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Ricerca

Il vino e i reati. Cultura della legalità nelle cooperative

Intervista a Enrico Pezzi sui modelli di organizzazione e gestione

11 aprile 2022
Versione stampabile
a cura di Matteo Largaiolli
Ufficio Stampa e Relazioni Esterne dell'Università di Trento

La cooperazione e l’agricoltura. Due tra le realtà più radicate del territorio trentino, tanto normali da sfuggire spesso ai nostri occhi. I versanti terrazzati, le vigne, le cantine sono parte integrante del paesaggio. Le cooperative sono una presenza quotidiana nel tessuto sociale e produttivo, nel campo del lavoro, della distribuzione alimentare, delle politiche sociali. Anche il sistema cooperativo però può avere dei problemi e può nascondere il pericolo di reati. 

«Nelle cooperative, il rapporto tra il socio e l’ente è molto più stretto rispetto a quanto accade tradizionalmente nelle società di capitali. Le attività del socio si intrecciano costantemente con quelle della cooperativa, e si moltiplica così il rischio che reati commessi dal primo ricadano sulla seconda», spiega Enrico Pezzi, che si sta occupando proprio dei reati nelle società cooperative, per un progetto di ricerca post-doc cofinanziato da Fondazione Caritro, Federazione Trentina della Cooperazione e Dipartimento Facoltà di Giurisprudenza.

Quindi è facile per un socio assistere a situazioni potenzialmente a rischio.
Le attività di un socio di una cooperativa agricola “a rischio-reato” sono molteplici, e possono riguardare tutti i momenti del lavoro di un contadino, dalla coltivazione al conferimento in cantina. Si possono verificare, ad esempio, episodi di frodi alimentari, di infortuni sui luoghi di lavoro, di reati ambientali nella gestione dei rifiuti.

In pratica, che cosa può succedere?
Quanto alla frode alimentare, ad esempio, essa può verificarsi ogniqualvolta un prodotto finale non risponda ai criteri normativamente previsti, il che può accadere secondo diverse modalità: conferimento di uve con caratteristiche organolettiche diverse da quelle richieste; l’annacquamento del vino; la coltivazione di varietà diverse da quelle dichiarate; l’uso di trattamenti non autorizzati.

Reati anche molto diversi, quindi, che coinvolgono sia le persone fisiche sia la cooperativa come ente.
Sì, e spesso sono casi problematici, perché alcune di queste attività si svolgono al di fuori della sede della cooperativa e sono quindi molto difficili da monitorare. È quindi importante capire dove finisce la responsabilità del singolo e inizia la responsabilità della cooperativa

È qui che si inserisce il suo progetto.
Il ruolo così centrale del sistema cooperativo ci spinge a interrogarci su questi aspetti fondamentali per la corretta gestione di un ente. È quello che vorrei fare con questa ricerca: individuare i reati che riguardano le cooperative o i loro soci e trovare i modelli migliori per affrontarli e prevenirli.

Qual è la base di partenza, il contesto in cui si colloca?
Le cooperative, come tutte le persone giuridiche, devono prevedere delle procedure per far fronte ai reati. È un’attività cosiddetta di “compliance”, prevista dal decreto legislativo n. 231 del 2001, che si traduce, concretamente, nell’adozione di un “Modello di organizzazione e gestione” (MOG). Uno strumento cioè che permette a un ente di non dover rispondere in caso di illeciti penali commessi da una persona fisica, a patto che si dimostri idoneo a prevenirli. Questi modelli sono di solito pensati per le società di capitali. È invece importante elaborare degli strumenti adatti anche alle strutture molto diverse delle imprese non profit.

Quindi anche per le cooperative?
Sì. La mia ricerca cerca proprio di capire come creare modelli di gestione ritagliati sulle caratteristiche organizzative così peculiari delle cooperative agricole e vitivinicole trentine.

Quali sono gli aspetti che sta studiando?
Da un lato, si tratta di capire quali sono le leggi, gli standard tecnici internazionali e i codici di condotta redatti dalle associazioni di categoria (soft law), le buone pratiche coinvolte nella creazione di questi modelli. Dall’altra, si devono studiare i rapporti di scambio tra soci e cooperativa per capire come possono rilevare nella redazione del piano organizzativo. La prospettiva è sempre la tutela: si cerca di mappare le attività e i rischi e prevedere le procedure migliori da attuare in caso di reato. 

Ma ci sono già delle attività che aiutano in questo lavoro?
I modelli organizzativi possono essere integrati con alcune forme di controllo già esistenti, come le ispezioni o le analisi a campione sulle materie prime condotte da enti e associazioni esterni. Non solo in Trentino, ma in generale in Italia, le imprese vedono questi modelli organizzativi come necessità burocratiche e una voce di spesa, più che come un esempio di cultura della legalità. È vero che pensare a procedure complesse e vigilare sono attività che hanno dei costi, e non è sempre facile trovare un equilibrio. Ma è importante far capire alle imprese che questi strumenti sono anche un’opportunità. Un protocollo di comportamento è uno scudo che aiuta un ente a proteggersi, ad attribuire le giuste responsabilità. 

Accanto alla parte più teorica, la sua ricerca ha anche un risvolto molto concreto.
Il progetto di ricerca vuole anche essere propositivo. L’obiettivo è redigere con il supporto della Federazione delle cooperative trentine un modello pilota a disposizione delle cooperative agricole e vitivinicole e verificarne l’efficacia. Questo modello potrebbe così funzionare da guida per la loro attività di compliance e orientarne l’attività, favorendo lo sviluppo della legalità d’impresa.

La ricerca “MOG 231 e società cooperative: studio e analisi dei processi di creazione e validazione dei modelli di compliance per la prevenzione di reati” è un progetto nell’ambito del bando post-doc 2020 finanziato da Fondazione Caritro e cofinanziato dalla Federazione Trentina della Cooperazione e dalla Facoltà di Giurisprudenza. I Modelli di Organizzazione e Gestione (MOG) sono strumenti previsti dal decreto legislativo 231/2001 per contrastare la criminalità d’impresa. La ricerca si sviluppa su due diversi piani. Uno, di taglio più specifico, riguarda lo scambio mutualistico che caratterizza le società cooperative, per valutarne la rilevanza per la redazione dei MOG. Uno di carattere generale prende in esame le principali fonti di produzione delle regole cautelari e delle modalità di implementazione dei Modelli 231. Per approfondire questo aspetto si può leggere lo studio “D. lgs. n. 231/2001: la vexata quaestio dell’idoneità ed efficacia dei MOG fra prospettive di riforma e fonti delle regole cautelari” (pdf) pubblicato su La legislazione penale 4/2021