Cluj-Napoca, Romania, fotolia.com
 

Ricerca

L'Europa orientale non è solo nazionalismo

Una ricerca di dottorato mette in evidenza multiculturalità e plurilinguismo

21 maggio 2019
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di Francesco Magno
Dottorando del corso di dottorato in Culture d'Europa. Ambiente, spazi, storie, arti, idee del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Nell’immaginario collettivo l’Europa orientale è un luogo dominato da violenti scontri etnici, dove la convivenza pacifica tra persone che parlano lingue diverse e appartengono a nazioni differenti è impossibile. Le guerre nella ex Jugoslavia dell’inizio degli anni ’90 hanno contribuito a creare questo quadro, che ancora oggi i media nazionali continuano a rinvigorire attraverso una narrazione semplicistica. L’ascesa di personaggi come Viktor Orban rafforza ulteriormente l’idea di un’area in cui il nazionalismo esasperato permea ogni aspetto della politica e della società.

I nazionalisti propongono una visione della storia caratterizzata da uno scontro quasi atavico tra popoli confinanti, che vogliono imporre il loro dominio su regioni contese a scapito l’uno dell’altro; il tutto, a causa di un presunto diritto storico o etnico. I serbi ritengono che il Kosovo debba far parte di uno stato serbo, perché alla Serbia è appartenuto per secoli. Al contrario i kosovari di lingua albanese rivendicano l’indipendenza, in virtù della loro differenza etnica rispetto ai serbi. Sembra non esserci possibilità di mediazione.

La realtà di queste terre di confine, multiculturali e multilinguistiche, è molto più complessa di quella dipinta dai nazionalisti. Cercare di portare alla luce questa visione alternativa non dominata dal nazionalismo è l’obiettivo principale del mio progetto di dottorato. Uno dei compiti dello storico è infatti smontare miti e propagande, dimostrare come ciò che è ritenuto naturale dai più, è in realtà frutto di costruzioni e artifici culturali e politici.

Dopo diversi mesi trascorsi in una regione multiculturale come la Transilvania, abitata da secoli da romeni, ungheresi e tedeschi, ho capito come spesso il nazionalismo si annidi più nelle parole di chi non ha mai sperimentato la multiculturalità e il plurilinguismo, che non in regioni etnicamente e linguisticamente variopinte. Il discorso pubblico purtroppo lascia spesso nell’ombra queste realtà, per concentrarsi sulle più “accattivanti” manifestazioni di odio e intolleranza.

Teatro della mia ricerca è la Romania del periodo interbellico. Grazie alla vittoria nella prima guerra mondiale la Romania aveva acquisito terre che per secoli avevano fatto parte di grandi imperi: la Transilvania, precedentemente parte dell’Impero austro-ungarico, e la Bessarabia (la Moldavia di oggi), appartenente all’impero russo. Sia la Transilvania che la Bessarabia erano abitate da cospicue minoranze etniche: ungheresi e tedeschi nella prima, russi ed ebrei nella seconda. Non tutti i romeni che abitavano le due regioni, tuttavia, erano disposti ad abbandonare a cuor leggero leggi, usanze, istituzioni, che avevano regolato la loro vita per secoli.

In Transilvania molti romeni continuarono a usare spesso sia in occasioni ufficiali che informali l’ungherese o il tedesco, ritenute lingue più prestigiose del romeno; tanti altri lottarono per proteggere le vecchie leggi imperiali, molto più avanzate di quelle della Romania. La mia ricerca vuole dare voce alle storie di persone che non interpretarono la loro vita soltanto attraverso la lente del nazionalismo, e per cui valori come il multilinguismo e il multiculturalismo contarono spesso più della patria.

La ricerca sta prendendo forma grazie a diversi periodi di studio presso archivi romeni, dove sto cercando di ricostruire il percorso biografico e professionale di queste figure, i loro valori, le loro relazioni e le loro aspettative.

L’idea di questo progetto nasce dopo diversi soggiorni in Romania; grazie al Programma Erasmus ho potuto vivere in Romania per circa un anno, imparare la lingua e conoscere la realtà della Transilvania. La città dove vivevo, Cluj-Napoca, è ancora oggi abitata da moltissimi ungheresi, e l’università fornisce tutti i corsi sia in romeno che in ungherese. Lì per la prima volta ho visto un est Europa diverso da quello tradizionalmente rappresentato.

I vari gruppi linguistici della città vivevano in simbiosi, l’università era realmente multiculturale, e le manifestazioni di aperto nazionalismo quasi nulle. Ho voluto quindi dimostrare che anche in passato la regione non è stata solo scenario di scontri etnici, ma ambiente di scambio e condivisione, proprio come quello che avevo vissuto io,100 anni dopo i fatti da me studiati.