Assemblea comune nel Palazzo d'Europa a Strasburgo, 1967. Foto di Engelbert Reineke, Archivio Federale Tedesco (Wikimedia Commons).

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QUALE DEMOCRAZIA PER LE ISTITUZIONI EUROPEE?

Una questione attuale negli anni Sessanta come ai giorni nostri

28 settembre 2017
Versione stampabile
di Monica Agostini
Referente per la comunicazione del Sistema bibliotecario di Ateneo dell'Università di Trento.

Con il saggio “Which democracy for the European Economic Community? Fernand Dehousse versus Charles de Gaulle” Umberto Tulli, professore presso la Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento, ha vinto l’edizione 2017 del Premio Emile Lousse della International Commission for the History of Representative and Parliamentary Institutions. Il lavoro, che uscirà nel prossimo numero di Parliaments, Estates and Representation (Vol.33, Issue 3, Novembre 2017), è parte di una più ampia ricerca sulla storia del Parlamento europeo sino all’introduzione del voto nel 1979 (che verrà pubblicata a breve da Le Monnier – Mondadori). Ne parliamo con l’autore.

Professor Tulli, ci può anticipare qualcosa del suo saggio?
Il saggio ricostruisce il dibattito politico che ha accompagnato l’elaborazione della Convenzione Dehousse del 1960, la prima proposta ufficiale per l’introduzione delle elezioni dirette a suffragio universale per il Parlamento europeo. Nel fare questo, sottolinea come sia i sostenitori del voto sia i suoi oppositori giustificassero le proprie posizioni attraverso un mix di aspirazioni per il futuro della Comunità e di esperienze tratte dall’evoluzione politico-istituzionale dei singoli Stati membri della Cee. Più precisamente, suggerisce che, per i sostenitori dell’elezione diretta del Parlamento europeo, il voto rispondeva alla volontà di costruire una federazione europea che, a livello istituzionale, riproponeva su scala comunitaria quel modello di democrazia parlamentare che si era diffuso in Europa occidentale dopo il 1945. Dalla loro prospettiva, il voto avrebbe permesso un rafforzamento del Parlamento europeo che sarebbe poi diventato l’istituzione centrale della futura Federazione. Contro tale esito si schierarono molti governi nazionali, guidati dalla Francia di Charles de Gaulle.

Per comprendere le ragioni della loro opposizione, il saggio mostra come le tradizionali spiegazioni, che sottolineano come il Presidente francese volesse costruire una confederazione incentrata sul ruolo dei governi nazionali (e non su quello delle istituzioni sovranazionali, quale era il Parlamento europeo), debbano essere integrate da un elemento ulteriore: la riflessione di de Gaulle sui limiti della democrazia parlamentare. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, infatti, de Gaulle si era scagliato contro il parlamentarismo e, da Presidente della Francia, aveva lavorato per il varo della Costituzione della Quinta Repubblica francese, un modello di democrazia incentrata sul ruolo del Presidente e non su quello del Parlamento.

Pensa che l'attuale deficit democratico delle istituzioni dell'Unione europea possa in parte essere spiegato dalla mancata soluzione di questo dibattito?
In parte sì. Certo, l'Unione europea di oggi è ben diversa dalla Comunità economica europea del 1960 ed il Parlamento europeo di oggi è un'istituzione diversa da quella degli anni Sessanta. Eppure, proprio l'attribuzione di maggiori competenze alle istituzioni comunitarie, competenze che sono state sottratte ai parlamenti nazionali, senza che vi fosse un adeguato rafforzamento del Parlamento europeo è alla base del deficit democratico. Nel saggio, viene presa in esame proprio la fase iniziale di questo processo e una proposta - quella della convenzione Dehousse - che ambiva ad eleggere il Parlamento europeo e, successivamente, ad attribuire nuovi poteri e competenze all'Assemblea.