Campionamento a Ortisé, frazione del comune di Mezzana (Trento)

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Il racconto delle ossa

Sulle autostrade della preistoria con la bioarcheologia

27 marzo 2023
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di Lorenza Liandru
Supporto alle Relazioni istituzionali

Visti con gli occhi di un archeologo, gli scheletri rinvenuti nelle sepolture preistoriche sono come un grande e ricchissimo archivio. Un archivio biologico, per la precisione, dal quale trarre preziose informazioni sulla vita di persone e di popoli vissuti migliaia di anni fa. Consultare queste fonti, però, non è facile: servono competenze multidisciplinari, passione e tanta esperienza in laboratorio. Qualità che non mancano a Giacomo Capuzzo, fresco vincitore di una borsa Marie Skłodowska-Curie, finanziata dall’Unione Europea, grazie al progetto MOLA “Mobility and Life histories in the Alps – Understanding prehistoric social strategies in mountain environment”. Originario di Trento, Giacomo Capuzzo è tornato in città dopo anni di studio e ricerca condotti in Italia e all’estero. Con sé ha portato le competenze maturate nel gruppo di ricerca Analytical, Environmental & Geo-chemistry della Vrije Universiteit Brussel, che insieme alla University of Ottawa è partner del progetto di ricerca.

Dottor Capuzzo, perché ha scelto Trento per il progetto di ricerca MOLA?

«I motivi sono due, strettamente collegati. In primo luogo le Alpi orientali italiane rappresentano un contesto di grande interesse dal punto di vista archeologico, ricco di siti preistorici residenziali e produttivi. Sono presenti anche siti funerari di eccezionale rilievo, che tuttavia non sono ancora stati studiati utilizzando le attuali tecniche della bioarcheologia.
Il secondo motivo è la presenza, a Trento, del Laboratorio Bagolini: Archeologia, Archeometria, Fotografia (LaBAAF), afferente al Dipartimento di Lettere e Filosofia. È una realtà dove si fa ricerca archeologica di alto livello e che adotta un approccio multidisciplinare, indispensabile per comprendere la complessità delle società umane del passato. Il laboratorio, inoltre, utilizza le più moderne tecniche messe a disposizione dalla ricerca scientifica e le integra con le metodologie tradizionali dell’archeologia. Non è ovunque così, in Italia».

Un’archeologia al passo con i tempi, quindi, molto lontana dagli stereotipi.

«Sì, e come sottolinea il professor Diego E. Angelucci, supervisor del progetto MOLA, è ormai più corretto parlare di 'scienze archeologiche' anziché di archeologia. Non è un artificio linguistico, l’archeologia moderna è davvero una disciplina che combina approcci umanistici e scientifici, secondo un'ottica interdisciplinare. Negli ultimi decenni la tecnologia ha cambiato radicalmente il modo di cercare e di analizzare i reperti archeologici. E di conseguenza è cambiato il ‘mestiere’ dell’archeologo, che oggi deve essere in grado di integrare competenze di molte discipline diverse: geologia, geografia, antropologia e biologia, solo per citarne alcune».

Il filo conduttore di questo studio è la montagna, un ambiente tuttora difficile. Non lo si immagina molto frequentato nella preistoria. I dati smentiscono questo cliché?

«Le Alpi non sono mai state barriere, ma aree caratterizzate da un intenso movimento di persone, oggetti e idee. E dobbiamo immaginare le valli dell'Adige e dell'Isarco come delle antiche autostrade della Preistoria, zone di passaggio tra il Mediterraneo e l'Europa centrale. L’esistenza di rapporti e scambi a lunga distanza è testimoniata anche dalla circolazione di materiali esotici, scoperti durante gli scavi: ambra proveniente dal Mar Baltico, ossidiana dall’isola di Lipari, vaghi in conchiglia di Spondylus e in steatite nera, materia prima non comune nelle Alpi orientali. I nostri antenati, inoltre, hanno frequentato le Alpi fin dai tempi più antichi per ricavare materie prime: le selci dei Monti Lessini hanno conosciuto un'ampia diffusione e sono noti in Valsugana importanti siti di estrazione e lavorazione dei metalli. L’archeologia dei paesaggi alpini è un campo di studio fertile e Trento, negli ultimi decenni, ha contribuito in modo significativo al progredire delle conoscenze in questo ambito. Spero di fare altrettanto con il progetto MOLA».

Entriamo proprio nel merito della ricerca. Di cosa si occupa?

«Il progetto MOLA mira a comprendere come le strategie sociali abbiano influenzato la mobilità individuale e collettiva nelle Alpi italiane orientali dal Neolitico alla fine dell'Età del Bronzo. Si tratta di un periodo di circa 4mila anni, che va dal V al II millennio a.C. Per fornire un riferimento temporale chiaro a tutti, è l’epoca in cui visse l’uomo del Similaun, la mummia risalente a circa 5300 anni fa trovata nel 1991 in Alto Adige, nelle Alpi Venoste. Ed è anche il periodo degli insediamenti palafitticoli preistorici come Ledro e Fiavè, dichiarati patrimonio dell'umanità UNESCO.
Le indagini si concentrano sui reperti umani provenienti da contesti funerari, sia a inumazione sia a incinerazione. I resti vengono studiati utilizzando le tecniche messe oggi a disposizione dalla bioarcheologia. È un ambito ancora poco indagato, che può aprire insospettate prospettive di lettura e ricostruire lo stile di vita delle popolazioni antiche».

Come può uno scheletro umano fornire informazioni su temi così complessi?

«Il 'segreto', se così si può dire, è nelle analisi chimico-fisiche e biomolecolari che vengono effettuate sui reperti. In particolare, per indagare la mobilità degli individui si utilizza l'analisi dei rapporti isotopici dello stronzio, un elemento che i tessuti umani assorbono dal suolo attraverso la catena alimentare. Il campione da analizzare viene prelevato nello smalto dei denti molari e in un osso della regione temporale, detto rocca petrosa. In questi tessuti lo stronzio si accumula durante l’infanzia e l’adolescenza e non muta nell’età adulta.
Poiché i rapporti fra isotopi dello stronzio variano in base alla geologia locale, per determinare l’origine geografica di un individuo basta misurare questo rapporto sui denti, nel caso delle inumazioni, o sulle ossa, nel caso delle incinerazioni, e confrontarlo con i valori dell’ambiente circostante il luogo di sepoltura. Se i rapporti isotopici misurati sul campione umano coincidono con quelli della zona è probabile che l’individuo sia morto là dove è nato. Se invece differiscono, significa che vi è arrivato da adulto, in seguito a una migrazione».

Quindi gli isotopi dello stronzio sono come coordinate GPS inscritte nelle ossa?

«Sì, in un certo senso è così. Ma per ottenere risultati più precisi è necessario combinare più metodologie, intrecciare i dati e poi metterli a confronto con le informazioni desunte da scavi stratigrafici, sondaggi, geomorfologia, nonché dallo studio di reperti e manufatti. La combinazione di tutte queste metodologie permette di ottenere risultati ad alta risoluzione».

Partner
Christophe Snoeck, Analytical, Environmental & Geo-Chemistry (AMGC).
Clement Bataille, Spatio-temporal Analytic of isotope Variations in the Environment (SAiVE).

Collaborazioni
Ufficio Beni Archeologici della Soprintendenza per i Beni culturali della Provincia autonoma di Trento.
Ufficio Beni Archeologici della Soprintendenza provinciale ai Beni culturali della Provincia autonoma di Bolzano.
Soprintendenza ABAP (Archeologia Belle Arti e Paesaggio) per le province di Verona, Rovigo e Vicenza.


What Bones Tell Us

On the highways of prehistory with bioarchaeology

The skeletons found in prehistoric burials provide archaeologists with a myriad of information. To be precise, they are particularly rich in biological information, from which archaeologists learn how ancient peoples lived thousands of years ago. Obtaining this information is not easy, as it requires multidisciplinary skills, passion and a lot of laboratory experience, but Giacomo Capuzzo has what it takes. He has just been awarded an EU-funded Marie Skłodowska-Curie fellowship for his MOLA project "Mobility and Life histories in the Alps – Understanding prehistoric social strategies in mountain environment". Capuzzo, who was born in Trento and left to study and conduct research in Italy and abroad, is now back in town and brought along the skills he learned in the Analytical, Environmental & Geo-Chemistry research group of Vrije Universiteit Brussel which, together with the University of Ottawa, is a partner in the research project.

Why did you choose Trento for the MOLA research project?

"For two reasons, closely related. First of all, from the point of view of archaeology, the Eastern Italian Alps offer a very interesting context, with many residential and productive prehistoric sites. There are also funerary sites of exceptional importance, which however have not yet been studied using the state-of-the-art techniques of bioarchaeology.
The second reason is the presence, at the Department of Humanities of the University of Trento, of the Bagolini Laboratory: Archaeology, Archaeometry, Photography (LaBAAF). The laboratory makes it possible to conduct high-level archaeological research following a multidisciplinary approach, that is fundamental to understand the complexity of human societies of the past. The laboratory uses the most recent research techniques and integrates them with traditional archaeological methodologies. There are not that many places like that, in Italy."

A place where archaeology keeps up with the times?

"Yes, and as Professor Diego E. Angelucci, supervisor of the MOLA project, points out, it is now more correct to speak of 'archaeological science' rather than archaeology: modern archaeology is a discipline that combines humanistic and scientific approaches in an interdisciplinary perspective. In recent decades, technology has radically changed the way archaeological finds are unearthed and analyzed. As a result, archaeology as a profession is not what it used to be: current archaeologists must learn skills from other disciplines, such as geology, geography, anthropology, and biology, just to name a few."

The common thread of this study is the mountain environment, that can be a challenging place to live in even at Modern Times. I'd say they were a rather uninhabited place in prehistoric times, but what does the data say about this?

"The Alps have never been barriers, but areas characterized by an intense movement of people, objects, and ideas. We have to imagine the Adige and Eisack valleys as the ancient highways of prehistory, connecting the Mediterranean sea and central Europe. The existence of long-distance relationships and exchanges is proven by exotic materials recovered during the excavations: amber from the Baltic Sea, obsidian from the island of Lipari, Spondylus shells, and black steatite beads, a raw material that is not common in the Eastern Alps. The Alps have been inhabited by our ancestors since ancient times because of the presence of raw materials: the chert from Monti Lessini, for example, was largely used, and many important mineral extraction and processing sites are documented in Valsugana. Alpine Landscape Archaeology is a vibrant field of study and Trento, in recent decades, has contributed significantly to the advancement of knowledge. I hope to contribute to this progress with the MOLA project."

Let's focus on this new research project. What is it about exactly?

"With the MOLA project, our goal is to understand how social strategies influenced individual and collective mobility in the Eastern Italian Alps between the Neolithic and the end of the Bronze Age, a span of about 4,000 years, from the 5th to the 2nd millennium BC. To give you a clear time reference, it is the time in which Ötzi the Iceman lived, the mummy dating back to about 5300 years ago that was found in 1991 in South Tyrol, on the Similaun glacier, in the Ötztal Alps. This is the period of the prehistoric pile settlements of Ledro and Fiavè, which are a UNESCO World Heritage Site.
Our studies focus on both cremated and inhumed human remains from prehistoric funerary sites. These remains are studied for the first time using the techniques of bio-archaeology, which may lead to unexpected discoveries to understand the lifestyle of ancient populations."

How can a human skeleton provide information on such complex issues?

"The secret, so to speak, lies in the chemical-physical and biomolecular analyses that are carried out on the remains. In particular, to investigate the mobility of populations, we use strontium isotope analysis, because human tissues absorb strontium from the soil through the trophic chain. The samples are collected from the enamel of molar teeth and from a bone of the temporal region called the petrous portion. Strontium accumulates in these tissues during childhood and adolescence and does not change in adulthood.
Since the ratios of strontium isotopes vary according to local geology, to determine the geographical origin of an individual we must measure this ratio in the teeth, in the case of inhumation burials, or the bones, in the case of cremations, and compare it with the values of the surrounding environment. If the isotopic ratios measured on the human sample are similar to those in the area, it is likely that the individual died where he was born. If they differ, the individual arrived there as an adult, following a migration."

Can we say that strontium isotopes are like GPS coordinates provided by the bones?

"Yes, in a way that is right. But to obtain more precise results we must combine more methodologies, inter-connect the data and then compare them with the information derived from stratigraphic excavations, surveys, geomorphology, as well as from the study of artifacts and finds. The combination of all these methodologies gives us reliable results."