Bruno Montanari durante l'incontro. Fotogramma dal video dell'evento.

Formazione

IL GIURISTA AL TEMPO DEL POST-PENSIERO

La lezione di Bruno Montanari conclude il XV anno del corso di dottorato in Studi Giuridici Comparati ed Europei

7 novembre 2018
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Maurizio Manzin
Serena Tomasi
di Maurizio Manzin e Serena Tomasi
Professore e ricercatrice post doc presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

Post-moderno, post-verità, post-pensiero... Il passaggio dal secondo al terzo millennio è segnato da una serie di termini che alludono a un dopo, all’abbandono di qualcosa, a una cesura profonda. Una situazione che si è ripetuta altre volte nel corso della storia, ma che secondo Bruno Montanari, in questo caso, ha caratteristiche uniche rispetto al passato.

Il professor Montanari ha insegnato per anni Filosofia del diritto nelle Università di Catania, Bari, Milano-Cattolica, LUISS e le sue ricerche, così come le sue lezioni agli studenti, hanno sempre cercato di tastare il polso alla contemporaneità per indovinarne lo stato di salute filosofico. Di formazione esistenzialista, personalista e fenomenologica (allievo di Sergio Cotta alla Sapienza di Roma), Montanari è uno studioso insaziabilmente curioso, appassionato, provocatore.

Alla conclusione del XV anno del corso di dottorato in Studi Giuridici Comparati ed Europei dell’Università di Trento non è stato da meno, denunciando la condizione delle discipline legali in un periodo di frammentazione, di transizione se si vuole, da un modello fondato sulla validità ad uno fondato sull’impatto. Si tratta, secondo Montanari, di un cambio totale di paradigma epistemologico prodotto dai nuovi linguaggi delle tecnologie informatiche (ICT) e caratterizzato dal venir meno della nozione di temporalità (il tempo come successione lineare: passato, presente, futuro).

Tutte le categorie della modernità, inclusa quella del soggetto, sono state costruite ricalcando la relazione di causa-effetto: un prima e un dopo di eventi visibilmente collegati tra loro da cui gli scienziati hanno ricavato le leggi fisiche. Anche il diritto moderno è stato costruito in questo modo: la legge e la stessa giurisprudenza sono state concepite come espressioni di continuità spazio-temporale. Ma oggi, nell’epoca flou del “diritto liquido”, del soft law, delle mutevolezze interpretative delle Corti, del pluralismo delle fonti giuridiche, nulla sembra indicare una continuità, una direzione costante. Conta solo l’impatto momentaneo, l’equilibrio sistemico prêt-à-porter, l’efficacia della comunicazione.

A farne le spese, secondo Montanari, è in primo luogo il soggetto, la creazione concettuale massima della modernità. Sarà possibile, in un mondo non più moderno, salvarne l’autonomia? E quale pensiero potrà mai essere quello dell’impatto, esemplato sul linguaggio atemporale dei dispositivi informatici (il linguaggio dei tweet e dei like), quando le neuroscienze hanno invece scoperto che la dimensione della sequenza temporale è inscritta nel nostro stesso cervello e presiede all’apprendimento linguistico? Uno scenario completamento nuovo sfida i giuristi teorici e pratici del terzo millennio, non privo di pericoli per molte conquiste che si credevano definitivamente acquisite.

L’avvertimento di Bruno Montanari è stato accolto con attenzione dai giuristi e docenti della Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo trentino che sono intervenuti nella discussione. I relatori, ciascuno secondo la propria prospettiva di studio, hanno proposto una riflessione e indicato una possibile risposta agli interrogativi posti durante l’incontro. Il punto di vista dello storico, espresso da Diego Quaglioni, ordinario di Storia del diritto medievale e moderno, si è mostrato critico rispetto ad una netta contrapposizione tra modernità e non-modernità, pensiero e post-pensiero. Così, rispondendo all’interrogativo di Montanari, il suggerimento è di non perdere di vista la storicità degli istituti, la tradizione del pensiero giuridico e la sua dimensione continua e non frammentaria. Le categorie sono pensabili solo nel momento in cui vivono, cioè nella storia. In questa prospettiva, l’attenzione andrebbe cautamente riportata non alle tipizzazioni astratte, ma alle categorie così come si incarnano nel vissuto, valorizzandone l’unitarietà. 

Di analogo avviso l’ordinario di Storia del diritto romano, Massimo Miglietta, che ha ricordato l’esperienza dei giuristi romani come patrimonio da cui trarre qualche suggerimento operativo. Miglietta ha interpretato il monito di Montanari in chiave critico-riflessiva, osservando che la crisi dell’ordinamento è certamente un riflesso della crisi del giurista, che oggi ha perso quella legittimazione e autorevolezza che aveva nel mondo antico, in cui i responsa erano a pieno titolo fonti del diritto. 

Fulvio Cortese, ordinario di Diritto Amministrativo, ha condiviso l’ammonimento di Montanari, rivolgendolo in primis alla categoria dei giuristi per richiamarli al rispetto della deontologia. Il giurista, più di altri, non può cedere alla fluidità ma deve fare attento uso delle parole e delle categorie; a dispetto del cittadino comune, egli dovrebbe evitare il più possibile quelle parole “di contrabbando” (come ad esempio governance) che sono spesso usate, ma che confondono i concetti e abituano a mettere da parte la responsabilità. 

Per Federico Puppo, docente di Filosofia del diritto, va sempre ricordato – come constatazione, non come valutazione – che stiamo vivendo una fase di passaggio. L’uso delle nuove tecnologie ha cambiato lo scenario in cui ci muoviamo, coinvolgendo tanto il soggetto quanto l’oggetto: un fatto di cui non sempre siamo consapevoli. L’uso dei social, ad esempio, ci ha abituati all’immediatezza, al qui ed ora, confondendo la realtà con le sue rappresentazioni, e facendoci dimenticare che, al di fuori dell’osservazione sul mondo, esiste un mondo. In questo modo si è finito per modificare l’espressione della volontà in arbitrio. 

Infine, il passaggio al post-pensiero può dirsi completato? In questa stagione, in cui la sensazione può essere quella di perdere il senso delle cose, non è forse troppo tardi per mettere a confronto il vecchio e il nuovo, senza essere travolti dal presente ma facendosene, invece, protagonisti? Le parole di Bruno Montanari hanno la forza di scuotere le menti, proponendosi, in qualche misura, come cura all’intorpidimento delle coscienze.

Lo scorso 17 ottobre si è concluso il XV anno del corso di dottorato in Studi Giuridici Comparati ed Europei della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento. Hanno introdotto l’incontro i professori Gian Antonio Benacchio e Fulvio Cortese. La conferenza è stata presieduta dal professor Maurizio Manzin, responsabile scientifico dell’evento.