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Giovani che si arrendono

Il ritiro sociale volontario, o "hikikomori": un preoccupante fenomeno sempre più diffuso tra i giovani

28 marzo 2023
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Maddalena Sommadossi
Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive

"Stare in disparte": è questa la traduzione letterale di "hikikomori", il fenomeno di cui si sta parlando sempre più spesso in tutta Italia. Ma cosa significa realmente? Chi sono questi giovani che si isolano, cosa li porta a chiudersi nella loro camera e quali sono le prospettive per il loro futuro?
Ne abbiamo parlato con Gabriele Baldo, psicologo e psicoterapeuta, collaboratore dell’ODF Lab e docente a contratto di Counseling e Psicoterapia al DiPSCo.

Dottor Baldo, chi sono i giovani hikikomori?

«Gli hikikomori sono giovani che mettono in atto un ritiro sociale volontario, relegandosi nella loro camera per sottrarsi a pressioni di vario tipo legate alla loro quotidianità.
Spesso, questo comportamento viene confuso con depressione, fobia sociale o fobia scolare; invece, l’hikikomori può essere semplicemente una persona che ha perso la fiducia nell’altro e che non riesce a tollerare aspettative, pressioni, giudizi, da parte di una società sentita come estranea e demotivante. Non è un disturbo vero e proprio, non è una diagnosi, ma una condizione psicosociale». 

Quali sono le caratteristiche dei giovani hikikomori?

«Ogni caso è diverso ma sembrano esserci alcune tendenze comuni. Si tratta principalmente di giovani tra i 16 e i 25 anni, soprattutto maschi, nati e cresciuti in famiglie con forti aspettative e, di frequente, con una scarsa presenza della figura paterna.
Sono spesso fortemente intelligenti e sensibili, con un tratto di introversione molto forte e caratteristiche personali che in molti casi si discostano dallo stereotipo legato al genere. E molto spesso, per le loro caratteristiche, possono aver subito episodi di bullismo.
Sono inoltre persone molto critiche nei confronti della società, dei loro coetanei e della scuola, che definiscono come troppo nozionistica e poco propensa all’ascolto».

Quanto è diffuso questo fenomeno in Italia?

«Si stima che in Italia ci siano almeno 100.000 giovani in ritiro sociale volontario. Il fenomeno è in forte crescita, specialmente dal post-pandemia, e sembra essere in aumento anche tra il genere femminile».

Internet e videogiochi possono essere la causa?

«Internet può essere un facilitatore del fenomeno, ma non è la causa. Attraverso la rete, i giovani hikikomori, infatti, riescono a tenersi informati e svolgere attività intellettuali come leggere e scrivere. Alcuni, inoltre, hanno anche una vita sociale molto intensa grazie a Internet e ai videogiochi, seppur diversa da quella che abbiamo in mente noi.
I casi di ritiro totale, invece, dove il giovane non si connette nemmeno online, sono più difficili da gestire e portano solitamente a conseguenze ancora più gravi».

Quali sono le conseguenze a lungo termine sulla vita dei ragazzi e delle ragazze che si isolano?

«Il rischio di cronicizzazione è molto alto e, dopo qualche anno, possono presentarsi aspetti depressivi, ansiosi, ma anche l’emersione di tratti paranoidi in persone predisposte. Uno dei problemi dell’isolamento è che si autoalimenta. All’inizio, infatti, i giovani hikikomori sono convinti di aver trovato la soluzione ai loro problemi; se e quando, dopo qualche anno, si rendono conto di non stare bene, non sanno più come uscirne».

E le conseguenze sulle famiglie?

«Le famiglie sono solitamente distrutte nel vedere il figlio chiudersi in camera e quindi, comprensibilmente, si allarmano e di conseguenza aumentano le loro pressioni. Da questo nasce un circolo vizioso fatto di conflitto e reciproche incomprensioni». 

Come si possono aiutare i giovani e le loro famiglie in queste situazioni?

«Si parte sempre dai genitori, aiutandoli ad eliminare le pressioni, a non proiettare sul figlio le loro aspettative e a favorire, invece, le sue inclinazioni naturali.
Spesso, solo dopo aver fatto un percorso con le famiglie è possibile provare a fare terapia con il ragazzo hikikomori, tenendo presente che il suo unico desiderio è quello di abbandonare tutto: in una prima fase, non ha alcun interesse a farsi aiutare.
La vera sfida è quella di non diventare, anche noi professionisti, un'ulteriore figura che crea pressioni per spingere fuori di casa il giovane hikikomori. La prima cosa che dobbiamo fare è creare un’alleanza sul comprendere la sofferenza. Poco a poco, aiutarli a capire che quella che stanno attuando potrebbe essere una fuga, una finta soluzione». 

Si può fare prevenzione?

«Si può e si deve. Al di là della famiglia, come ho detto, penso che anche la scuola debba trasformarsi, imparando a essere un luogo più rispettoso delle diversità. L’apprendimento dovrebbe essere accompagnato da emozioni positive e di crescita, non dall’ansia dei voti. La scuola dovrebbe ridurre lo spazio dedicato alle nozioni per darne di più all’ascolto. E vigilare sul bullismo. Chiedo spesso ai giovani hikikomori cosa avrebbero voluto vedere di diverso nella loro vita scolastica. La risposta più frequente è: “Vorrei una scuola in cui il professore mi chiede come sto e che, ogni tanto, si riesca a mettere in gioco dal punto di vista relazionale”». 

Gabriele Baldo ha ricoperto per numerosi anni il ruolo di referente dell’area psicologica del Trentino-Alto Adige nell’Associazione Hikikomori Italia. "Hikikomori Italia" è un progetto di sensibilizzazione sul tema dell'isolamento sociale volontario. L'obiettivo è sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni su un disagio ancora poco conosciuto in Italia, supportare i ragazzi e i genitori che si trovano ad affrontare questa problematica, nonché creare una rete nazionale che metta in contatto tutti coloro che ne sono interessati. La sezione trentina dell'associazione risponde alla mail trentinoaltoadige [at] hikikomoriitalia.it.