Cueva de los Aviones (Spagna), grotta del ritrovamento dei reperti ©João Zilhão 

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NON SIAMO PIÙ LA SPECIE ELETTA

Uno studio archeologico fa luce sulle capacità cognitive dei Neanderthal

7 marzo 2018
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Diego E. Angelucci
di Diego E. Angelucci
Geoarcheologo e professore del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

I Neanderthal, fisicamente diversi da noi, avevano le nostre stesse capacità cognitive? Quando sono stati sostituiti dagli Homo sapiens provenienti dall’Africa? E soprattutto, che fine hanno fatto?

Sono queste le principali questioni che sta tentando di risolvere un progetto interdisciplinare, nato nel 2006 e condotto da un team internazionale diretto da João Zilhão dell'Università di Barcellona, Valentín Villaverde dell'Università di Valencia, Josefina Zapata dell'Università di Murcia e da chi scrive. Si tratta di un progetto essenzialmente archeologico, che comprende scavi in grotte e ripari nella regione spagnola di Murcia, accompagnati da un ampio ventaglio di analisi, come è ormai prassi nell’archeologia attuale. Le risposte non hanno tardato a venire, grazie alla ricchezza dei siti scavati, alla buona conservazione dei resti e all’intreccio tra metodi e approcci differenti. Un recente articolo pubblicato su Science Advances chiarisce alcuni aspetti relativi alla prima questione.

Già nel 2010 un primo studio aveva dimostrato, grazie ai risultati ottenuti dagli scavi nella grotta di Cueva Antón e dal riesame dei reperti di Cueva de los Aviones, che i Neanderthal producevano oggetti con significato simbolico (conchiglie marine perforate e pigmenti coloranti di tonalità rossa o gialla), intendendo con questo termine quegli oggetti il cui valore funzionale non si basa solo su aspetti pratici, ma piuttosto sul significato che attribuiamo loro. Tuttavia, le datazioni al Radiocarbonio disponibili nel 2010 fornivano solo un’età minima di 45.000 anni per i ritrovamenti di Cueva de los Aviones, pur in un contesto stratigrafico chiaramente attribuibile al Paleolitico Medio (da 300.000 a 40.000 anni fa circa). Il ricorso alle datazioni Uranio-Torio, effettuate da Dirk Hoffmann al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, ha ora permesso di stabilire che questi reperti hanno un’età compresa tra 115.000 e 120.000 anni fa. 

Queste nuove datazioni dimostrano che il comportamento simbolico dei Neanderthal iberici è molto antico e non deriva dal possibile contatto con i gruppi di sapiens che raggiunsero l’Europa intorno a 40.000 anni fa. Le capacità cognitive ”avanzate” non sono quindi appannaggio degli umani anatomicamente moderni (gli Homo sapiens, cioè, “noi”), ma sono più antiche e condivise anche dai Neanderthal (“loro”). La comparsa del pensiero simbolico è una delle tappe fondamentali dell’evoluzione umana ed è una caratteristica culturale, che si trasmette di generazione in generazione. Per stabilire quando comparve occorrerà ora andare indietro nel tempo e concentrare le ricerche sui primi Neanderthal o sull’antenato comune da cui hanno avuto origine i Neanderthal e gli umani anatomicamente moderni.

Contemporaneamente a questo contributo è stato pubblicato un secondo articolo su Science che dimostra, utilizzando lo stesso metodo di datazione, che le pitture rupestri di alcune grotte spagnole sono più antiche di quanto si pensasse, essendo ora datate intorno a 64.000 anni fa, cioè oltre 20.000 anni prima dell’arrivo degli Homo sapiens in Europa.

Questi risultati dimostrano che le capacità cognitive dei Neanderthal erano equivalenti alle nostre, contribuendo a sfatare il pregiudizio che ha accompagnato l’archeologia per più di un secolo, cioè, che la specie di cui facciamo parte, gli Homo sapiens, fosse superiore ad altre forme umane del nostro pianeta. Non siamo più la specie eletta.