Mercoledì, 17 luglio 2019

Mettersi nei panni di un robot: così si accorciano le distanze

Il lavoro pubblicato da Scientific Reports: tra gli autori Francesco Pavani di UniTrento. La ricerca dà un contributo per migliorare il rapporto con la tecnologia

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Mettersi nei panni di una persona, aiuta a comprenderla in profondità, la fa sentire più vicina, contribuisce a rimuovere diffidenze e pregiudizi. Ciò accade anche quando l’altro è un robot.

A dare un riscontro sperimentale a questa dinamica interpersonale è uno studio, pubblicato in questi giorni dalla rivista Scientific Reports. La ricerca è frutto di una collaborazione scientifica italo-francese.

Francesco Pavani, professore di Psicologia del Centro interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) e del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell’Università di Trento, è tra gli autori e spiega: «Abbiamo dimostrato come teletrasportando un partecipante dentro un robot è possibile modificare il suo atteggiamento verso il robot».

Pavani chiarisce in che modo una persona può mettersi nei panni di un robot: «Il teletrasporto consisteva nel dare l'illusione al partecipante di guardare la realtà attraverso gli occhi del robot, muovere la testa del robot come fosse la propria e vedersi in uno specchio come un robot».

La conseguenza è che l’essere umano considera poi il robot una presenza più vicina a sé: «Rispetto a condizioni in cui la persona non può muovere la testa del robot, o non può farlo in maniera coordinata con i propri movimenti, l'esito del mettersi nei panni del robot è che alla fine il partecipante lo giudica più amichevole, lo percepisce socialmente più vicino».

Lo studio dà un contributo per migliorare il rapporto con la tecnologia e far cadere paure e resistenze verso i robot.

Pavani sottolinea: «Tutto questo è rilevante perché uno dei problemi della scienza dei robot è come renderli accettabili agli utenti umani. Penso in particolare ai dispositivi automatizzati destinati a supportare sempre di più le persone nella loro vita, ad esempio nei casi di ridotta sicurezza e capacità di camminare. Nella nostra ricerca mostriamo che la semplice pratica di agire brevemente come se si fosse all'interno del robot, può renderne più facile l’approccio e l’accettazione».

 
Lo studio
L’articolo, dal titolo “Embodiment into a robot increases its acceptability”, è stato pubblicato da “Scientific Reports” il 12 luglio 2019.
È stato scritto da Jocelyne Ventre-Dominey (University of Bourgogne) e da Francesco Pavani (Università di Trento) assieme ad Alessandro Farnè (IMPACT lab del Centre de Recherche en Neurosciences de Lyon), Guillaume Gibert, Marielle Bosse-Platiere e Peter Ford Dominey (Stem Cell and Brain Research Institute, Bron).