in gran parte dovuti ai conflitti in corso sulle sponde del Mediterraneo, e ha perciò iniziato a fare i conti con l'idea che il moltiplicarsi degli arrivi richieda di destarsi da una gestione inerziale e sonnolenta del fenomeno e, quindi, la messa a punto di nuove strategie. Dall'altro lato, il continente ha vissuto un'estate assai calda, la cui temperatura media – ci informano i meteorologi – è stata tra le più alte da quando, nell'Ottocento, si iniziò a registrarle con sistematicità. Nel discorso pubblico queste due notizie sono state lette separatamente, come se non avessero nulla a che fare l'una con l'altra. Ma sarebbe un errore pensare che non ci sia collegamento alcuno.

Alla Scuola di Studi internazionali si è discusso proprio di questo. La Scuola, in collaborazione con l'associazione trentina Yaku (che gestisce progetti di cooperazione internazionale in America latina), ha organizzato lo scorso mese un incontro su “Ecomigrazioni e disastri naturali” aperto agli studenti e a tutta la cittadinanza. L'obiettivo era quello di aumentare la consapevolezza di come i fenomeni del cambiamento climatico e delle migrazioni siano strettamente connessi, tanto da giustificare l'esistenza di una nuova categoria sociale: quella dell'“ecomigrante”, appunto.

Non è facile prevedere quanti individui lasceranno le proprie terre nei prossimi decenni a causa degli effetti del mutamento climatico, ma tutti gli studi stimano il numero in termini di milioni di persone. Milioni di donne e di uomini che saranno costretti a emigrare perché la desertificazione, la siccità, l'aumento della salinità del suolo, il sollevarsi dei mari, o l'intensificarsi di eventi estremi quali cicloni e alluvioni avranno strappato loro i terreni da coltivare o spazzato via le loro case, privandoli dei mezzi di sussistenza e di un luogo sicuro dove abitare. Milioni di persone che, se ne saranno in grado, fuggiranno dagli Stati del Sud del mondo, che spesso non hanno la forza di mettere in campo strategie di adattamento atte a contrastare un cambiamento climatico del quale i maggiori responsabili sono i paesi industrializzati.

C'è da chiedersi dunque – come ci si è chiesti durante l'incontro – quali diritti abbiano questi “nuovi” migranti e, di converso, quali obblighi abbiano gli Stati occidentali verso cui essi fuggono per ricostruirsi una vita. Bisogna concedere loro lo status di rifugiato o si può respingerli verso il paese d'origine? E in tal caso, gli Stati terzi hanno dei doveri extra-territoriali di assistenza nei confronti di coloro che sono colpiti da calamità naturali? Più in generale: quale cambiamento di prospettiva richiede a noi occidentali la consapevolezza dell'esistenza di questo fenomeno? In fin dei conti, il nostro stile di vita è in gran parte causa del mutamento climatico, e gli effetti di tale mutamento – i migranti ambientali – bussano alle nostre porte per ricordarcelo.

L'incontro, animato dalle relazioni di Andrea Petrella (Il Gioco degli Specchi), Paolo Turrini (Scuola di Studi Internazionali) e Mauro Gatti (Università di Bologna), e moderato da Francesca Caprini (Yaku), si è concluso con la presentazione da parte di Ugo Mattei (Università di Torino e Hastings College of the Law, California) di The Ecology of Law: Toward a Legal System in Tune with Nature and Community, libro che questi ha scritto assieme al fisico Fritjof Capra al fine di promuovere un ripensamento delle categorie giuridiche in senso ambientalista. Perché ecomigrazioni e disastri naturali sono la spiacevole conseguenza di un processo – uno sviluppo sociale ed economico poco lungimirante – che forse il diritto può contribuire a mutare.