Emma Della Libera. Foto di Giovanni Cavulli. Archivio Università di Trento.

Storie

Emma e la sua passione per la biologia

Intervista a una studentessa del corso di laurea in Scienze e Tecnologie Biomolecolari

24 giugno 2019
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di Giulia Castelli
Laureata in Giurisprudenza UniTrento, collabora con l’Ufficio Web, social media e produzione video dell'Ateneo.

Emma Della Libera ha 21 anni, studia al Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata (CIBIO) dell'Università di Trento e sogna di diventare una scienziata. Ha i capelli biondi e due occhi curiosi. Le abbiamo fatto alcune domande per capire dove è nata la sua passione per la biologia e cosa l’ha portata a Trento.

Emma, puoi parlarci del percorso che ti ha portato all’Università di Trento?

Verso la seconda metà del mio quinto anno di liceo avevo deciso: tra tutte le materie che mi appassionavano, la biologia era quella che muoveva in me un'esigenza. L'esigenza di capire di più, di conoscere di più, di approfondire di più. La biologia però, specialmente quella "molecolare",che mi affascinava maggiormente rispetto alla biologia “macroscopica” e per lo più descrittiva, necessita di un grande supporto pratico e laboratoriale. Nel momento in cui ho realizzato questo il mio cuore, la mia mente e i miei più grandi desideri si sono scontrati col mio fisico. La disabilità conseguente a una malattia invalidante che fa parte di me (Atassia di Friedreich) poteva essere un grande ostacolo e costituire un limite, un’impossibilità anche solo nell’iniziare a studiare ciò che amavo. In breve, Trento è stato l’unico ateneo tra i diversi visitati dove la mia testa e la mia passione erano più forti della mia malattia. Sicuramente il mio non sarebbe stato un percorso semplice, ma in qualche modo l'avrei fatto. A Trento una disabilità non definisce una persona e non pregiudica la sua realizzazione accademica.

Come mai hai scelto il corso di laurea in Scienze e Tecnologie Biomolecolari e come ti trovi al CIBIO?

Come accennavo, una propensione per l’ambito biologico in me era viva da tempo. Tuttavia, la scelta di frequentare un corso che trattasse anche le tecnologie e le applicazioni di questa scienza e fosse spiccatamente multidisciplinare è stata, infine, dettata dalla mia esperienza personale. Volevo affacciarmi al mondo della ricerca, comprendere come funziona e come si evolve, capire quali sono le speranze future su questo fronte e, magari, far crescere questo universo dando il mio piccolo contributo. Ci sono talmente tante cose che non sappiamo! Ad esempio, per la mia patologia, come per altre migliaia di malattie rare, non esiste ad oggi alcuna terapia efficace, perché non è stata ancora scoperta. Al CIBIO mi sento in una seconda casa, ci trascorro molte ore al giorno perché ho un mio ruolo. Lì danno valore a delle competenze che ho raggiunto e non tutti possiedono, ad esempio nell’elaborazione dei dati. Mentre, nel mondo esterno, in tanti contesti, il disabile grave è considerato colui che chiede aiuto e dipende dagli altri, si pensa che non possa fare/dare nulla di utile.

Cosa ti sta appassionando dello studio delle biotecnologie?

Sarà banale, ma rispondo così, TUTTO. Non c’è giornata di lezione in cui non rimango incantata da qualcosa. Mi affascina la teoria, vedere come anche gli esseri più piccoli siano immensamente complessi, riscontrare fenomeni che studio su un libro avverarsi sul mio corpo, notare come previsioni, modelli, disegni fatti dagli scienziati decenni fa si siano rivelati veri grazie a foto di macromolecole che ora possiamo avere. Mi piace come questa scienza sia sempre più solida, quantitativa, basata sui dati raccolti e sull’elaborazione. Adoro pensare che ciò che testo oggi, l’anno prossimo potrebbe cambiare la vita a migliaia di famiglie. Infine, dei laboratori amo il rigore nel fare le cose, la logica. Mi piacciono le cromatografie, le spettroscopie, i saggi con i geni reporter, le microscopie e l’elettroforesi.

La scelta del tuo percorso di studi è stata influenzata dalla tua vita personale. Esiste anche una ONLUS a tuo nome. Ce ne puoi parlare?

Prima ho indicato un mio “contributo” alla ricerca. Non mi riferivo solamente a un mio eventuale impegno futuro in quanto scienziata. Al momento della mia diagnosi, circa dieci anni fa, dopo i primi mesi di inconsolabile sconforto, la mia splendida famiglia ha fondato un’associazione onlus che si chiama Ogni giorno per Emma.  Da allora ci occupiamo di organizzare eventi col fine di raccogliere fondi a sostegno della ricerca scientifica, in particolare progetti riguardati le atassie. Vogliamo anche informare e sensibilizzare al tema delle malattie rare, provare a dare qualità e aspettativa di vita migliori a svariate migliaia di giovani affetti. Per racimolare fondi abbiamo anche scritto dei libri, vendiamo oggetti di artigianato, vino, caffè solidale e una grossa mano ce la dà la destinazione del 5x1000 all’associazione. In questi anni abbiamo sostenuto progetti di riabilitazione, per la prima volta studiati e mirati sull’Atassia di Friedrich; uno studio sull’elettrostimolazione; migliorato la diagnostica contribuendo allo sviluppo di risonanze magnetiche ad alta risoluzione; completato la sperimentazione su un farmaco con probabili effetti benefici sul cuore e finanziato parzialmente altri tre progetti di ricerca.