Una nuova ricerca sui Pandit vedici, condotta da un gruppo di ricercatori del Centro Interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) dell’Università di Trento, in collaborazione con il National Brain Research Centre (India), nell’ambito del progetto ITPAR (India-Trento Program for Advanced Research), dimostra che un esercizio intenso e continuativo della memoria verbale modifica in modo esteso e significativo il volume e l’organizzazione del cervello, anche in aree non direttamente coinvolte nei processi di memoria.
Prima dell’introduzione della scrittura, la memorizzazione orale era il modo principale per tramandare le conoscenze di un gruppo culturale.
In India, la pratica di memorizzazione e recitazione orale dei Veda (antichi testi in Sanscrito) ha una storia che dura da oltre 3000 anni ed è ancora praticata dai Pandit vedici.
I ragazzi che studiano per diventare Pandit frequentano scuole dedicate e seguono per circa 10 anni appositi corsi, al termine dei quali sono in grado di recitare diversi testi, per un totale di oltre 40mila parole.
Nell’esperimento, i cui dati sono stati raccolti in India, i ricercatori hanno usato le neuroimmagini per esaminare lo spessore corticale e la densità della materia grigia in un gruppo di Pandit e in un gruppo di controllo. I risultati dimostrano nei Pandit un aumento di spessore e volume della corteccia cerebrale, non solo in regioni collegate alla memoria, ma anche in aree collegate alla comprensione del linguaggio e all’elaborazione d’informazione visiva.
«Capire come il cervello umano sia capace di sostenere la trasmissione orale di conoscenze dettagliate per millenni è stata una delle motivazioni principali di questo esperimento» dice Uri Hasson, professore associato al CIMeC dell’Università di Trento e nel cui laboratorio si è svolta questa ricerca.
«Si sa da tempo che l’allenamento di diverse abilità cognitive è associato a cambiamenti nella struttura del cervello. Ci aspettavamo che nel nostro caso questi fenomeni di neuroplasticità interessassero principalmente le regioni coinvolte nella memorizzazione. I cambiamenti che abbiamo osservato sono però considerevolmente più estesi di quanto avevamo previsto inizialmente».
James Hartzell è il primo autore dell’articolo. Dopo aver ottenuto un dottorato in Sanscrito e Tibetano dalla Columbia University, è attualmente studente di dottorato al CIMeC.
La ricerca in cui è impegnato risponde al suo desiderio di creare un ponte fra le tradizioni di una cultura millenaria e la ricerca di avanguardia nelle neuroscienze cognitive.
Hartzell spiega: «La lingua e la linguistica del Sanscrito sono fondamentali per il sistema del sapere indiano antico come la matematica è fondamentale alla scienza moderna. La tradizione della recitazione Vedica non solo preserva i contenuti dei testi, ma garantisce anche, tramite la precisione della recitazione, gli “effetti” dei mantra (cioè delle parole e delle frasi). Il nostro esperimento mostra come la memorizzazione e la recitazione Yajurveda a livello professionale hanno un effetto considerevole sulla struttura cerebrale».
L’esperimento ha incluso 42 partecipanti: 21 Pandit e 21 partecipanti di controllo, paragonabili ai Pandit per età e livello socio-culturale. Le immagini del cervello sono state acquisite mediante la Risonanza Magnetica Funzionale e diversi metodi convergenti sono stati usati per valutare differenze fra i due gruppi: spessore della corteccia, densità della materia grigia, caratteristiche delle circonvoluzioni cerebrali nelle aree critiche e indici strutturali della sostanza bianca. Le analisi hanno documentato che nei Pandit il volume della parte posteriore dell’ippocampo era maggiore e quello della parte anteriore era ridotto rispetto al gruppo di controllo. Il fatto che un’osservazione analoga sia stata fatta precedentemente in persone con un forte allenamento ad orientarsi nello spazio (come i tassisti londinesi), suggerisce che memoria esperta spaziale e verbale condividono una base neurobiologica. Nei Pandit sono stati documentati anche una maggior densità della materia grigia ed un aumento dello spessore corticale nelle aree laterali dei lobi temporali coinvolte nella comprensione e nella produzione del linguaggio, nella corteccia prefrontale ventromediale e nella corteccia occipitale laterale. Questi risultati dimostrano che l’esercizio della memoria verbale induce modificazioni su larga scala dell’organizzazione cerebrale.
Nella ricerca sono coinvolti anche altri ricercatori dell’Università di Trento (Ben Davis, Gabriele Miceli, David Melcher e Jorge Jovicich) e del National Brain Research Center in India (Tanmay Nath e Nandini Chatterjee Singh).
L’articolo è disponibile online sul sito della rivista NeuroImage.