Centrale idroelettrica Itaipu Binacional (IB).  ©Herr stahlhoefer (Wikimedia Commons).

Internazionale

INFRASTRUTTURE COLLETTIVE

Un modello alternativo di sviluppo democratico. A Trento Hillary Brown del City College of New York

4 dicembre 2018
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Hillary Brown
di Hillary Brown
Professoressa di architettura presso il City College of New York e appartenente all’American Institute of Architecture.

Come possiamo realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU in un’epoca di crisi delle democrazie? Obiettivi condivisi che rivendicano acqua potabile, accesso all’energia, condizioni igieniche sicure, sistemi di trasporto e di alimentazione come diritti umani fondamentali? I paesi meno sviluppati, in cui mancano i servizi di base, incontrano già oggi notevoli difficoltà per potersi permettere i sistemi tecnici ad alta intensità di risorse concepiti dal mondo industrializzato. In molti di questi paesi sono già in corso veri e propri conflitti attorno a risorse che sono sempre più limitate. È per questo che occorrono modelli alternativi: per progettare un accesso equo e universale ai servizi pubblici in un modo che sia al tempo stesso più sostenibile, olistico e integrato, resiliente ed economico.

L’idea delle “infrastrutture collettive” (“infrastructural commons” o “I-commons” in inglese), invece di affidare l’erogazione di servizi pubblici al governo o al mercato e alle sue autorità di regolamentazione, propone un protocollo basato sulle tecnologie alternative e su una gestione collaborativa al fine di promuovere un uso equo ed efficiente delle risorse comuni. Gli “I-commons”, in breve, comportano lo sviluppo tanto delle infrastrutture fisiche quanto dei sistemi di governance necessari per la loro supervisione. A differenza del mercato, che sfrutta il capitale naturale ma esternalizza le perdite, l’approccio “collettivo” spinge la società in primo luogo a incoraggiare un sistema di “co-produzione” per i consumatori nei settori dell’energia, dell’acqua, della gestione dei rifiuti e dei servizi di trasporto e di depurazione; e, in secondo luogo, a sviluppare strategie tecniche sinergiche di condivisione trasversalmente a questi settori per meglio tutelare una base di risorse che va riducendosi.

Un esempio del primo caso ci insegna che il coinvolgimento attivo degli utenti e delle comunità locali nello sviluppo infrastrutturale consente di ottenere risultati migliori. La conoscenza diretta e la partecipazione locale producono nuovi posti di lavoro e “tutele sociali”, come il contrasto alla corruzione e la responsabilità di progetto. Un caso concreto in questo senso è quello di Lyonnaise des Eaux Casablanca (LYDEC), un consorzio di gestione dell’energia elettrica di Casablanca che, in passato, subiva perdite derivanti dalla sottrazione illecita di elettricità da parte degli abitanti dei quartieri degradati. LYDEC, diversamente da alcuni fornitori di servizi che pongono al centro della propria strategia commerciale il superamento della povertà energetica, ha costruito delle mini reti energetiche temporanee per rifornire queste utenze, utilizzando manodopera locale e ingaggiando rappresentanti della comunità per incassare le fatture. LYDEC ha risolto il suo problema delegando parti fondamentali della costruzione e del funzionamento dell’infrastruttura, e in questo modo ha migliorato i rapporti con le comunità di residenti e ne ha rafforzato la coesione sociale.

Il secondo approccio struttura i servizi pubblici sul modello di un ecosistema. Ispirandosi alla ciclicità delle risorse naturali, la produzione di rifiuti generata in un settore viene messa a buon uso in un altro. Il trattamento anaerobico delle acque reflue, per esempio, produce biogas che può essere utilizzato nella produzione di energia rinnovabile o come carburante per veicoli. I residui diventano utili fertilizzanti. Lo stesso impiego di una tecnologia alternativa ha risolto diversi problemi in modo sinergico nel caso di Itaipu Binacional (IB), l’organizzazione che gestisce una delle più grandi centrali idroelettriche al mondo al servizio di Brasile e Paraguay. Quando l’inquinamento delle acque del fiume che alimenta la centrale, causato da contaminanti chimici e concimi animali provenienti dalle fattorie circostanti, ha iniziato a mettere a rischio la produzione di energia, IB ha chiesto l’aiuto degli agricoltori per trovare una soluzione reciprocamente vantaggiosa. Assieme hanno creato una cooperativa agro-energetica per la biodigestione anaerobica di rifiuti animali e di biomassa che fornisce l’energia rinnovabile necessaria ad alimentare 2200 fattorie in zone remote. Il calore residuo generato dalla produzione di elettricità è utilizzato, gratuitamente, per l’essiccazione dei cereali. Inoltre, gli agricoltori guadagnano anche dalla vendita del biogas in eccedenza attraverso la rete. In questo caso, un’unica soluzione consente di raggiungere molteplici fini. 

Sia LYDEC che IB hanno adottato innovazioni dirompenti per erogare proficuamente servizi essenziali in economie emergenti. Ciascuno dei molti esempi simili che abbiamo a disposizione rivela i potenziali vantaggi sociali ottenuti attraverso uno sviluppo più olistico delle infrastrutture, come beni collettivi. La fornitura di servizi pubblici imperniata sulla partecipazione a livello locale e fondata su relazioni simbiotiche offre un paradigma alternativo per lo sviluppo delle nazioni, che è al contempo equo, economico ed ecologico. 

La professoressa Hillary Brown ha trattato il tema durante il seminario  “Democratic infrastructure. an evolving paradigm for sustainable urban development”. L’appuntamento è stato l’ultimo dei seminari internazionali proposti dal progetto INFRAFUTURES - Scenarios and strategies for the development of infrastructure systems towards a more sustainable, inclusive and resilient landscape, EUREGIO Mobility Fund 2017/2018. L’incontro è stato organizzato dal Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale e Meccanica (DICAM) dell’Università di Trento, dall’Università di Innsbruck, EUREGIO Tirolo - Alto Adige – Trentino, Cattedra Unesco (Unesco Chair in Engineering for Human and Sustainable Development) UniTrento, Consorzio Associazioni con il Mozambico e dal Centro per la Cooperazione Internazionale.

[Traduzione Paola Bonadiman]


INFRASTRUCTURAL COMMONS
An alternative democratic development framework. Trento welcomed the visit of Hillary Brown, from the City College of New York

In an era of imperiled democracies, how might we still reach the UN’s Sustainable Development Goals (SDGs) — consensus goals claiming clean drinking water, energy access, reliable sanitation, transport and food systems as basic human rights? Less- and least-developed nations lacking basic services struggle today to afford the resource-intensive technical systems devised by the industrialized world. Many also already experience outright conflict over increasingly scarce resources. Alternative frameworks, then, are needed to plan universal and equitable access to public services — models at once more sustainable, holistic and integrated, resilient, and economical. 

As opposed to reliance on either government or the market and its regulators for public services, the concept of the “infrastructural commons” suggests a protocol based upon alternative technologies as well as collaborative management to promote equitable and efficient use of shared resources. The “I-commons” entails development of both physical infrastructure and governance systems overseeing these systems. Unlike the market, which exploits natural capital while externalizing wastes, a commons approach prompts society to: 1) encourage a means of consumer “co-production” of energy, water, waste-handling, transport and sanitation services; and 2) develop synergistic technical strategies for sharing across these sectors to better protect a shrinking resource base.

In the first instance, we’re learning that inclusive engagement of users and local communities in infrastructural development achieves better outcomes. Local knowledge and participation produce new jobs and “social safeguards” — corruption avoidance and project accountability. As a case in point, Lyonnaise des Eaux Casablanca (LYDEC), a consortium handling Casablanca’s power, was once sustaining losses from illegal electricity tapping by occupants living in slums. Where few utility providers see solving energy poverty as a core business strategy, LYDEC built temporary minigrids powering these households, using trained local labor and community representatives to collect fees. Delegating key elements of construction and operations solved LYDEC’s problem, strengthened its relationship with the settlements, and improved their social cohesion.

The second approach models public services more along the lines of an ecosystem. Emulating nature’s resource cycling, waste output from one sector is used beneficially by another. Wastewater, for example, treated anaerobically, produces a useful biogas for renewable energy generation or use as vehicle fuel. The residuals become useful fertilizer. The same use of alternative technology solved multiple problems synergistically in the case of Itaipu Binacional (IB), the organization behind one of world’s largest hydropower plants serving Brazil and Paraguay. As its river waters became polluted by chemical runoff and animal manure from surrounding farms, jeopardizing power production, IB solicited the help of farmers in a reciprocal solution. Together they created an “agroenergy” cooperative that anaerobically biodigests animal and biomass waste to provide renewable energy powering 2,200 remote farm households. The waste heat from electricity generation dries their grain products for free. Farmers also earn revenue by selling surplus biogas to the grid.  Here, a single solution serves multiple ends. 
 
Both LYDEC and IB used “disruptive” innovation to successfully bring critical services to fledgling economies. Of multiple similar examples, each reveals the potential societal benefits gained from developing infrastructure more holistically — as commons. Providing public services grounded in local participation and based upon symbiotic relationships offers an alternative paradigm for developing nations, at once equitable, economical, and environmentally sound. 

Professor Hillary Brown focused on this theme during the seminar on “Democratic infrastructure. An evolving paradigm for sustainable urban development” . Hers was the last of six international seminars organized within INFRAFUTURES - Scenarios and strategies for the development of infrastructure systems towards a more sustainable, inclusive and resilient landscape, EUREGIO Mobility Fund 2017/2018. The seminar was organized by the Department of Civil, environmental and mechanical engineering (DICAM) of the University of Trento, the University of Innsbruck, EUREGIO Tirolo-Alto Adige-Trentino, the Unesco Chair in Engineering for Human and Sustainable Development at UniTrento, Consorzio Associazioni con il Mozambico and Centro per la Cooperazione Internazionale.