Neil A. Armstrong, Michael Collins, Edwin E. Aldrin Jr. (Apollo 11). NASA Human Space Flight Gallery.

Orientamento

50 anni fa la fisica ci ha portati sulla Luna

Una meravigliosa avventura raccontata nella lezione di Stefano Oss alla Settimana estiva di orientamento

6 settembre 2019
Versione stampabile
Stefano Oss
di Stefano Oss
Responsabile del Laboratorio Comunicazione delle Scienze Fisiche, Dipartimento di Fisica, e delegato per l'Orientamento dell'Università di Trento.

Si sono spenti da pochi giorni gli echi delle commemorazioni mondiali dedicate al cinquantesimo anniversario della prima esplorazione umana della Luna. Le pagine web, gli articoli, i filmati, documentari, corto e lungometraggi sono innumerevoli e difficile risulta aggiungere qualcosa a questa eccezionale quantità di informazione. Ciononostante, in occasione della Settimana estiva di orientamento organizzata, come tutti gli anni, dall’Ateneo tridentino che accoglie un centinaio di studenti da tutta Italia in procinto di iniziare il loro ultimo anno di studi secondari di II grado, una delle conferenze-lezione in calendario è stata dedicata proprio alla meraviglia scientifica e tecnologica dello sbarco lunare. Potrebbe quindi sembrare accanimento o reiterazione di altro materiale e, soprattutto, potrebbe sembrare un’offerta didattica “strana” nell’ambito di un evento di orientamento alla scelta degli studi universitari. In realtà i motivi sono più sottili e qui, forse, è opportuno commentarli per dare ulteriore enfasi all’epopea astronautica degli anni 60-70 dello scorso secolo.

Anzitutto per andare sulla Luna (o anche più semplicemente in orbita) è necessario avere le idee chiare su come funzioni la gravitazione e su come sia possibile, almeno fino a un certo punto, averne la meglio per guadagnare la grande distanza che ci separa dal nostro satellite. In altre parole: senza conoscenze scientifiche, solo con le chiacchiere, non si va in orbita. Fisica, ingegneria, astronomia, scienza dei materiali, elettronica sono ingredienti fondamentali per iniziare l’avventura spaziale. Potrà sembrare bizzarro, ma questo non è un fatto ovvio per molti: si tende a dare per scontato che i satelliti artificiali sono al loro posto e fanno il loro prezioso lavoro per motivi non meglio precisati. Spesso ci si stupisce di sapere che la stazione spaziale internazionale si trova – quando ci sorvola sulla verticale – a una distanza di qualche centinaio di chilometri da noi: così vicina? Come mai non cade? Ancora più la gente si stupisce a sentirsi rispondere che tutti i satelliti (Luna inclusa) cadono, eccome se cadono, attratti come sono inesorabilmente dalla gravità terrestre. Che poi non precipitino è un’altra storia, che ha a che fare proprio con la loro velocità “orbitale”, per l’appunto: cadono ma non giungono al suolo perché questo si allontana da essi grazie alla curvatura della superficie terrestre (con buona pace degli insulsi terrapiattisti, che faranno anche sorridere, ma solo fino a un certo punto).

Ecco dunque che è importante rifarsi a un’impresa fantastica come quella delle missioni Apollo per raccontare un po’ di fondamenti di fisica, di scienza di base, di teorie secolari ma ancora ampiamente utilizzate e dunque attualissime. Una volta trovata l’orbita che ci porta abbastanza lontani dalla Terra al punto di essere convinti dalla Luna a essere attratti più da quest’ultima che non dal nostro pianeta (e perché ciò accada è necessario fare un bel viaggio: più di trecentomila chilometri – in pratica quasi 30 diametri terrestri – ed è anche fondamentale iniziare questo viaggio con una bella velocità: circa 11 chilometri al secondo, quarantamila chilometri all’ora, cosa resa possibile unicamente grazie all’utilizzo del missile più potente mai realizzato, il Saturn V), ebbene, a questo punto inizia un’altra parte incredibilmente complessa dell’avventura Apollo. Si tratta delle procedure necessarie per far scendere dolcemente sul suolo lunare due dei tre astronauti (il terzo ha il ruolo per nulla banale di mantenere in orbita controllata la nave madre che attenderà il ritorno dei colleghi dopo l’esplorazione): il modulo di escursione lunare (LEM) è una struttura per nulla aerodinamica (tanto non c’è aria) con quattro zampe la cui forma è stata resa famosa da innumerevoli immagini e filmati di questo mezzo secolo di storia.

Pochi però sanno quanto terribilmente complicata e pericolosa sia stata la sequenza di manovre per raggiungere prima il suolo e poi per ripartire da esso con tempistiche, coordinamento e precisione nella localizzazione che ancora oggi lasciano allibiti. Sulla Luna il GPS non c’è e, in ogni caso, nel 1969 non c’era neppure a servizio della Terra. Ci pensavano i computer? Sicuramente un aiuto lo hanno dato, ma si tenga presente che si parla di macchine con capacità di memoria e rapidità di calcolo preistoriche, addirittura ridicole rispetto quelle di un qualunque nostro smartphone di oggi. Nel caso dell’Apollo 11, per esempio, il computer del LEM era andato in tilt sbraitando segnali di allarme ripetuti perché si era confuso solo per aver fatto “girare” due programmi simultaneamente. Pensiamoci quando andiamo a spasso e ci facciamo guidare da google maps come se fosse la cosa più ovvia di sempre, e pensiamo altresì che se oggi abbiamo queste risorse è anche per le accelerazioni date alla ricerca dalle esigenze dell’astronautica di 50 anni fa.

Quello che poi è accaduto sulla Luna durante la sua esplorazione umana è scienza allo stato puro, perfetto, unico: un laboratorio extra-terrestre senza rivali, il primo in assoluto, che ha svelato numerosissimi misteri sull’origine del nostro satellite, del nostro stesso pianeta e, di conseguenza, del sistema solare, aprendo nuove vie di ricerca e speculazione scientifica nel campo dell’astrofisica e della cosmologia. Non è però solo scoperta di incognite nell’astronomia: è un cammino fecondo e ancora aperto in campi di indagine collegati, che spaziano dalla medicina alla fisiologia, dalle comunicazioni alla fisica ambientale, dalla scienza dei materiali alla struttura della materia, dall’elettronica all’informatica, e via dicendo. Parlare ancora oggi delle missioni Apollo vuol dire poter spiegare che i circa cento miliardi di dollari di oggi allora spesi per mandare 12 esseri umani a camminare sulla Luna sono stati troppi solo per chi non capisce – perché non sa, il più delle volte – che l’indotto di queste missioni è impagabile. Non solo per la scienza pura, ma anche per le sue applicazioni nel quotidiano. Cento miliardi di dollari in 10 anni sono poi una frazione modesta del budget annuale della difesa statunitense di oggi, che si aggira sui 650 miliardi di dollari o di quella italiana che è di quasi 50 miliardi di euro l’anno. Pochi protestano per queste cifre. Come mai?

Un altro buon motivo per continuare a parlare oggi della Luna del 1969: un’impresa tutto sommato economica e, soprattutto, vincente e pacifica. Se non è orientamento questo.

 “Come e perché la fisica ci ha portati 50 anni fa sulla Luna. Una meravigliosa avventura da non scordare” è il titolo della lezione tenuta dal professor Stefano Oss alla Settimana estiva di orientamento. L’iniziativa, che si svolge in forma residenziale, è rivolta a studenti e studentesse del penultimo anno di scuola secondaria di II grado e ha lo scopo di far conoscere loro l’Ateneo di Trento e di sperimentare la vita universitaria.