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«Riscopriamo la stagionalità»

Con Ilaria Pertot alla ricerca di prodotti sani, gustosi e non voraci di energia

15 settembre 2022
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di Elisabetta Brunelli
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Autarchia e chilometro zero non mettono al riparo dalle ripercussioni geopolitiche. La tecnologia aiuta, ma non è una panacea per la crisi climatica. Per dare un futuro all’agricoltura e alla tavola occorre ripartire da scelte consapevoli di produzione e di consumo. Questa in sintesi la “ricetta” di Ilaria Pertot, professoressa del Centro Agricoltura Alimenti Ambiente.

Professoressa Pertot, in Italia la siccità e il caldo hanno messo a dura prova tante colture e hanno provocato un vistoso calo di alcune produzioni. Quali sono state le perdite più pesanti?

«Le colture che hanno sofferto di più sono quelle che hanno un elevato fabbisogno idrico e l’irrigazione o non c’era o non era sufficiente. Bisognerebbe programmare le scelte delle colture anche pensando che l’acqua potrebbe non essere sufficiente. Negli ultimi anni si è puntato molto su mais e soia. Ora andrebbero riscoperte colture come l’orzo, il frumento e la segale, che necessitano di meno acqua, soprattutto perché vengono raccolte prima del periodo estivo che è più caldo e secco».Ilaria Pertot

A quali tecnologie può fare ricorso l’agricoltura per resistere al nuovo clima?

«La tecnologia più importante è l’utilizzo puntuale dell’acqua. Il Trentino negli anni ha già investito molto negli impianti a goccia e ciò permette che l’acqua sia ben gestita ed economicizzata. Contro la grandine, dove possibile, si possono utilizzare i sistemi di rete o, almeno, difendersi con l’assicurazione che stabilizza il reddito. Inoltre, si dovrebbero preferire nelle zone a rischio colture come cereali per farine o mangimi o ortofrutta che possa essere trasformata, su cui il danno sarebbe minore. Va fatta una scelta attenta delle varietà più resilienti anche in considerazione delle ondate di calore, sempre più diffuse. Altri eventi estremi sono bombe d’acqua e piogge torrenziali che creano erosione. I danni si possono contrastare mantenendo la copertura erbosa, siepi e piccole aree boschive a ridosso delle aree coltivate. Ciò contribuisce a proteggere il terreno e limitare l’effetto».

Per l’editing del genoma ci sono ancora ostacoli. Quali sono le principali riserve?

«È necessario che l’Europa si doti di una normativa specifica sull’editing. Poi il mercato si organizzerà. Il limite tecnico, invece, è che conosciamo poco il genoma delle piante e l’effetto che questo editing ha sulla pianta, sulla sua fisiologia, se ci possono essere dei fattori di rischio sulla salute. È una tecnica molto promettente, ma prima di essere adottata avrà bisogno di una valutazione attenta del rischio».

A livello internazionale la guerra in Ucraina con il blocco quasi completo dell’esportazione di grano e altri cereali ha avuto ripercussioni notevoli, soprattutto nei mercati più fragili con prezzi elevati e carenza di cibo. Crede sia più efficace incentivare la produzione interna per ridurre la dipendenza da altri paesi o, piuttosto, puntare su una redistribuzione più equa?

«Dobbiamo puntare a un sistema di mercato che sia equo e meno sensibile ai ricatti geopolitici. Le soluzioni non sono però l’autarchia e il “chilometro zero”. Chi accetterebbe oggi di mangiare in inverno solo patate, verze, mele e poco altro perché vive sulle Alpi? E dove esporteremo il “made in Italy” se il mondo mangiasse solo prodotti locali? Invece il preferire prodotti della stagione in corso, con un occhio alle distanze che hanno percorso per raggiungere il negozio, aiuta a ridurre l’impronta carbonica. L’attenzione alla stagionalità aiuta a risparmiare energia per il trasporto e la conservazione. Come cittadinanza dovremmo capire quanto incidono le nostre scelte. Ad esempio, le fragole che acquistiamo a dicembre hanno richiesto molta energia o per il trasporto o per la conservazione o perché sono state prodotte in serra».

Anche le piante si ammalano. Meglio curare o prevenire?

«Meglio prevenire, come sempre, con le tecniche agronomiche e poi scegliendo prodotti fitosanitari a basso rischio. Ma anche coltivare in modo che le piante siano meno sensibili ai patogeni. Ad esempio, la monocultura stimola il proliferare dei patogeni: è salutare, dunque, spezzare la monotonia di coltivazione del terreno».

I problemi di approvvigionamento hanno colpito anche il mercato dei fertilizzanti. Come si sta reagendo?

«Produrre fertilizzanti è un’attività energivora. Ogni volta che c’è un picco dei prezzi, la produzione di fertilizzanti rallenta o si ferma e i prezzi salgono. Poi c’è chi specula. Abbiamo molta strada da fare. L’agricoltura di precisione non è ancora molto diffusa. Inoltre, bisognerebbe prendersi cura della fertilità pensando che il suolo è vivo e che quindi necessita di un apporto di sostanza organica. Un tempo si usava il letame, oggi si può fare il sovescio: cioè concimare un terreno con leguminose e altre piante che vengono coltivate e poi interrate favorendo la fertilità biologica. Di recente sono stati sviluppati anche i biofertilizzanti: microorganismi che favoriscono la fertilizzazione perché aiutano le piante ad assorbire sostanze preziose presenti nell’atmosfera o nel terreno, come azoto e fosforo. Nella situazione attuale credo dunque che la carenza di fertilizzati possa essere uno stimolo per ridurne le dosi, utilizzarli in modo mirato e, soprattutto, per sviluppare i biofertilizzanti».

Poi ci sono pesticidi (prodotti fitosanitari). Se da un lato garantiscono un’elevata produttività e prezzi accessibili, dall’altra possono risultare tossici per la salute umana, degli animali, delle piante stesse e dell'ambiente in generale. Quali sono le principali alternative?

«La normativa che abbiamo in Europa fa sì che i rischi siano minimizzati. Rispetto a 20 anni fa il loro impiego è cambiato completamente. Oggi c’è la consapevolezza che introdurre una sostanza di sintesi nell’ambiente può sempre risultare tossica e si cerca di andare verso nuove modalità di contrasto. Un esempio è il biofungicida della vite sviluppato in Trentino, un altro le sostanze naturali bioattive e biodegradabili, che possono essere estratte dagli scarti vegetali e usate come biopesticidi. A livello europeo, comunque, viene valutata la tossicità di tutte le sostanze, anche di quelle naturali».

Molti di questi sono temi di casa al Centro Agricoltura Alimenti Ambiente (C3A)…

L'analisi sensoriale del cibo è fra i temi di ricerca del C3A«Sì, penso allo studio sull’analisi sensoriale e culturale, che racconta come cambiano gusti, dieta, consumi. Un altro tema indagato è l’allevamento e l’utilizzo degli insetti, ottima fonte di proteine, nei mangimi. Altre ricerche si occupano della reazione delle piante allo stress climatico. Un gruppo è al lavoro sulla trasformazione alimentare: l’obiettivo è sviluppare tecniche fisiche (come trattamenti ad alta pressione) che possano sostituire la pastorizzazione e la sanificazione di tipo chimico per un prodotto finale più sano e gustoso. Infine, c’è anche chi si occupa di legislazione perché, se vogliamo rilanciare la produzione agroalimentare italiana, dobbiamo anche dare competenze normative a chi produce. Ci tengo a precisare che la maggior parte dei nostri studi è svolta in collaborazione con altri centri e dipartimenti dell’Ateneo e con altri partner italiani e internazionali perché, anche sui temi dell’agricoltura e dell’alimentazione, oggi la ricerca coinvolge tante discipline diverse».