Andrea di Bonaiuto, Trionfo di San Tommaso d'Aquino, 1365-68, affresco, Cappellone degli Spagnoli, Santa Maria Novella, Firenze

Ricerca

"Nelli occhi della filosofia"

La logica nell’opera e nella formazione intellettuale di Dante

2 dicembre 2022
Versione stampabile
di Stefano Pelizzari
Assegnista di ricerca, Dipartimento di Lettere e Filosofia

La ricerca, finanziata dall’Associazione Amici di Claudio Demattè e condotta sotto la supervisione della professoressa Irene Zavattero, prende in esame il problema dei tempi e dei modi della formazione filosofica di Dante, con particolare riguardo alle sue conoscenze nel campo della logica. Gli obiettivi sono due: fornire un censimento critico di tutti i passaggi in cui Dante si serve di un lessico e di strumenti argomentativi di specifica pertinenza logicamettere in relazione la terminologia e la fraseologia di Dante con i testi circolanti agli inizi del XIV secolo a Bologna, Pisa e Verona. Il risultato atteso è la stesura di una monografia scientifica, che possa trovare risonanza sia nell’ambito della medievistica filosofica che in quello di storia della letteratura e delle istituzioni, nonché la creazione di un corpus annotato delle principali fonti logiche analizzate.

Lo studio riguarda un singolo ma importante aspetto della formazione intellettuale di Dante: la sua conoscenza della logica, disciplina che ancora oggi ha applicazioni importanti non solo in filosofia, ma anche in molti altri campi, come la matematica pura, l’informatica, il diritto, la linguistica e la scienza della comunicazione.

Codificata a partire da una sezione specifica del corpus di opere attribuito ad Aristotele (che in un’epoca successiva venne denominata Organon), la logica rappresentava nel Medioevo latino quell'"arte delle arti" (ars artium) che studiava le regole del ragionamento corretto e, proprio come oggi, le era riconosciuta una universalità di tipo strumentale: come si diceva all’inizio dei Topici aristotelici, infatti, questo "metodo dei metodi" forniva uno strumentario indispensabile per discernere il vero dal falso in qualsiasi ambito, costituendo quindi la via d’accesso a ogni scienza.

Per questo motivo, nell’insegnamento universitario e nelle «scuole delli religiosi» del tempo, aveva un ruolo propedeutico nei confronti di qualsiasi studio successivo: era così un patrimonio comune tanto a coloro che si autoproclamavano "filosofi", quanto a tutti quei «legisti, medici e quasi tutti li religiosi», che, stando al Convivio, «meno partecipano del nome di filosofo di alcuna altra gente».

Come notato sin dai primi biografi e commentatori, Dante dimostra in svariate occasioni una maestria e una padronanza della materia del tutto degne, per dirla col Boccaccio, di un «maraviglioso loico». Giustamente celebri sono i versi del canto XXVII dell’Inferno in cui «un d’i neri cherubini», con un raffinato ragionamento, strappa l’anima di Guido da Montefeltro all’impotente San Francesco («[...] forse / tu non pensavi ch' io loico fossi!»); ma è soprattutto nel corso del Convivio e del trattato politico sulla Monarchia che Dante esibisce una competenza decisamente "eccedente" rispetto al livello basilare dei "manuali" del suo tempo (fra cui, ad esempio, i famosi «dodici libelli» di Pietro Ispano, ricordati anche nel Paradiso): non solo, infatti, mostra di conoscere molta della terminologia specialistica messa in circolazione dalle opere logiche di Aristotele, ma è spesso in grado di utilizzarla con straordinaria pertinenza. Non si limita, cioè, a "esibire" un imparaticcio logico con finalità meramente retoriche, ma si avvantaggia di una competenza raffinata e reale, sulla quale basa la volontà di produrre opere di riconosciuto valore scientifico.

La ricerca si prefigge, appunto, di raccogliere e analizzare tutti i passaggi in cui Dante, nel corso delle sue opere, si serve di una terminologia o di strumenti riconducibili a questo specifico ambito disciplinare. Da un lato, quindi, si inserisce in un filone di studi che specialmente negli ultimi due secoli, partendo dalla tesi parigina di Frédéric Ozanam (1838) fino ai più recenti lavori di Gianfranco Fioravanti (2014; 2019), si è occupato di valutare la conoscenza che Dante poté avere delle dottrine di Aristotele, il «maestro di color che sanno». Dall’altro, tenta di ricostruire i tempi, i luoghi e i modi in cui il Poeta, «peregrino, quasi mendicando», poté acquisire una tale competenza specialistica, con una particolare enfasi sugli ambienti culturali di Bologna, Pisa e Verona.

Questo importante ma trascurato aspetto della sua formazione intellettuale, quindi, non solo illumina un lato sorprendente di questo eccezionale «amatore di sapienza», ma si pone anche come una via d'accesso privilegiata per la migliore comprensione della sua epoca filosofica e dell’ambiente italiano fra XIII e XIV secolo.