Vladimiro Zagrebelsky durante il suo intervento al webinar. Archivio UniTrento. 

Internazionale

Turchia e diritti umani

Il ruolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Un webinar con Vladimiro Zagrebelsky

15 dicembre 2020
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Simone Penasa
Massimo Miglietta
di Simone Penasa e Massimo Miglietta
Rispettivamente ricercatore e professore ordinario della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

La Facoltà di Giurisprudenza ha organizzato un webinar dedicato all’analisi dell’intreccio tra il rispetto dello stato di diritto e la tutela dei diritti umani in Turchia, e sul ruolo di ‘guardiano dei diritti’ svolto a livello europeo dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU). A sviluppare il tema un ospite d’eccezione, Vladimiro Zagrebelsky, che dal 2001 al 2010 è stato giudice presso la Corte e che rappresenta un osservatore privilegiato e autorevole per comprendere le dinamiche e le ragioni di tale rapporto.

L’incontro è stato aperto dall’intervento di Massimo Miglietta, il quale ha cercato di individuare le radici storiche della deriva autoritaria che l’attuale assetto costituzionale turco ha assunto, facendo venir meno il sistema di pesi e contrappesi che, in ogni caso, Mustafa Kemal Ataturk aveva voluto e attuato. Non senza mancare di sottolineare le responsabilità anche a livello della Comunità europea, costantemente in bilico tra la riprovazione e il silenzio (in ragione della presenza della Turchia nella Nato), che hanno spinto, o forse hanno finito per favorire, un disegno maturato nel tempo ad opera dell’attuale dirigenza di instaurare un potere sostanzialmente liberticida.

Nella sua relazione, Vladimiro Zagrebelsky si è concentrato sulla natura e sulla funzione della Corte nel suo costante rapporto, che è sia giurisdizionale sia politico, con gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Zagrebelsky ha spiegato come la Corte, anche se apparentemente sembra essere un’istituzione forte, in realtà si rivela debole all’interno di tali dinamiche, pur svolgendo un ruolo essenziale per garantire l’effettività dei diritti delle persone e la difesa dei principi cardine dello stato di diritto.

È debole perché lontana rispetto agli Stati e perché le sue decisioni arrivano molti anni dopo i fatti portati alla sua attenzione (le più recenti sentenze sulla Turchia riguardano fatti avvenuti anche più di dieci anni prima); è debole perché non ha un apparato che garantisca effettivamente l’esecuzione delle sue sentenze da parte degli Stati, che rispondono solo politicamente dell’eventuale omissione; è debole, perché deve gestire ogni anno un numero di ricorsi elevatissimo (circa 60.000 all’anno, attualmente contro la sola Turchia risultano pendenti 9700 ricorsi) e nel 2019 ha emanato 884 sentenze, 113 delle quali nei confronti della Turchia; infine, è debole perché rappresenta un organo di ultima istanza, al quale le persone possono rivolgersi solo quando non abbiamo ricevuto giustizia dalle corti nazionali competenti.

Anche nei confronti della Turchia, la Corte è accusata di debolezza e addirittura di connivenza con le autorità turche; come nel recente ricorso, presentato da alcune associazioni a tutela dei diritti umani, relativo alle condizioni della detenzione dell’avvocata Aytak Unsal, in sciopero della fame fino alla morte e successivamente deceduta, nel quale la Corte EDU ha rigettato la richiesta rinviando la decisione al giudice nazionale competente, la Corte costituzionale turca. 

Ma, ha ricordato ancora Zagrebelsky, la Corte non avrebbe potuto fare altrimenti e, chiamando in causa le corti turche, ha cercato di essere persuasiva e di svolgere una funzione di spinta verso il rispetto dello stato di diritto: infatti, ogni volta che la Corte costituzionale turca deve decidere un ricorso per violazione delle libertà fondamentali è messa di fronte alla scelta di dare o meno un segnale di indipendenza sia verso l’interno che rispetto alla comunità internazionale.

Debolezza, quindi, non coincide con impotenza, basti pensare all’elevato numero di condanne subite dalla Turchia in termini di rispetto delle libertà fondamentali. La capacità di incidere della Corte sul modo di intendere lo stato di diritto da parte degli Stati può trovare anche canali istituzionali per esprimersi, com’è avvenuto durante la recente visita del Presidente della Corte in Turchia, il giudice Spano. Zagrebelsky ha sottolineato che l’alternativa era tra cancellare la visita istituzionale o, al contrario, ‘portare la buona novella’, ricordando nelle sedi ufficiali alle autorità turche l’esistenza di valori fondamentali del sistema europeo di tutela della democrazia e delle libertà, come l’indipendenza della magistratura e la libertà di espressione dell’accademia, il cui rispetto rappresenta una condizione essenziale per fare parte del Consiglio d’Europa. 

Pertanto, ha concluso Zagrebelsky, nei confronti della Turchia la Corte EDU fa quello che può, senza snaturare il proprio ruolo, che risente della debolezza tipica dello strumento giurisdizionale. Questo accade anche nei confronti di quegli Stati che negli ultimi anni non solo praticano, ma addirittura rivendicano l’abbandono dei principi cardine dello stato di diritto come l’Ungheria. È una debolezza solo apparente che in ogni caso non impedisce alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di partecipare, nei limiti della sua natura e delle sue funzioni, al processo di spinta degli Stati verso l’effettiva garanzia dello stato di diritto.

Il 30 ottobre 2020 la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento, su iniziativa dei professori Donata Borgonovo Re, Carlo Casonato, Simone Penasa e Massimo Miglietta, ha organizzato il webinar Quale possibile vigilanza sul rispetto dei diritti umani in Turchia? Il ruolo della Corte EDU . All’incontro è intervenuto Vladimiro Zagrebelsky, già giudice della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e direttore del Laboratorio dei Diritti Fondamentali di Torino.
Il video del webinar è disponibile sulla pagina dell’evento.