Francesco Scannicchio. Foto archivio UniTrentoSport

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Una vittoria un po’ nostra

Intervista a Francesco Scannicchio, dipendente UniTrento e membro dello staff tecnico della Nazionale di pallanuoto

10 settembre 2019
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Ilaria Bibbiani
Luca Valzolgher
di Ilaria Bibbiani e Luca Valzolgher
neolaureata della Scuola di Studi Internazionali dell’Ateneo, collabora con l’Ufficio UniTrento Sport; laureato UniTrento e giovane in servizio civile presso UniTrento Sport.

Lo scorso 27 luglio, alle 19:30 ora locale della calda Gwangju, Corea del Sud, la Nazionale maschile di pallanuoto si laureava campione del mondo, battendo la Spagna con lo schiacciante punteggio di 10-5.

A tuffarsi nella piscina, per festeggiare insieme agli atleti, c’era anche Francesco Scannicchio. Dipendente dell’Università di Trento e incaricato del Progetto Sport dell’Ateneo, Francesco è ormai da anni membro dello staff tecnico della Nazionale, in qualità di video analyst.

La Corea è ormai lontana e Francesco è tornato al lavoro. Ma è sufficiente nominare il Mondiale per vedere una scintilla di quell’entusiasmo che, dagli schermi televisivi, gli abbiamo visto brillare negli occhi.

Una marcia trionfale quella del Settebello in questi mondiali. Quanto conta la preparazione tecnico-tattica in occasioni del genere?

Fondamentale, naturalmente. È necessario mettere in chiaro una cosa, la preparazione tattica non si riferisce esclusivamente al Mondiale o ai due mesi che lo precedono.

Il processo di assemblaggio e crescita della squadra comincia molto prima, è parte di un progetto di più ampio respiro che inizia con la fine delle Olimpiadi precedenti, in questo caso Rio 2016.

Nel quadriennio fra un’Olimpiade e la successiva si svolgono due campionati europei e due mondiali. Per far crescere in maniera esponenziale questo gruppo, è stata determinante la grande capacità del commissario tecnico, Alessandro Campagna. Attribuiti i dovuti meriti ai ragazzi, che sono stati straordinari, penso ci sia la sua non trascurabile impronta su questa vittoria.

Da quanto tempo sei video analyst?

Lo strumento del video per analizzare le fasi di gioco lo uso da quando faccio l’allenatore, dal lontano 1996, inizialmente con strumenti rudimentali, cassette e lettori VHS.

Nulla a che vedere con gli strumenti che utilizzo ora, ma il concetto non è poi molto diverso. Sono arrivato a fare quest’attività con le nazionali giovanili nel 2010, scelto dal tecnico federale Ferdinando Pesci, con cui fino a poco tempo prima collaboravo nel club. Lì ho iniziato a usare il software che uso ora e ne abbiamo affinato l’utilizzo in base alle nostre esigenze. Dopo tre stagioni sono entrato in nazionale maggiore.

Qual è il lavoro del video analyst? Insomma, in concreto, cosa fai?

Come qualsiasi membro dello staff, il compito del video analyst è quello di aiutare l’allenatore nel prendere le decisioni.

Nello specifico il mio lavoro si può distinguere in due fasi: nella prima guardo, riprendo, commento e analizzo le partite in tempo reale.

La seconda fase è il lavoro con il commissario tecnico, nella quale le informazioni precedentemente raccolte vengono valutate e sfruttate per determinare le strategie da adottare.

Immagino che impegni di questo tipo, che prevedono periodi di assenza anche prolungati, richiedano un prezzo a quanti ti sono vicini.

Senza l’amore, il sostegno pratico e l’incoraggiamento della mia famiglia non ce l’avrei mai fatta. Per conciliare lavori di questo genere bisogna avere attorno a sé persone disposte ad accettarlo.

Da un lato, quello relativo all’ufficio, i colleghi, dall’altro lato anche il commissario tecnico della Nazionale accetta che io non sia presente in tutti i periodi e a tutti i raduni.

Ci deve essere da parte di tutti una predisposizione, il piacere e la stima, perché certe cose si accettano se si ha stima degli altri. È un gioco di squadra.

Dal 2016 lavori nel Progetto Sport dell’Università di Trento. Ti senti un po’ allenatore in ufficio?

Certo, ma dipende da cosa si intende con allenatore. Ho un ruolo, e quel ruolo richiede una certa sensibilità.

In questo contesto “allenare” non significa necessariamente decidere cosa fare o stabilire che si faccia, “allenare” significa trovare il modo, anche in condivisione, di portare a compimento – con impegno e auspicabile successo – ciò che bisogna fare. Se questo è agire da allenatore, allora la risposta è sì. Il nostro è un vero lavoro di squadra, portato avanti con il contributo di tutti e in stretta collaborazione con il delegato per lo Sport di Ateneo Paolo Bouquet.

Qual è il tuo sogno, la tua prospettiva futura per lo sport d’Ateneo?

Vorrei che si portasse a compimento tutto il lavoro che si sta facendo, soprattutto legato al riconoscimento del valore e della formazione dell’individuo dell’attività motoria in genere, sportiva in particolare e agonistica nella forma massima.

Ci stiamo muovendo nei confronti degli sportivi di altissimo livello in modo meritorio. Mi riferisco ai Champions del progetto TOPSport, ma non solo.

Sarebbe importante anche riconoscere il valore dell’attività sportiva per chi fa sport a livello più basso, e quindi con minori soddisfazioni, ma con altrettanto impegno e comunque è determinato nel portare avanti la carriera scolastica. Vorrei che la cultura dello sport venisse riconosciuta.

Per concludere, domanda secca quanto d’obbligo: Tokyo 2020?

Purtroppo, per uno sport “povero” come la pallanuoto, la possibilità di prendere parte all’evento Olimpico comporta una serie di compromessi tra l’attività lavorativa e l’attività sportivo-dilettantistica.

Per questo a tutt’oggi non posso sentirmi certo di partecipare ai giochi. Sono fiducioso che il gioco di squadra di cui parlavamo prima e che fino ad oggi ha dato i suoi risultati – permettendomi di portare avanti i diversi incarichi – possa continuare a produrre un esito positivo.