Foto Adobe Stock.

Ricerca

Chi ha paura dei vaccini?

Esce su Social Science & Medicine uno studio sull’esitazione vaccinale, gli stili cognitivi e la percezione del rischio

27 ottobre 2021
Versione stampabile
Mauro Martinelli
Giuseppe Alessandro Veltri
di Mauro Martinelli e Giuseppe Alessandro Veltri
Rispettivamente: dottorando in Sociologia e Ricerca Sociale (Scuola in Scienze Sociali) UniTrento; professore ordinario del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale UniTrento

Negli ultimi due anni abbiamo sentito e probabilmente discusso quotidianamente delle ragioni per le quali alcune persone esitano a vaccinarsi. La questione ha però radici più lontane nel tempo – il rifiuto dei vaccini è vecchio quanto i vaccini stessi – e nell’ultimo decennio si è acuita in modo profondo, in particolare nei paesi a più alto reddito. Ironicamente, proprio l’efficacia dei vaccini ne è una delle cause principali: proteggendoci contro le malattie infettive, hanno reso la loro presenza più rara, diminuendo la nostra percezione della loro pericolosità e di conseguenza l’utilità percepita delle vaccinazioni. Nel contesto pre-Covid, l’Italia (il paese oggetto di questo studio) era tra i paesi con minor fiducia nell’efficacia e nella sicurezza dei vaccini, e ha registrato nel 2017 ben 4991 casi di morbillo, mentre soltanto un anno prima, nel 2016, ne sono stati rilevati 862.

La ricerca accademica ha prestato crescente attenzione a questo fenomeno, chiedendosi recentemente se e in quale modo i processi cognitivi possano influenzare le nostre scelte e la nostra percezione del rischio. La ricerca suggerisce l’esistenza di due diversi processi cognitivi, che possiamo chiamare – semplificando – ‘pensiero intuitivo’ e ‘pensiero analitico’. Il primo, il pensiero intuitivo, funziona come una sorta di pilota automatico, tramite il quale gli individui reagiscono con rapidità agli stimoli esterni, con poco sforzo e in modo involontario. È il sistema intuitivo che ci fa voltare improvvisamente quando udiamo un forte suono o che ci ricorda inconsciamente come mantenere l’equilibrio in bicicletta. Il secondo, il pensiero analitico, è invece caratterizzato da processi più lenti, consci e che necessitano di attenzione, come ad esempio i calcoli complessi o la valutazione dei pro e dei contro di una scelta. 

Mentre il pensiero analitico è stato consistentemente associato alla fiducia nel sapere scientifico, diversi studi hanno rivelato che il pensiero intuitivo è collegato a una maggiore fiducia nel sapere ‘a-scientifico’, e quindi a una vasta gamma di credenze che spazia dal credo religioso ai fenomeni soprannaturali, fino a giungere alle teorie del complotto. In questo articolo ci siamo chiesti, in primo luogo, se le persone possano essere caratterizzate da una propensione a utilizzare maggiormente un sistema cognitivo piuttosto che l’altro. Abbiamo poi indagato se, e in quale misura, questa caratteristica sia collegata a una diversa attitudine verso la vaccinazione e verso la valutazione dei rischi collegati alle malattie infettive.
I risultati suggeriscono che, attraverso l’uso di test cognitivi appropriati, è possibile classificare le persone sulla base della loro propensione a utilizzare maggiormente il pensiero analitico piuttosto che quello intuitivo, o viceversa. In linea con le aspettative, i risultati dimostrano che le persone caratterizzate da una maggior propensione all’utilizzo di processi cognitivi intuitivi hanno una probabilità significativamente superiore di rifiutare le vaccinazioni. Inoltre, dall’analisi emerge che questa propensione non dipende dalle caratteristiche ascritte degli individui (il loro genere, l’età, la provenienza geografica, ecc). Infine, le persone che tendono al pensiero intuitivo hanno una minore percezione dei rischi legati alle malattie infettive. La loro percezione del rischio è inoltre guidata da valutazioni di tipo affettivo ed emozionale, e non numerico/probabilistico come, ad esempio, la probabilità percepita di contrarre una malattia infettiva.

In un momento in cui le vaccinazioni costituiscono uno strumento efficace per traghettare il mondo verso una situazione pandemica più gestibile, questi risultati suggeriscono due principali riflessioni. La prima è che lo sviluppo di una comunicazione efficace dovrebbe tenere in considerazione il diverso modo in cui le persone recepiscono ed elaborano le informazioni, cercando dunque di sviluppare e diversificare messaggi adeguati a diversi stili cognitivi. La seconda è che basare le campagne a favore della vaccinazione su messaggi di tipo numerico o probabilistico – ad esempio comparando la diversa probabilità di sviluppare gravi problemi di salute a seguito della vaccinazione o dopo aver contratto la Covid-19 – potrebbe essere meno efficace rispetto al concentrare l’attenzione sugli aspetti emotivi legati alla pericolosità delle malattie infettive.

Lo studio di Mauro Martinelli e Giuseppe Alessandro Veltri
Do cognitive styles affect vaccine hesitancy? A dual-process cognitive framework for vaccine hesitancy and the role of risk perceptions” è stato pubblicato nel Volume 289, novembre 2021, di Social Science & Medicine (Elsevier).


Who is afraid of vaccines?
A study on vaccine hesitancy, cognitive styles and risk perception published in Social Science & Medicine

by Mauro Martinelli and Giuseppe Alessandro Veltri

Respectively PhD student in Sociology and Social Research at the School of Social Sciences of UniTrento, and full professor at the Department of Sociology and Social Research of UniTrento.

For the past couple of years, we have heard and probably discussed every day the reasons why some people hesitate to get vaccinated. The issue however has deeper roots - vaccine rejection is as old as vaccines themselves - and has even worsened in the last decade, particularly in higher-income countries. Ironically, the effectiveness of vaccines is one of the main causes of vaccine hesitancy: by protecting us against infectious diseases, vaccines have made these diseases rare, our perception of danger has diminished and, as a consequence, vaccinations are not perceived as useful. In pre-Covid times, Italy (the object of this study) was among the countries with the lowest level of confidence in the efficacy and safety of vaccines; in 2017, 4991 cases of measles were reported in the country, against only 862 a year earlier, in 2016.

Academic research has paid increasing attention to this phenomenon, recently questioning whether and how cognitive processes can influence our choices and our perception of risk. Research suggests that there are two different cognitive processes, which we can call - simplifying - 'intuitive thinking' and 'analytical thinking'. Intuitive thinking is a sort of auto-pilot, where individuals react quickly to external stimuli, with little effort and involuntarily. Intuitive thinking makes us turn around suddenly when we hear a loud sound, or unconsciously reminds us how to keep a balance when we ride a bike. Analytical thinking, on the other hand, is characterized by slower, more conscious processes that require attention, and is involved for example in complex calculations or in the evaluation of the pros and cons of a choice. 

While analytical thinking has been consistently associated with trust in scientific knowledge, several studies have revealed that intuitive thinking is linked to greater trust in unscientific knowledge, including religion, the paranormal and conspiracy theories. In this article we asked ourselves, first of all, if people can be characterized by a propensity to use one cognitive system more than the other. At this point, then investigated whether, and to what extent, this characteristic is linked to a different attitude towards vaccination and towards the assessment of risks associated with infectious diseases.
The results suggest that, through appropriate cognitive tests, it is possible to classify people based on their propensity to use analytical thinking more than intuitive thinking, or vice versa. In line with expectations, the results show that people with a greater propensity to use intuitive cognitive processes are significantly more likely to refuse vaccination. The analysis also shows that this predisposition does not depend on the characteristics of individuals (gender, age, geographical origin, etc.). Finally, people who prefer intuitive thinking have a lower perception of the risks associated with infectious diseases. Their perception of risk is also guided by affective and emotional, and not numerical/probabilistic considerations such as, for example, the perceived probability of contracting an infectious disease.

At a time when vaccinations are an effective tool to steer the world towards a more manageable pandemic situation, these results suggest two main reflections. The first is that an effective communication strategy should take into consideration the different ways in which people receive and process information, and try to develop different messages for different cognitive styles. The second is that basing vaccination campaigns on numerical or probabilistic messages - for example by comparing the different probability of developing serious health problems following vaccination or after contracting Covid-19 - could be less effective than focusing on the emotional aspects of the danger posed by infectious diseases.

[Traduzione Paola Bonadiman]

The study by Mauro Martinelli and Giuseppe Alessandro Veltri "Do cognitive styles affect vaccine hesitancy? A dual-process cognitive framework for vaccine hesitancy and the role of risk perceptions" was published in Social Science & Medicine (Elsevier, Volume 289, November 2021).