Miniatura da un codice di epoca carolingia conservato alla Württembergische Landesbibliothek

Ricerca

Fare luce sui tempi bui

Un progetto coordinato da UniTrento ha indagato i modelli di potere e le pratiche di governo nell'Italia carolingia

5 giugno 2023
Versione stampabile
di Daniele Santuliana
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

"Ruling in hard times", governare in tempi duri, è il titolo del progetto che l’Università di Trento ha condotto insieme alla Scuola Normale Superiore di Pisa e alle università di Padova e Venezia. Un’indagine sui modelli di potere e sulle pratiche di governo nell'Italia carolingia, con particolare attenzione all’epoca di Lotario I, il figlio di Ludovico il Pio che dall’822 all’850 guidò l’Italia per circa un trentennio, in una fase nella quale fu anche imperatore carolingio. I risultati sono stati presentati lo scorso 18, 19 e 20 maggio a Palazzo Prodi durante il convegno conclusivo del progetto "Prin" – di rilevante interesse nazionale. A esso hanno partecipato alcuni tra i maggiori medievisti e medieviste a livello internazionale. Giuseppe Albertoni, ordinario di Storia medievale a UniTrento, è il coordinatore scientifico.

Professor Albertoni, cosa rende speciale l’epoca di Lotario rispetto alle precedenti?

«Senza dubbio, i carolingi si inseriscono nella tradizione longobarda, ma introducono forti elementi di innovazione, soprattutto per quel che riguarda le persone che esercitano il potere e il modo in cui lo esercitano in rapporto ai sovrani. Quello di Lotario fu un periodo molto conflittuale da un punto di vista politico e il sovrano fu costretto ad alternare periodi in Italia ad altri in cui partecipò alla lotta per il potere al di là delle Alpi. Lotario cercò comunque sempre di lavorare per consolidare il proprio controllo sui territori carolingi della penisola».

Uno dei risultati del progetto è un “vocabolario” del potere carolingio in Italia. Di cosa si tratta?

«Stiamo lavorando a un grande database relazionale a partire da tutta la documentazione sull'Italia del periodo di Lotario I. Una cosa mai fatta prima, che verrà poi messa a disposizione di studiosi e studiose in open access. I lemmi sono quelli più diffusi in questa fase storica nell’ambito del potere, da "vassus" a "gasindus". Ma vi sono anche altri termini che riguardano le relazioni sociali. Ad esempio, abbiamo mappato quelli che definiscono gli scambi di proprietà, i tipi di proprietà e di contratto, l'organizzazione economica, sociale e agraria. Ogni termine è riportato con la traduzione inglese, per essere fruibile a livello internazionale. A partire da questi lemmi è possibile ricostruire i rapporti politici e i rapporti sociali, ma anche singole vicende individuali.
Abbiamo classificato anche tutte le presenze femminili, troppo spesso trascurate da chi svolge questo tipo di ricerche».

A proposito di vocabolario, se le chiedessimo tre parole per definire il periodo di Lotario I?

«Userei le parole "costruzione", perché di fatto viene edificata una realtà nuova, "conflitti", perché è un periodo di grande conflittualità, e "reti", perché in quella fase si creano network di rapporti personali molto importanti. Tra l’altro, questo è un elemento particolarmente valorizzato nel nostro database perché gli strumenti della social network analysis permettono di rappresentare graficamente queste reti in modo molto efficace».

Rimaniamo nell’ambito delle relazioni. Una sessione del convegno è stata dedicata alle forme della comunicazione: capitolari, diplomi, ma anche lettere, ritratti e monete. Quanto e come si comunicava negli anni di Lotario?

«Durante il convegno, abbiamo mostrato l'importanza della comunicazione simbolica. La rappresentazione sulle monete, ad esempio, richiama i modelli imperiali tardo antichi. Un’altra forma di comunicazione indagata sono stati i capitolari, cioè le leggi che venivano emanate a livello centrale e conservate a livello locale. Ma è emersa anche la grande importanza delle miniature che ritraggono Lotario: servivano a legittimare il suo potere ponendolo in continuità con la tradizione imperiale tardo antica».

Il passaggio dall’antichità “romana” al medioevo “barbaro” è spesso rappresentato come una forte discontinuità negativa nella storia della civiltà occidentale. Cosa c’è di vero?

«Diciamo che c'è molto di falso. Dal nostro convegno sono emersi forti elementi di continuità con il mondo tardo antico. Non a caso, tra i relatori abbiamo ospitato anche alcuni antichisti che hanno messo in risalto proprio questo aspetto. Una continuità, mi preme sottolinearlo, che è stata sia simbolica, sia di modelli politici».