Sabato, 7 giugno 2014

Far ammalare le zanzare per contrastare la malaria

Su Nature Communications una ricerca in collaborazione con il CIBIO di UniTrento

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Secondo i più aggiornati studi, la malaria uccide 600 mila persone ogni anno, ne colpisce in modo non letale oltre 200 milioni e circa la metà della popolazione mondiale è a rischio contagio. La malattia viene trasmessa da alcune specie di zanzare “Anopheles”, che ospitano i parassiti protozoi del genere Plasmodium, responsabili della malattia. Da decenni si tenta di arginare l’incidenza della malattia cercando di eliminare o almeno ridurre drasticamente le popolazioni di zanzare usando insetticidi e distruggendo le larve. Purtroppo questi metodi si sono dimostrati meno efficaci rispetto alle attese a causa della resistenza agli insetticidi sviluppata da alcune zanzare.

Una ricerca appena pubblicata su Nature Communications apre nuove possibilità per ridurre la trasmissione della malaria sfruttando un batterio presente nell’apparato riproduttore delle zanzare. La ricerca, coordinata dalla Harvard School of Public Health, è stata svolta in collaborazione con il Centro di Biologia Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento, con l’Università di Perugia e il CNRS (il centro nazionale per la ricerca scientifica in Francia).

Sono state raccolte le prime prove riguardo alla presenza di un batterio intracellulare che infetta naturalmente due specie di zanzare “Anopheles”. I risultati di studi precedenti condotti in laboratorio indicano che il batterio, noto come Wolbachia, riduce il livello di infezione del parassita Plasmodium e potrebbe quindi essere usato per controllare le popolazioni naturali di zanzare. «Questo batterio sembra particolarmente adatto per il controllo della malaria», commenta Flaminia Catteruccia, professoressa di immunologia e malattie infettive alla Harvard School of Public Health e all’Università di Perugia. «Le infezioni di Wolbachia si diffondono rapidamente tra le popolazioni di insetti, perché inducono un fenomeno riproduttivo noto come incompatibilità citoplasmatica per il quale femmine infette dal batterio si riproducono con maggior efficacia favorendo la diffusione dell’infezione. Tuttavia, si riteneva finora che le zanzare “Anopheles” non ospitassero naturalmente questo tipo di infezioni, e i tentativi precedenti di identificarle nelle zanzare erano falliti». «L’obiettivo originario del nostro progetto – commenta Nicola Segata, ricercatore al CIBIO e co-autore dello studio – era quello di identificare tutti i batteri presenti nei sistemi riproduttivi maschile e femminile. Non stavamo cercando specificamente la presenza di Wolbachia, ma abbiamo trovato questo nuovo ceppo del batterio, che abbiamo chiamato wAnga, nei tratti riproduttivi di alcune zanzare “Anopheles” in Burkina Faso grazie alle nostre analisi computazionali. Dopo aver rintracciato una prima debole impronta genetica in uno dei campioni, la nostra scoperta è stata confermata dall’analisi di altri campioni raccolti in seguito.

L’impronta genetica di wAnga è stata sequenziata grazie ai sistemi di ultima generazione utilizzati al CIBIO e al laboratorio di ricerca attivato da Università di Trento, Fondazione Bruno Kessler e Istituto di Biofisica del CNR di Trento». In seguito a questa scoperta sarà possibile scoprire se il ceppo di Wolbachia identificato nella zanzara “Anopheles” ha proprietà anti-malariche. «Se questa strategia dovesse avere successo, si potrebbe efficacemente ridurre la minaccia globale della malaria sfruttando un’infezione già presente negli insetti che veicolano l’infezione». Titolo e autori dello studio “Evidence of natural Wolbachia infections in field populations of Anopheles gambiae”, Francesco Baldini, Nicola Segata, Julien Pompon, Perrine Marcenac, W. Robert Shaw, Roch K. Dabiré, Abdoulaye Diabaté, Elena A. Levashina, Flaminia Catteruccia, Nature Communications, DOI: 10.1038/ncomms4985, June 6 2014.

Nel box di download è disponibile il Comunicato stampa.