Francesca Demichelis nel laboratorio del Cibio ©Archivio UniTrento ph. Alessio Coser

Ricerca

Il film della scienza

Con Francesca Demichelis nei luoghi dove la tecnologia è al servizio di chi fa ricerca

18 luglio 2022
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di Alessandra Saletti e Matteo Largaiolli
Ufficio Stampa e Relazioni Esterne

Tecnologie avanzate, ricerche all’avanguardia, una gestione efficiente e una strategia che guarda al futuro. Una facility non è semplicemente un laboratorio. In un laboratorio ci sono le persone, gli strumenti, l’obiettivo di arrivare a una pubblicazione scientifica su progetti specifici. Una core facility ha lo scopo di aiutare i laboratori nei loro obiettivi, portare avanti le ricerche, trovare nuovi sviluppi. UniTrentoMag ha intervistato Francesca Demichelis, prorettrice alla ricerca, che come scienziata nei laboratori è di casa.

Professoressa Demichelis, un sistema di core facilities è un investimento complesso. 

«Fino a qualche anno fa si parlava di “laboratori tecnologici condivisi”. L’idea è proprio questa: le core facilities sono strutture a servizio della ricerca, specializzate in qualche competenza con macchine e persone associate e un coordinamento. Offrono manutenzione ad hoc e permettono di centralizzare gli strumenti. Le core facilities sono spesso molto specialistiche. Ma non sono a compartimenti stagni: tra diverse facilities c’è comunicazione e integrazione».

Che vantaggi porta a un’università dotarsi di una core facility?

«Il primo vantaggio di una core facility è avere accesso alla tecnologia più avanzata. La tecnologia di punta è fondamentale per la ricerca, ma è costosa e richiede personale dedicato, ad alta specializzazione. Un singolo laboratorio non riesce a far fronte a tutte le esigenze della ricerca, sia nelle scienze di base, sia nelle scienze “traslazionali” cioè applicate e più vicine alla cittadinanza. È quindi necessario organizzarsi, coordinarsi. È questo il senso delle core facilities».

Cosa troviamo in una facility? 

«Macchine tipiche delle core facilities sono ad esempio le stampanti 3D, che troviamo nei laboratori di ProM Facility, il Polo Meccatronica di Rovereto, alcuni microscopi ad altissima tecnologia, i sequenziatori per il genoma o le applicazioni per la neuroimmagine. Strumenti di questo tipo entrano in gioco quando un gruppo di ricerca ne ha bisogno, ma sono troppo complessi e costosi per essere usati solo per un progetto. Una facility può invece gestire le varie attrezzature per più gruppi di ricerca che lavorano in contemporanea».

Ci ha descritto le core facilities usando la metafora della produzione cinematografica. In che senso?

«Si. A volte mi ricorda la produzione di un film, con molti professionisti e con i suoi effetti speciali. Dietro al funzionamento delle core facilities c’è un sistema di gestione complesso, che si organizza a vari livelli. Proprio come nell’industria cinematografia, anche le facilities hanno le loro regole e le loro procedure. Hanno una certa autonomia, ma anche delle necessità amministrative. Necessità curate dai facility manager, che si occupano degli aspetti finanziari, di privacy e sicurezza, della rendicontazione, della prenotazione e dell’utilizzo delle apparecchiature, del supporto tecnologico. Il bisogno di un’amministrazione efficiente diventa poi ancora più importante quando a una core facility si rivolgono anche degli utenti esterni. È un sistema complesso. Potremmo definirle delle “cittadelle della scienza”».

Quindi, avere una facility così avanzata sarebbe quasi come garantirsi una nomination all’Oscar.

«Diciamo che le core facilities aiutano a pensare in grande, a fare qualcosa fuori dallo standard. Ad esempio, senza la centralizzazione delle apparecchiature non si potrebbero fare esperimenti ambiziosi. Quando si vuole effettuare un esperimento che esce dai protocolli usati comunemente, ci si rivolge a una core facility, ci si mette attorno a un tavolo e si cerca un nuovo protocollo per condurlo. Poi l’esperimento può andare a buon fine o no, ma intanto la ricerca ha tentato nuove strade. Inoltre, una facility riesce a intervenire in modo mirato su un progetto: permette di arrivare a un servizio o a un prodotto su misura, “sartoriale”, per così dire, non pre-confezionato. E rispondere così in modo perfetto ai bisogni della ricerca».

Quindi la presenza di core facilities avanzate vuol dire anche essere attrattivi per chi fa ricerca. 

«Vuol dire essere al passo con i tempi, all’avanguardia nella ricerca. A livello italiano siamo nel top di gamma, come abbiamo potuto vedere dai ricercatori che vengono in visita e rimangono impressionati dalla qualità delle tecnologie e da come vengono utilizzate. Recentemente, ad esempio, abbiamo avuto ospite una delegazione dell’Università dell’Ontario, che è rimasta molto colpita dal livello della tecnologia e dall’organizzazione, dall’interscambiabilità delle persone, capaci di parlare con i docenti, di capire i bisogni, di aiutare chi fa ricerca a delineare meglio le domande. Dal fatto cioè di avere le tecnologie ma anche la capacità di saperle gestire bene, grazie alle competenze di chi le usa e di chi ci lavora». 

Appunto. Però questi macchinari bisogna saperli far funzionare. 

«Sì. Le persone sono fondamentali. Chi lavora in una facility ha una preparazione tecnica e un’esperienza che permette di capire i problemi di chi fa ricerca e aiuta a trovare una soluzione. Le macchine possono non avere sempre un funzionamento lineare, infatti. Anche per questo la specializzazione del personale è fondamentale. Sia per poter avviare gli esperimenti, sia per l’aggiornamento del laboratorio, la manutenzione avanzata e periodica. E anche perché la tecnologia è in rapida evoluzione ed è essenziale che ci sia qualcuno che conosce i software, i passi preparatori, l’analisi dei dati».

UniTrento è già un punto di riferimento per gli investimenti che ha fatto nel tempo per le core facilities. Ma il percorso va avanti. Qual è il prossimo traguardo che l’Università di Trento si è posta?

«Un obiettivo è arrivare allo stesso tipo di gestione, sia dal punto di vista informatico, ad esempio per le prenotazioni, sia per come ci presentiamo all’esterno. Naturalmente, alcune facilities fanno attività più di routine, altre attività di punta o specialistiche. Essere omogenei e coordinati ci permette di essere più attrattivi verso l’esterno».