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Capire la discalculia osservando il cervello

Il team di Manuela Piazza studia al CIMeC le basi neurofisiologiche di questo disturbo dell’apprendimento

1 febbraio 2023
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di Lorenza Liandru
Supporto alle Relazioni istituzionali

La matematica è spesso considerata una materia ostica, complessa e molte persone, anche in età adulta, riscontrano parecchie difficoltà nella comprensione non solo dei concetti matematici, ma anche nel fare semplici calcoli. In passato questa situazione era attribuita, nel migliore dei casi, a mancanza di studio o scarsa predisposizione per la materia. Non sempre però chi fatica a comprendere il mondo dei numeri è pigro, svogliato, o poco intelligente, talvolta dietro un problema con la matematica si nasconde un vero e proprio disturbo, noto con il termine di discalculia. Si stima che ne soffra circa il 5% della popolazione, eppure è una condizione ancora poco nota, della quale non si conoscono precisamente le cause scatenanti. Al Centro interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento il team guidato da Manuela Piazza studia la discalculia per comprenderne meglio le basi neurofisiologiche.

Professoressa Piazza, cos’è la discalculia e cosa la distingue da normali difficoltà nell’apprendimento della matematica?

«Con il termine discalculia non si fa riferimento alle difficoltà che, in modo più o meno frequente, vengono osservate nella comprensione della matematica e che possono dipendere da fattori diversi (metodo di studio inadeguato, carenze didattiche, ansia, prolungate assenze, etc).

La discalculia è un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) ed è parte di un gruppo di disturbi che comprende anche la più nota e studiata dislessia. Chi soffre di discalculia manifesta un deficit selettivo nelle abilità relative al mondo dei numeri e del calcolo. Va però sottolineato che questo disturbo non è connesso a danni neurologici o a un ridotto quoziente intellettivo, e si manifesta in condizioni di adeguate abilità generali e di normale apprendimento in altri ambiti scolastici».

Ha citato la dislessia, un termine noto anche a chi non è del mestiere. Come mai di discalculia si sente parlare così poco?

«Fino agli anni ’90 la discalculia era un campo di studi poco indagato dalla ricerca e quasi sconosciuto nella pratica clinica. Inoltre, ricordiamoci che in Italia solo nel 2010 il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha riconosciuto l’esistenza dei vari disturbi specifici di apprendimento (DSA), tra cui la discalculia, fornendo linee guida per il diritto allo studio degli alunni e delle alunne certificati DSA. Tra questi, sappiamo che coloro che posseggono una diagnosi di discalculia sono ancora meno della metà di coloro i quali hanno diagnosi di dislessia, anche se stime affidabili suggeriscono che l’incidenza dei due disturbi nella popolazione sia simile (intorno al 5%). Alcune ricerche che ho condotto in passato hanno contribuito alla conoscenza della discalculia, ma molto c’è ancora da fare, anche sul fronte dei test diagnostici, la cui definizione è in costante evoluzione.

Questo ritardo è dovuto a diversi fattori. Prima di tutto la valutazione delle abilità di tipo matematico è più difficile rispetto a quelle della lettura e della scrittura. È inoltre molto diffuso il pregiudizio che la matematica sia una disciplina complessa, riservata a eletti con il 'pallino' per i numeri. È bene demistificare questo preconcetto, perché se è vero che tutti abbiamo un'innata propensione nei confronti di una disciplina, dobbiamo anche ricordare che il nostro cervello è plastico, muta in continuazione. Tutti quindi possono colmare con l’esercizio il gap che li separa da chi è più predisposto o più interessato».

Tornando alla discalculia, quali errori commette più frequentemente chi soffre di discalculia?

«I bambini e gli adulti discalculici manifestano una più o meno grave difficoltà nel capire il significato dei numeri, nel riuscire a far di conto, nel riconoscere l’ordine di grandezza dei numeri. Faticano a ricordare le tabelline, ad automatizzare le procedure richieste nell'esecuzione dei compiti aritmetici, confondono i segni. I problemi partono dalle abilità matematiche di base e, a cascata, investono tutte le operazioni più complesse. Queste difficoltà, se riconosciute e trattate precocemente, non impediscono a chi soffre di discalculia di affrontare con successo il proprio percorso di studi, al pari tutti».

Quali sono gli obiettivi della ricerca che sta conducendo? Quali i risultati attesi?

«La nostra ricerca muove da un dubbio che potrebbe sembrare un sofismo accademico, ma che in realtà ha importanti ricadute cliniche.

Nelle nostre ricerche degli ultimi anni abbiamo scoperto che le persone con discalculia tendono ad avere, oltre a problemi di calcolo, anche un deficit di natura più percettiva, ed in particolare nella percezione della quantità. Le persone discalculiche, infatti, faticano a 'vedere' le relazioni quantitative tra diversi insiemi. Queste scoperte ci hanno portato ad elaborare l’ipotesi secondo la quale queste fragilità percettive potrebbero portare, nel corso dell’apprendimento, a difficoltà più di natura concettuale, come la comprensione del significato dei numeri e la loro combinazione in operazioni aritmetiche, dando origine appunto alla discalculia. Sempre grazie alle nostre ricerche abbiamo anche capito che nel cervello delle persone senza discalculia l’abilità di stimare la quantità numerica si basa su un insieme ben definito di aree nel cervello. Pertanto, la nostra ricerca attuale vuole capire se queste aree cerebrali funzionino normalmente anche nelle persone con discalculia».

Quindi c’è un 'posto' dei numeri nel nostro cervello?

«Sì, semplificando un po’ possiamo dire che il 'posto' dei numeri nel cervello è un circuito parietale localizzato in entrambe gli emisferi, che è distinto dai circuiti del linguaggio, che si trovano principalmente nell’emisfero sinistro. I due circuiti però, per dare vita al pensiero matematico, devono essere connessi. Ed è qui che si inserisce il dubbio citato prima. Il nostro studio mira a comprendere se chi è affetto da discalculia possiede un’alterazione del circuito del cervello deputato alla rappresentazione della quantità o se è la comunicazione con le altre aree del cervello, specialmente quella del linguaggio, a essere disfunzionale».

In merito al sui gruppo di lavoro: quanti siete, da chi è composto?

«Il mio gruppo di lavoro su questo progetto è formato da Alireza Karami, dottorando del corso in Cognitive and Brain Sciences, e dalle ricercatrici Marie Amalirc e Paula Maldonado. Insieme a loro, nei laboratori di Mattarello, conduco test su volontari che con il loro tempo contribuiscono al nostro studio e all’avanzamento della conoscenza in questo campo».

Qual è l’identikit della persona che cercate? Come si svolge un test?

«Cerchiamo giovani adulti di entrambi i sessi che abbiano già ricevuto una diagnosi formale di discalculia. L’importante è che i candidati non presentino controindicazioni alla risonanza magnetica, che pur essendo un esame innocuo non può essere effettuata su persone con protesi metalliche o sofferenti di claustrofobia.

Il test dura circa 40 minuti e si divide in due momenti. Durante la prima parte registriamo, attraverso la risonanza magnetica funzionale, l’attività del cervello sottoposto ad alcuni stimoli, come osservare una serie di immagini recanti insiemi di diversa numerosità e rispondere a semplici domande. Il compito è tranquillo e i quesiti accessibili a chiunque. Grazie a questo test otteniamo una sorta di ‘filmato’, che in modo dinamico ci mostra come cambia l’attività del cervello nelle diverse aree coinvolte. Successivamente, grazie ad uno scan anatomico-strutturale, ‘fotografiamo’ il cervello per verificare se le regioni interessate dall’attività presentano alterazioni morfologiche. È noto infatti che lo spessore della materia grigia è correlato al numero di neuroni e/o a quanto essi sono interconnessi tra di loro, quindi più è sottile, meno neuroni ci sono o meno funzionale è quella regione. Va tenuto presente, però, che non si tratta di una diagnosi tombale: il cervello umano mostra un alto livello di plasticità, che è più evidente durante i primi mesi e anni di vita, ma persiste per tutto l'arco della vita. Un margine di miglioramento c’è sempre».

Le persone interessate alla ricerca possono contattare Paula Andrea Maldonado Moscoso scrivendo a pa.maldonadomoscoso [at] unitn.it.