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Internazionale

SANZIONI ECONOMICHE ALLA RUSSIA

Le conseguenze su scambi commerciali e relazioni internazionali

17 gennaio 2018
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Antonino Alì
di Antonino Alì
Professore della Facoltà di Giurisprudenza e della Scuola di Studi Internazionali (SSI) dell'Università di Trento.

A partire dal marzo 2014, l'Unione Europea (UE), gli Stati uniti d'America e altri Stati hanno adottato misure di carattere diplomatico e di carattere economico nei confronti della Russia e del precedente governo ucraino. Le misure hanno avuto a oggetto sia gli individui ritenuti responsabili della destabilizzazione dell'Ucraina e dell'annessione della Crimea e di Sebastopoli sia, più in generale, alcuni settori dell'economia russa e, in particolare, il settore militare, quello finanziario/bancario e quello energetico. Non ultimo sono stati sanzionati l'ex presidente del Governo ucraino Janukovyč e il suo entourage per la distrazione di fondi statali.

Anche questa volta la questione dei costi diretti e indiretti delle sanzioni per gli Stati che decidono di adottarne e, in ultima analisi, della loro efficacia è oggetto di un vivace dibattito. È noto, infatti, che l'adozione di sanzioni comporta delle ovvie conseguenze per l'export e l'import di uno Stato. Gli effetti negativi delle misure dovrebbero essere in gran parte calcolabili. Di regola, volendo semplificare al massimo, si punta a conseguire il massimo effetto (esercitando pressione sullo Stato sanzionato) con il minimo danno per l'economia dello Stato che le impone. Non a caso non sono state previste né sanzioni alle importazioni di gas russo in ragione della dipendenza energetica europea, né in risposta da parte della Russia sono state limitate o contingentate le esportazioni, dalle quali derivano ingenti flussi di cassa per la stessa.

A livello UE, la competenza ad adottare le suddette sanzioni spetta all'Unione Europea sulla base degli articoli 29 del Trattato sull'Unione Europea e dell'art. 215 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea. Questa manifestazione del potere economico dell'UE nei confronti di Stati terzi comporta ovviamente effetti diversi per gli Stati che ne fanno parte. 

Abbastanza scontata è la constatazione che le misure economiche adottate comportano conseguenze diverse in funzione degli scambi e delle relazioni con lo Stato oggetto di sanzioni. Inoltre, di regola, come è avvenuto nel caso della Russia/Ucraina, alle sanzioni seguono delle misure (counter-sanctions) da parte dello Stato sanzionato che ritiene infondate le misure adottate nei suoi confronti. Le sanzioni, le "contro-misure" ed eventuali altre sanzioni generano una spirale di misure che possono incidere fortemente sulle relazioni commerciali tra gli Stati con effetti complessi e difficilmente misurabili.

Come argomentato dal professor Giumelli dell'Università di Groningen, in un suo scritto recente sul tema, che è stato oggetto di dibattito in occasione di un seminario tenutosi presso la Scuola di Studi Internazionali, l'export nei confronti della Russia è diminuito sensibilmente per tutti gli Stati membri dell'UE (con Germania, Italia e Finlandia in testa), ma ci sono stati diversi Paesi che hanno visto aumentare il loro export nei confronti della Russia (Grecia, Svezia, Lussemburgo e Bulgaria). In altri termini, secondo Giumelli, l'adozione delle sanzioni avrebbe comportato un effetto redistributivo tra i vari Stati dell'UE. Si può con buona certezza affermare che il tema continuerà a sollevare una serie infinita di preoccupazioni e di polemiche in ordine agli effetti ultimi delle sanzioni. 

Per quanto riguarda l'Italia il dato paradossale che emerge è che le sanzioni adottate dall'UE hanno avuto un impatto sugli scambi commerciali tra Italia e Russia più a causa delle contromisure russe che delle misure dell'UE. Il 6 e il 7 agosto 2014 il Presidente della Federazione Russa ha, infatti, con i Decreti n.560 e 778, introdotto il divieto di importare in Russia alcune categorie di alimenti e, in particolare, determinati prodotti agricoli, materie prime e prodotti alimentari, tra i quali figurano carni bovine e suine, pollame, pesce, formaggi e latticini, frutta e verdura prodotte dagli Stati Uniti d’America, dai Paesi dell’Unione Europa, da Canada, Australia e Norvegia. Sono stati esclusi gli alcolici (l'export di vino verso la Russia va a gonfie vele), le bevande, la pasta, i dolciumi e i prodotti da forno, i prodotti per l'infanzia e le merci acquistate all’estero per consumo privato. Pesante rimane il dato italiano, nel solo 2015 l'export totale italiano nel settore agro-alimentare ha subito una diminuzione del 35% in termini diretti e il dato non tiene conto dei cosiddetti danni indiretti di difficile quantificazione (Fonte ICE - Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, 21 agosto 2017).

Il tema è stato oggetto di un seminario tenutosi presso la Scuola di Studi Internazionali il 28 novembre 2017 dal titolo "The Redistributive Impact of Restrictive Measures on EU Members: Winners and Losers from Imposing Sanctions on Russia". Il relatore, Francesco Giumelli del Department of International Relations and International Organization (IRIO) dell'Università di Groningen, ne ha discusso con il professor Andrea Fracasso, direttore della SSI.