Anche chi lavora rischia la povertà (©Fotolia.com)

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Povertà, rischio diffuso

A colloquio con Cristiano Gori, professore di Politiche sociali

20 dicembre 2022
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di Elisabetta Brunelli
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

A volte accade di scivolare giù, sotto la soglia, senza nemmeno accorgersene. Mese dopo mese. Poi, all’improvviso, uno sguardo al proprio conto e alle spese per la nascita di un figlio, perché una persona cara non è più autosufficiente, per l’auto o per la casa. E la scoperta, drammatica, di essere in difficoltà economica, anche se si rientra tra le persone che hanno un lavoro. Un’analisi del fenomeno nell’intervista a Cristiano Gori, professore di Politiche sociali al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, ideatore e coordinatore del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza e dell’Alleanza contro la povertà in Italia.

Professor Gori, in Italia da alcuni anni il confine tra povertà e benessere è diventato labile. Perché si rischia di restare al verde anche se si ha un reddito?

«La povertà, in Italia, ha cambiato il suo profilo negli ultimi anni. Dalla fine della seconda guerra mondiale alla crisi del 2008 se in una famiglia c’era almeno una persona che lavorava, era improbabile che quella famiglia potesse cadere in povertà. Oggi, invece, la metà dei poveri vive in una famiglia in cui c’è una persona che lavora. Ciò accade perché sono cresciute le professioni instabili».

Quando si può parlare di povertà?

«Si parla di povertà assoluta quando non si dispone dell’insieme di beni e di servizi che rispondono a uno standard di vita minimamente adeguato. È il paniere di beni e servizi, definito dall’Istat e che riguarda vari aspetti a cominciare da abitazione, alimentazione, vestiti, trasporti».

Ci sono persone e famiglie più esposte di altre al rischio povertà?

Cristiano Gori «La novità post 2008 è che la povertà ha rotto gli argini. Si è confermata nei segmenti in cui era presente in precedenza, ma è andata a colpire anche altre fasce. Abbiamo già detto che è entrata per la prima volta nelle famiglie in cui c’è una persona che lavora. Altra novità è che i tassi di povertà scattavano con la nascita del terzo figlio e ora, invece, pur rimanendo più esposte le famiglie con più figli, il tasso di povertà sale già con il primo figlio. Il terzo elemento recente è che la povertà, da sempre più diffusa nell’Italia meridionale, ha sfondato anche nel resto del Paese. Quindi è rimasta più alta al Sud, ma ha sconfinato anche al Nord e nel Triveneto, dove è passata da percentuali di 1-2% a valori del 5-7%. Ultimo aspetto: in Italia la povertà si riduce al crescere nell’età. Osserviamo, così, che si concentra nella fascia dell’infanzia e dell’adolescenza, mentre il gruppo anagrafico con minor rischio è quello ultra 65 anni perché ha potuto avere un lavoro più sicuro e pensioni migliori. Fanno eccezione le famiglie di anziani con redditi non elevati in cui c’è una persona non autosufficiente».

Il lavoro spesso, soprattutto per le giovani generazioni e per molte donne, è a tempo, instabile, non garantito, mal retribuito. Uno strumento efficace di contrasto dovrebbe bilanciare sussidi e politiche attive che favoriscano l’occupazione di chi è stato escluso o fa più fatica ad accedere al mondo del lavoro. Cosa si può salvare del reddito di inclusione e del reddito di cittadinanza?

«Il reddito di inclusione è stato la prima misura strutturale contro la povertà introdotta in Italia, nel 2017, e riprende la proposta del reddito d’inclusione sociale avanzata dall’Alleanza contro la povertà, che ha svolto una decisa attività di advocacy a questo scopo. Siamo stati l’ultimo paese in Europa, insieme alla Grecia, a intervenire. Il reddito di cittadinanza ha avuto il pregio di incrementare notevolmente i fondi pubblici dedicati, mentre il suo disegno è migliorabile. La riforma che il governo Meloni ha annunciato per il 2024 mi pare vada nella seguente direzione: sostituire il reddito di cittadinanza con una misura per chi può lavorare e con una per chi non può. È l’impronta che in Europa hanno già altri otto paesi. Spero che la riforma tenga conto dei moltissimi studi condotti in questi anni su limiti e potenzialità del reddito di cittadinanza».

Sempre a proposito di sussidi, quanto è efficace l'assegno unico e universale alle famiglie?

«L’assegno unico e universale è stata una riforma di grande valore introdotta quest’anno e che ha unificato sette misure diverse. Ha il merito di essere più semplice, più equo e di disporre di un importo incrementato di risorse per la famiglia rispetto al passato. Oscilla tra due obiettivi principali: evitare l’impoverimento legato ai costi dei figli (in questa opzione bisogna dare importi più elevati a chi ha meno risorse) oppure promuovere la natalità (e allora questo obiettivo redistributivo viene meno)».

L’Italia sembra impreparata di fronte all’invecchiamento della popolazione e all’aumento progressivo dei carichi di cura. Che cosa propone il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza?

«L’Italia è arrivata in ritardo alle grandi misure del welfare, dopo anni e anni di discussioni. Quella che non è ancora stata introdotta è la riforma del welfare degli anziani. Il primo obiettivo è l’unitarietà perché va superata la frammentazione delle politiche sociali, sanitarie e dell’Inps. È poi necessaria l’appropriatezza delle misure, che devono essere disegnate sulle esigenze reali di servizi a lungo termine richiesti dalla non autosufficienza. Infine la riforma dovrebbe sviluppare una filiera di servizi, cioè offrire risposte diversificate in base alle tipologie dell’utenza, ai diversi livelli di gravità e fasi dell’invecchiamento e del decadimento».

La riforma dell’assistenza agli anziani
Il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, sottoscritto a luglio 2021 da un’ampia coalizione sociale, ideata e coordinata da Cristiano Gori, elabora proposte operative per la riforma sull’assistenza agli anziani non autosufficienti. Il Patto raggruppa la gran parte delle organizzazioni della società civile coinvolte nell’assistenza e nella tutela degli anziani non autosufficienti nel nostro Paese: rappresenta gli anziani, i loro familiari, i pensionati, gli ordini professionali e i soggetti che offrono servizi. Si tratta della comunità italiana della non autosufficienza, che - per la prima volta - ha deciso di superare confini, appartenenze e specificità per unirsi nella elaborazione di questa riforma.
Hanno dato vita al Patto le organizzazioni e le forze sociali che nella primavera del 2021 hanno richiesto l’introduzione della riforma nel Pnrr. La riforma, non prevista nella versione del Pnrr del gennaio 2021, è stata inserita in quella definitiva presentata a fine aprile, in seguito all’intensa attività di pressione delle realtà del Patto.
Il 10 ottobre 2022, il governo Draghi ha approvato lo schema di disegno di legge delega sulla riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, primo passaggio previsto dal Pnrr. Numerose proposte del Patto sono state recepite (introduzione del Sistema nazionale assistenza anziani, riforma delle valutazioni, riforma dell’indennità di accompagnamento e così via). Ora la parola passa al nuovo Parlamento e al nuovo Governo.

L’introduzione della prima misura contro la povertà in Italia
L’Alleanza contro la povertà in Italia, nata alla fine del 2013, raggruppa un insieme di soggetti sociali che hanno deciso di unirsi per contribuire alla costruzione di adeguate politiche pubbliche contro la povertà assoluta nel nostro Paese. Compongono l’Alleanza 38 organizzazioni - tra realtà associative, rappresentanze dei comuni e delle regioni, enti di rappresentanza del terzo settore e sindacati – che portano con loro sia il sostegno di un’ampia base sociale sia l’esperienza della gran parte dei soggetti oggi impegnati nei territori a favore di chi sperimenta l’indigenza. Una simile Alleanza non era mai stata costruita in Italia. L’Alleanza è stata ideata da Cristiano Gori, che ne è stato coordinatore scientifico sino al 2019. 
L’Alleanza ha elaborato una propria dettagliata proposta di riforma, per l’introduzione del Reddito d’inclusione sociale (Reis) e ha svolto negli anni un’intesa attività di advocacy per promuoverne l’introduzione. Nel 2017, il Governo ha introdotto la prima misura strutturale contro la povertà e ha siglato un memorandum con l’Alleanza in merito ai suoi contenuti. È nato così il Rei che, come già il nome suggerisce, riprende ampiamente la proposta del Reis.
La vicenda dell’Alleanza così come delle politiche contro la povertà sino all’introduzione del Reddito di Cittadinanza viene ripercorsa nel volume “Combattere la povertà” scritto da Cristiano Gori ed edito da Laterza.