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LE NUOVE SFIDE E SPERANZE DEL DNA

Da Asilomar ai giorni nostri, l’evoluzione della biologia molecolare e le sue implicazioni anche sul piano etico

6 giugno 2015
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Anna Cereseto
Paolo Macchi
di Anna Cereseto e Paolo Macchi
Professori associati di Biologia Molecolare presso il Centro per la Biologia Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento.

Nel 1975 nell’assolata Asilomar in California scienziati, medici e giuristi si riunirono per partecipare ad una conferenza sul DNA ricombinante che per le tematiche trattate fu la prima nel suo genere, in un periodo di eccezionali scoperte nel campo della biologia. Alcuni anni prima, infatti, era stato conferito il premio Nobel a Francis Crick, James Watson e Maurice Wilkins per aver decifrato la struttura del DNA ed i meccanismi con cui l’informazione genetica in essa contenuta veniva trasmessa inalterata, salvo mutazioni, da una cellula ad un’altra. Nasceva così una nuova disciplina, la biologia molecolare, le cui potenzialità aprivano innumerevoli scenari applicativi e fornivano nuovi strumenti per studiare la materia vivente. Grazie alle nuove scoperte, i biologi non erano più osservatori passivi dell’azione dei geni sulla vita della cellula, bensì demiurghi della stessa grazie alla conoscenza dei processi molecolari che ne regolano lo sviluppo e, soprattutto, grazie alla capacità di modificare e manipolare quello che fino ad allora era considerato lo scrigno inaccessibile del DNA.

Il fisico e premio Nobel Richard Feynman ricordava spesso un vecchio proverbio buddista secondo cui ad ogni uomo viene data una chiave che può aprire sia le porte del paradiso che quelle dell'inferno: tradotto in un contesto biologico, ogni nuova scoperta può generare grandi miglioramenti della qualità della vita ma anche potenziali pericoli insiti nella non prevedibilità dei processi biologici ed evolutivi. Infatti, quando si acquisisce la capacità di modificare il prodotto di milioni di anni di evoluzione e creare organismi completamente nuovi, domande e paure diventano oggetto di un dibattito più allargato. Fu così che la conferenza di Asilomar, voluta fortemente dagli stessi scienziati, mise in luce i timori dell’opinione pubblica e degli scienziati dell’epoca sui pericoli derivanti dalla manipolazione genetica. Il risultato di Asilomar fu una dimostrazione di grande responsabilità da parte degli scienziati che, pur tentati dalle potenzialità di una disciplina giovane e fortemente innovativa, da un lato auspicarono restrizioni ed una regolamentazione sulla sperimentazione e dall’altro alimentarono il dibattito sugli aspetti etici e sugli eventuali pericoli che la modifica del patrimonio genetico di qualsiasi organismo avrebbero avuto sull’ambiente e sulla società. 

Dopo 40 anni, la possibilità di alterare il DNA è diventata una pratica comune nei laboratori di tutto il mondo. Tecniche alla base della terapia genica consentono, ad esempio, l’introduzione di sequenze di DNA umano in cellule di pazienti con lo scopo di sopperire ad errori di sequenza che causano patologie. Finora, tale terapia coinvolge esclusivamente le cellule somatiche, quelle cioè che formano i tessuti, mentre le cellule germinali, ossia spermatozoi e oociti, non sono oggetto di manipolazione. In questo modo tutte le modifiche introdotte mediante la terapia genica non possono essere ereditate dalla progenie dei pazienti e il gene mutato permane nel genoma. Dopo un iniziale entusiasmo per questo tipo di approccio terapeutico volto a curare malattie genetiche non trattabili con la medicina tradizionale, forti limitazioni tecniche ne hanno rallentato lo sviluppo. Uno degli ostacoli è la scarsa efficienza con cui si riesce a sostituire il gene “malato” con il suo omologo “sano”. Negli ultimi due anni, tuttavia, sono stati sviluppati nuovi strumenti di biologia molecolare che permettono di attuare questa sostituzione in maniera precisa ed efficiente. Questa nuova frontiera della manipolazione genica prende il nome di “genome editing” poiché permette di “riscrivere” il genoma eliminando in maniera definitiva le mutazioni alla base di gravi malattie. Una di queste tecniche è stata sviluppata da alcuni ricercatori americani e tedeschi studiando un sistema di difesa immunitaria usato dai batteri per difendersi dai virus, noto come sistema CRISPR/Cas (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats/Cas). Questo meccanismo di difesa utilizza piccole molecole di RNA batterico che, insieme alla proteina Cas, sono in grado di riconoscere il DNA virale distruggendolo e neutralizzando così il virus stesso. 

Le ricadute applicative di questo studio di ricerca di base, meritevole a nostro avviso del premio Nobel, rappresentano uno dei più grandi successi delle biotecnologie. Modificando i piccoli RNA batterici anti-virali in RNA umani che riconoscono la copia del gene mutato nelle cellule malate, questi ricercatori hanno adattato il sistema di difesa batterico alle cellule umane, creando una nuova e potente tecnica per riparare il DNA. Nonostante la scoperta sia recente, la letteratura scientifica è già ricchissima di notevoli applicazioni che dimostrano le potenzialità di questo sistema nel riparare danni genetici all’origine di gravi patologie. Con questo approccio è ora possibile intervenire, a scopo terapeutico ed in maniera mirata, anche in fasi molto precoci della vita o andando a modificare le cellule germinali stesse. Ma i tempi rapidissimi che portano alle scoperte scientifiche come questa spesso non coincidono con i tempi richiesti per una riflessione attenta e ponderata sui possibili risvolti di tali ricerche e, soprattutto, sugli eventuali danni imponderabili derivanti da tali approcci terapeutici; non stupisce, quindi, che un lavoro su embrioni umani sia già stato completato da un gruppo dell’Università Sun Yat-sen in Cina, prima ancora che la comunità scientifica internazionale sia stata in grado di approntare un nuovo sistema di regole. Citando il genetista George Church, “la sfida ora è dimostrare che i benefici apportati da tale tecnologia siano superiori ai rischi”. Di fronte a questa nuova rivoluzione la comunità scientifica propone fortemente una seconda Asilomar dove scienziati, medici e giuristi possano definire nuove regole di condotta, aprendo un dibattito costruttivo sulle questioni etiche sollevate da questa nuova e rivoluzionaria frontiera delle biotecnologie che offre una possibilità concreta di risolvere molte malattie, di dare speranza ai malati, di migliorare la qualità della vita e di cambiare il mondo della biomedicina nei prossimi anni.

Per approfondimenti:

J. Watson and F. Crick (1953): Nature 171, 737-738.
G. Vogel (2015) Science 347, 1301